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«Ascolta il mare», sussurrò lei. «Ascolta i fiori che si schiudono. Ora puoi udirli, lo sai. Puoi udire le minuscole creature marine, se ascolti. Puoi udire i delfini che cantano.»

Mi sentivo andare alla deriva. Ero sicuro tra le sue braccia; lei era potente, e tutti la temevano.

«Dimentica l’odore acre dei corpi che bruciano, sì, ascolta il mare che martella la spiaggia sotto di noi; ascolta il suono d’un petalo di rosa che si stacca e cade sul marmo.»

Il mondo sta andando all’inferno e io non posso evitarlo, sono fra le sue braccia e sto per addormentarmi.

«Non è accaduto un milione di volte, amor mio?» mormorò lei. «In un mondo pieno di sofferenze e di morte, non hai voltato le spalle come fanno ogni notte milioni di mortali?»

Tenebra. Visioni splendide. Un palazzo ancora più bello. Vittime. Servi. L’esistenza mitica dei pascià e degli imperatori.

«Sì, amor mio, tutto ciò che desideri. Tutto il mondo ai tuoi piedi. Costruirò per te un palazzo dopo l’altro: lo faranno coloro che ti adorano. E non è nulla. È la parte più semplice. E pensa alla caccia, mio principe. Fino a che le uccisioni non saranno completate, pensa alla caccia. Perché sicuramente fuggiranno e si nasconderanno a te, e tuttavia tu li troverai.»

Nella luce che si affievoliva, poco prima che venissero i sogni, potei vederla. Vedevo me stesso viaggiare nell’aria come gli eroi di un tempo, sopra il territòrio dove palpitavano i fuochi dei bivacchi.

Avrebbero viaggiato in branchi come i lupi, nelle città e nei boschi, e avrebbero osato mostrarsi soltanto di giorno; solo allora sarebbero stati al sicuro da noi. Al calar della notte noi saremmo venuti, e li avremmo rintracciati per mezzo dei loro pensieri e del loro sangue, e delle confessioni sussurrate dalle donne che li avevano visti e forse li avevano ospitati. Sarebbero fuggiti allo scoperto, sparando con le loro armi inutili. E poi ci saremmo avventati, li avremmo annientati a uno a uno, le nostre prede, salvo quelli che volevamo vivi per prendere il loro sangue lentamente, spietatamente.

E da quella guerra verrà la pace? Da quel gioco orrendo nascerà un giardino?

Cercai di aprire gli occhi. Akasha mi baciava le palpebre.

Il sogno.

Una pianura brulla e il suolo che si sgretolava. Qualcosa emergeva, scostando le zolle di terra arida. Questa cosa sono io. Questa cosa che cammina sulla pianura brulla mentre tramonta il sole. Il cielo è ancora pieno di luce. Abbasso lo sguardo sulla stoffa macchiata che mi copre, ma non sono io. Sono soltanto Lestat. E ho paura. Vorrei che Gabrielle fosse qui. E Louis. Forse Louis riuscirebbe a farle capire… Ah, Louis, quello di noi che ha sempre saputo.

Ed ecco di nuovo il sogno, le donne dai capelli rossi accanto all’altare con il corpo… il corpo della loro madre. Stanno per consumarlo. Sì, è il loro dovere, il loro sacro diritto… divorare il cervello e il cuore. Ma non sarà possibile perché accade sempre qualcosa di spaventoso. Sopraggiungono i soldati… Vorrei conoscere il significato del sogno.

Sangue.

Mi svegliai con un sussulto. Erano trascorse ore. La stanza era diventata fredda. Il cielo era meravigliosamente limpido al di là delle finestre aperte. Lei irraggiava tutta la luce che riempiva la stanza.

«Le donne attendono, e le vittime hanno paura.»

Le vittime. Mi girava la testa. Le vittime erano piene di sangue saporoso. Maschi che sarebbero morti comunque. Giovani maschi tutti miei.

«Sì. Ma vieni, poni fine alle loro sofferenze.»

Mi alzai, stordito. Akasha mi drappeggiò sulle spalle un lungo mantello, più semplice del suo indumento ma caldo e morbido. Mi accarezzò i capelli con entrambe le mani.

«Maschile… femminile. Non c’è mai stato altro?» mormorai. Il mio corpo voleva dormire ancora. Ma il sangue…

Akasha mi toccò le guance con le dita. Di nuovo le lacrime?

