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Jesse guardò Maharet che osservava con aria impenetrabile e una mano appoggiata al bracciolo della poltrona.

La tavola era coperta di giornali, in francese e in indostano, non solo in inglese.

«… da Lynkonos a diverse altre isole prima che venisse chiamata la milizia. Le prime stime indicano che circa duemila uomini sarebbero stati uccisi in questo piccolo arcipelago al largo della punta estrema della Grecia.»

Maharet toccò il piccolo telecomando nero e lo schermo svanì. Sembrò che l’apparecchio sparisse nel legno scuro mentre le finestre diventavano trasparenti e le cime degli alberi apparivano in interminabili strati nebbiosi contro il cielo violetto. In lontananza, Jesse vedeva le luci ammiccanti di Santa Rosa annidate tra le colline buie. Sentiva l’odore del sole che aveva brillato in quella stanza, sentiva il caldo che saliva lentamente attraverso il soffitto di vetro.

Guardò gli altri che stavano seduti in un silenzio stordito. Marius girò cupamente gli occhi sul teleschermo, sui giornali sparsi davanti a lui.

«Non abbiamo tempo da perdere», disse Khayman a Maharet. «Devi continuare il racconto. Non sappiamo quando lei verrà qui.»

Fece un gesto, e i giornali vennero improvvisamente spazzati via, accartocciati e lanciati nel fuoco che li divorò e lanciò una pioggia di scintille nella canna fumaria.

Jesse si sentiva girare la testa. Avveniva tutto troppo in fretta. Guardò Khayman. Si sarebbe mai abituata? Le loro facce di porcellana e le espressioni improvvisamente violente, le sommesse voci umane e i movimenti quasi invisibili?

E cosa stava facendo la Madre? I maschi massacrati. Il tessuto della vita di quelle popolazioni ignoranti, distrutto completamente. Una fredda sensazione di minaccia la toccò. Scrutò il volto di Maharet cercando di comprendere.

Ma i lineamenti di Maharet erano rigidi. Non aveva risposto a Khayman. Si girò lentamente verso la tavola e intrecciò le dita sotto il mento. Gli occhi erano opachi, remoti, come se non vedesse nulla davanti a sé.

«È necessario annientarla», disse Marius, come se non potesse più trattenersi. Il colore avvampò nelle sue guance sconvolgendo Jesse, perché per un istante il suo volto era stato segnato da tutte le rughe di un uomo mortale. Adesso erano sparite; e Marius tremava visibilmente di collera. «Abbiamo scatenato un mostro, e sta a noi rimediare.»

«E come possiamo?» chiese Santino. «Tu parli come se si trattasse di una semplice decisione. Non puoi ucciderla!»

«Sacrifichiamo le nostre vite, ecco come possiamo fare», disse Marius. «Agiamo di concerto, e poniamo fine a questa cosa una volta per tutte, come avrebbe dovuto aver fine molto tempo fa.» Li guardò a uno a uno e i suoi occhi indugiarono su Jesse, quindi si spostarono su Maharet. «Il suo corpo non è indistruttibile. Non è fatto di marmo. Può essere trafìtto, tagliato. L’ho trafitto con i miei denti. Ne ho bevuto il sangue!»

Maharet fece un piccolo gesto noncurante, come per dire: conosco queste cose e tu sai che le conosco.

«E quando lo feriamo, feriamo noi stessi?» chiese Eric. «Propongo di andarcene per nasconderei da lei. Cosa ci guadagniamo restando qui?»

«No!» esclamò Maharet.

«Vi ucciderà a uno a uno se lo farete», disse Khayman. «Siete vivi solo perché ora attendete le sue istruzioni.»

«Ti dispiace continuare a raccontare la tua storia?» chiese Gabrielle rivolgendosi direttamente a Maharet. Era rimasta chiusa in se stessa, e aveva ascoltato gli altri solo a tratti. «Voglio sapere il resto», disse. «Voglio sapere tutto.» Appoggiò le braccia sul piano del tavolo.

«Credi di trovare un modo per sconfiggere Akasha in quelle vecchie favole?» chiese Eric. «Allora sei pazza.»

