Perché mi sentivo il cuore in gola? Perché piangevo tra me, come se stessi per morire?
Forse un altro demonio avrebbe apprezzato tutto ciò; un immortale contorto e privo di coscienza avrebbe potuto deridere le loro visioni e indossare i panni di un dio con la stessa facilità con cui io ero entrato nel bagno profumato.
Ma nulla avrebbe potuto darmi quella libertà, nulla. Il permesso di Akasha non significava nulla; il suo potere era solo di grado diverso da quello che avevamo tutti. E ciò che possediamo non ha mai semplificato la lotta; l’ha trasformata in angoscia, indipendentemente dal fatto che vincessimo o perdessimo.
Non poteva accadere che un secolo fosse soggiogato da un’unica volontà. Il disegno doveva essere sventato completamente; e se avessi mantenuto la calma, avrei trovato la chiave.
Tuttavia i mortali avevano inflitto ad altri mortali infiniti orrori, le orde barbariche avevano sfregiato altri continenti, distruggendo ogni cosa sul loro cammino. Akasha era umana nelle sue illusioni di conquista e di dominio? Non aveva importanza. Possedeva mezzi inumani per realizzare i suoi sogni!
Avrei ricominciato a piangere se non avessi smesso di cercare soluzioni; e le povere, tenere creature intorno a me sarebbero rimaste ancora più confuse.
Quando mi portai le mani al viso, non si allontanarono da me. Mi spazzolarono i capelli. Un brivido mi corse lungo la schiena. E il battito sommesso del sangue nelle loro vene divenne di colpo assordante.
Dissi che volevo restare solo. Non resistevo più alla tentazione. E avrei giurato che sapevano cosa volevo. Lo sapevano e si arrendevano. La carne scura e salata così vicina a me. La tentazione era troppo grande. Comunque obbedirono subito, un po’ spaventate. Lasciarono la stanza in silenzio e a ritroso, come se non fosse rispettoso uscire semplicemente.
Guardai l’orologio. Mi sembrava ridicola, l’idea di portare uno strumento che segnava il tempo. M’irritai. E l’orologio si ruppe. Il vetro andò in frantumi, i meccanismi volarono fuori dalla cassa sfondata. Il cinturino si spezzò e l’orologio cadde sul pavimento, le rotelline sparirono nel tappeto.
«Buon Dio!» mormorai. Ma perché no… se potevo lacerare un’arteria e un cuore! Ma l’importante era controllare quella facoltà, dirigerla, non lasciare che mi sfuggisse di mano in quel modo.
Alzai gli occhi e scelsi a caso un piccolo specchio dalla cornice d’argento che stava sulla toeletta. Pensai Rompiti, e lo specchio andò in frantumi. Nel silenzio udii i pezzi che cadevano contro la parete e il piano del mobile.
Bene, questo era utile, molto più utile della facoltà di uccidere la gente. Fissai il telefono, mi concentrai, lasciai che la forza si raccogliesse, quindi la smorzai consciamente e la diressi per spingere l’apparecchio sul vetro che copriva il marmo. Sì. Appunto. Le boccette caddero quando il telefono le urtò. Poi le fermai: ma non riuscii a raddrizzarle. Non potevo sollevarle. Oh, ma sì che potevo! Immaginai una mano che le rialzava. Certo, il potere non obbediva letteralmente all’immagine: ma l’usavo per organizzarlo. Raddrizzai tutte le boccette. Recuperai quella che era caduta e la rimisi al suo posto.
Tremavo leggermente. Sedetti sul letto per riflettere, ma ero troppo incuriosito per pensare. La cosa importante da capire era questa: si trattava di un fenomeno fisico, era energia? Forse non era altro che un’estensione dei poteri che avevo posseduto anche prima. Per esempio, già all’inizio, durante le prime settimane dopo che Magnus mi aveva creato, una volta ero riuscito a spostare attraverso la stanza un’altra persona, il mio amato Nicolas con il quale stavo discutendo, come se l’avessi colpito con un pugno invisibile. In quel momento ero furioso, e più tardi non ero stato capace di ripetere il gesto. Ma era lo stesso potere, lo stesso fenomeno verificabile e misurabile.