Uscimmo insieme, percorremmo un lungo ballatoio con la ringhiera di marmo; una scala scendeva e svoltava, fino a una sala immensa. Lampadari ovunque. Fioche lampadine elettriche creavano una penombra lussuosa.

Al centro erano radunate le donne, duecento o più. Erano immobili e ci guardavano con le mani giunte come in un gesto di preghiera.

Anche nel silenzio apparivano barbare fra i mobili europei, i legni italiani dorati e il vecchio camino con le volute di marmo. All’improvviso pensai alle parole di Akasha: «La storia non ha importanza, l’arte non ha importanza». La vertigine. Alle pareti spiccavano gli ariosi quadri del Settecento pieni di nubi splendenti e di angeli grassi, e cieli di un azzurro luminescente.

Le donne non guardavano quella ricchezza che non le aveva mai toccate e per loro non significava nulla; guardavano la visione sul ballatoio che ora si dissolveva in un turbine di suoni e di luce colorata e si materializzava ai piedi della scala.

Si levarono i sospiri, le mani si protesero come per riparare le teste chine da un’esplosione di luce sgradita. Poi tutti gli occhi si fissarono sulla Regina del Paradiso e sul suo consorte che stava sul tappeto rosso, un po’ al di sopra dell’assemblea… il consorte sconvolto che si mordicchiava il labbro e cercava di vedere chiaramente ciò che accadeva, la spaventosa mescolanza tra l’adorazione e il sacrificio cruento, mentre le vittime venivano condotte avanti.

Erano esemplari magnifici. Uomini mediterranei dai capelli bruni e dalla pelle scura, belli quanto le giovani donne. Uomini dalla struttura robusta e dalla muscolatura squisita che hanno ispirato per millenni gli artisti. Occhi neri come l’inchiostro e volti rasati; astuzia profonda, e profonda collera mentre guardavano le ostili creature sovrannaturali che avevano decretato la morte dei loro fratelli.

Li avevano legati con cinghie di cuoio, probabilmente le loro cinture e le cinture di dozzine d’altri; le donne avevano fatto un buon lavoro. Avevano legato anche le caviglie, in modo che potessero camminare, ma non scalciare o correre. Erano nudi fino alla cintola e uno solo tremava, di rabbia non meno che di paura. Incominciò a dibattersi. Gli altri due si voltarono, lo guardarono e cominciarono a divincolarsi anche loro.

Ma la massa delle donne li strinse e li obbligò a inginocchiarsi. Sentii il desiderio ingigantire a quella vista, alla vista delle cinture di cuoio che affondavano nella carne nuda delle braccia. Perché era così seducente? E le mani delle donne che li tenevano, le mani minacciose che altrimenti potevano essere così morbide e delicate. Non potevano battersi contro tante donne. Sospirando, desistettero dalla ribellione, sebbene quello che aveva incominciato a lottare mi guardasse con aria d’accusa.

Demoni, diavoli, creature dell’inferno, gli suggeriva la sua mente. Chi altri avrebbe potuto fare una cosa simile al suo mondo? Oh, era soltanto l’inizio della tenebra, la tenebra terribile!

Ma il desiderio era tanto forte. Tu stai per morire, e sarò io a ucciderti! Sembrò che udisse e comprendesse. Un odio selvaggio per le donne s’irradiò da lui, carico d’immagini di stupri e di rappresaglie che mi fecero sorridere. Tuttavia capivo. Capivo completamente. Era così facile provare disprezzo per loro, sdegnarsi perché avevano osato diventare il nemico, il nemico di un’antica battaglia, loro, le donne! Ed era tenebra, la rappresaglia immaginata, una tenebra indicibile.

Sentii le dita di Akasha sul mio braccio. La sensazione di beatitudine ritornò, e il delirio. Tentai di resistere, ma lo sentii intenso come prima. Tuttavia il desiderio non scompariva. Adesso era nella mia bocca. Ne sentivo il sapore.

Sì, passa nel momento, passa nella funzione pura, incomincia il sacrificio cruento.

Le donne s’inginocchiarono in massa, e gli uomini che erano già inginocchiati parvero diventare più calmi. I loro occhi diventarono vitrei mentre ci guardavano, e le loro labbra tremarono.