«Continua il racconto ti prego», disse Louis. «Voglio…» Esitò. «Anch’io voglio sapere che cosa accadde.»

Maharet lo fissò a lungo.

«Continua, Maharet», disse Khayman. «Con ogni probabilità la Madre sarà annientata, ed entrambi sappiamo come e perché: e tutti questi discorsi non significano nulla.»

«Cosa può significare ormai la profezia, Khayman?» chiese Maharet con voce bassa, devitalizzata. «Cadiamo negli stessi errori che imprigionano la Madre. Il passato può istruirci, ma non basterà a salvarci.»

«Sta per giungere tua sorella, Maharet. Viene come aveva promesso.»

«Khayman», disse Maharet con un lungo sorriso amaro.

«Raccontaci cosa accadde», insistette Gabrielle.

Maharet rimase immobile come se cercasse un modo per incominciare. Al di là delle finestre il cielo si oscurava: tuttavia un riflesso rosso apparve a occidente, e diventò sempre più vivido sullo sfondo delle nubi grigie. Alla fine svanì, lasciandoli avvolti nell’oscurità più assoluta, spezzata dalla luce del fuoco e dai riflessi delle pareti di vetro che sembravano specchi.

«Khayman vi condusse in Egitto», disse Gabrielle. «E là che cosa vedeste?»

«Sì, ci condusse in Egitto», disse Maharet. Sospirò e si assestò sulla sedia, con lo sguardo fìsso sul tavolo. «Era inevitabile. Khayman ci avrebbe portate via con la forza. E in verità accettammo noi di andare. Per venti generazioni eravamo state mediatrici fra gli uomini e gli spiriti. Se Amel aveva compiuto un grande male, avremmo cercato di porvi rimedio. O almeno, come ho detto quando ci siamo riuniti per la prima volta intorno a questo tavolo, avremmo tentato di comprendere.

«Lasciai mia figlia alle cure delle donne che avevano la mia fiducia. La baciai. Le confidai molti segreti. Quindi la lasciai, e partimmo sulla lettiga reale come se fossimo ospiti del re e della regina di Kemet, e non prigioniere come prima.

«Khayman fu gentile con noi durante la lunga marcia; ma era cupo e taciturno ed evitava di guardarci negli occhi. Era meglio così, perché non avevamo dimenticato le nostre sofferenze. Poi, l’ultima notte, quando ci accampammo sulle rive del grande fiume che l’indomani avremmo attraversato per raggiungere il palazzo reale, Khayman ci chiamò nella sua tenda e ci disse tutto ciò che sapeva.

«I suoi modi erano cortesi e decorosi, e noi cercammo di accantonare i sospetti nei suoi confronti. Ci raccontò ciò che aveva fatto il demone… lo chiamava così.

«Poche ore dopo che eravamo state espulse dall’Egitto, s’era accorto che qualcosa lo spiava, una forza tenebrosa e malefica. Dovunque andasse ne sentiva la presenza, sebbene tendesse a svanire alla luce del giorno.

«Poi tante cose erano state alterate in casa sua… piccole cose che gli altri non notavano. In un primo momento aveva temuto d’impazzire. Trovava sempre il suo tavolo di scrittura fuori posto e, una volta, gli era accaduto anche di non trovare il suo sigillo di maestro di palazzo. E nei momenti più impensati, sempre quando era solo, quegli oggetti volavano contro di lui e lo colpivano alla faccia o gli piovevano ai piedi. A volte comparivano nei posti più assurdi: per esempio, trovava il sigillo nella birra o nel brodo.

«Non osava dirlo al re e alla regina. Sapeva che era opera dei nostri spiriti e che se avesse parlato avrebbe firmato la nostra condanna a morte.

«Perciò custodiva il terribile segreto mentre la situazione peggiorava. Gli ornamenti che aveva cari fin dall’infanzia venivano fatti a pezzi e i frammenti gli piovevano addosso; gli amuleti sacri finivano nella latrina, gli escrementi venivano spalmati sui muri.