«Non sei un dio», dissi. Ma quell’accrescimento del potere, quella nuova dimensione, come dicono giustamente in questo secolo… Uhmmm…
Guardai il soffitto e decisi che volevo sollevarmi lentamente per toccarlo, passare le mani sul fregio di gesso intorno al cordone del lampadario. Provai un senso di disagio, e mi accorsi di galleggiare vicino al soffitto. E la mia mano, ah, sembrava che la mia mano attraversasse l’intonaco. Mi abbassai un poco e guardai la stanza.
Mio Dio! l’avevo fatto senza portare con me il mio corpo. Ero ancora seduto sul bordo del letto. Vedevo me stesso, la sommità della mia testa. Io, o meglio il mio corpo, era lì seduto, immobile e sognante… e mi guardava. E poi tornai nel mio corpo, grazie a Dio, e guardai il soffitto. Cercai di capke che cosa significava.
Bene, lo sapevo. Akasha mi aveva detto che il suo spirito poteva viaggiare fuori dal corpo. E i mortali avevano sempre potuto farlo, o almeno così dicevano. Fin dai tempi più antichi i mortali avevano descritto quei viaggi invisibili.
C’ero quasi riuscito quando avevo cercato di vedere l’interno del tempio di Azim: e lei mi aveva fermato perché quando lo avevo lasciato, il mio corpo aveva incominciato a precipitare. E molto tempo prima c’erano state un paio d’altre occasioni… Ma in generale non avevo mai creduto ai racconti dei mortali.
Ora sapevo di poter fare anche quello. Ma non volevo farlo a caso! Decisi di salire di nuovo al soffitto, ma stavolta con il mio corpo; e vi riuscii immediatamente. Salimmo insieme, premendo contro l’intonaco, e questa volta la mia mano non l’attraversò. Andava tutto bene.
Ridiscesi e decisi di tentare l’altro sistema. Ora soltanto con lo spirito. Ritornò la sensazione di malessere; vidi il mio corpo dall’alto, quindi ascesi attraverso il tetto del palazzo, volai sopra il mare. Tutto, però, sembrava inspiegabilmente diverso; non ero sicuro che fossero veramente il cielo e il mare; sembrava piuttosto una concezione nebulosa di entrambi; e non mi piaceva neppure un poco. No, grazie! Ora, a casa! Oppure dovevo portare con me il mio corpo? Tentai ma non accadde nulla, e la cosa non mi sorprese. Era una specie di allucinazione. In realtà non avevo abbandonato il mio corpo, e dovevo accettarlo.
E Baby Jenks? Le belle cose che aveva visto Baby Jenks quando era ascesa? Erano allucinazioni? Io non l’avrei mai saputo, vero?
Ero tornato.
Ero seduto comodamente sul bordo del letto. La stanza. Mi alzai e mi aggirai per qualche minuto guardando i fiori e il modo strano in cui i petali bianchi coglievano la luce delle lampade, la cupezza dei rossi e il chiarore dorato riflesso sulla superfìcie degli specchi e tutte le altre cose bellissime.
All’improvviso erano travolgenti, i dettagli puri che mi circondavano, la complessità straordinaria di una stanza.
Poi mi lasciai cadere sulla poltrona accanto al letto. Sprofondato nel velluto ascoltai il martellare del mio cuore. Essere invisibile, lasciare il mio corpo… lo detestavo! Non l’avrei fatto mai più!
Udii una risata, lieve e gentile. Mi resi conto che Akasha era lì dietro di me, forse accanto al tavolo da toeletta.
Provai uno slancio di gioia nel sentire la sua voce, la sua presenza. La forza di quelle sensazioni mi sorprendeva. Volevo vederla, ma non mi mossi.
«Il viaggio extracorporeo… è una facoltà che hai in comune con i mortali», disse lei. «Viaggiano sempre fuori dai loro corpi.»
«Lo so», dissi avvilito. «Per me, possono tenersi questa facoltà. Se posso volare con il mio corpo, è ciò che intendo fare.»
Rise di nuovo; una risata carezzevole che avevo già udito nei sogni.
«Anticamente», disse, «gli uomini andavano al tempio per farlo. Bevevano le pozioni preparate dai sacerdoti: e viaggiando nei cieli gli uomini affrontavano i grandi misteri della vita e della morte.»