«L’istinto suggeriva a Khayman di abbandonare quel luogo, di andare il più lontano possibile. In quel momento desiderava abbandonare per sempre la patria. Ma era la sua regina, quella che giaceva ansimante con il dorso inarcato e le mani che si contraevano sul pavimento.
«Poi la grande nube di sangue che la velava e si gonfiava e si contraeva divenne all’improvviso più densa, e, come risucchiata dalle ferite, scomparve. La regina restò immobile; quindi si sollevò lentamente a sedere con gli occhi fissi davanti a sé. Un terribile grido gutturale le uscì dalla bocca, e infine tacque.
«Non si udiva alcun suono mentre la regina fissava Khayman; c’era solo lo scoppiettio della torcia. La regina riprese ad ansimare, spalancò gli occhi e parve sul punto di morire. Ma non morì. Si riparò gli occhi dalla luce della torcia come se la ferisse; si voltò e vide il marito che giaceva come morto al suo fianco.
«Un urlo; no, non era possibile. E nello stesso istante Khayman vide che tutte le ferite si rimarginavano; gli squarci profondi non erano altro che graffi sulla pelle.
«‘Mia signora!’ esclamò. E si avvicinò alla regina, che piangeva e si guardava le braccia e il seno, già straziati dai pugnali dei congiurati, e ormai risanati. Gemeva pietosamente mentre guardava le ferite; all’improvviso si lacerò la pelle con le unghie e il sangue sgorgò. Ma la ferita guarì di nuovo!
«‘Khayman, mio Khayman,’ urlò coprendosi gli occhi per non vedere la torcia. ‘Che cosa mi è accaduto?’ Le sue grida divennero ancora più forti; si gettò sul re in preda al panico e gemette: ‘Enkil, aiutami, Enkil, non morire’, e continuò dicendo tutte le altre cose assurde che si gridano in un disastro. Mentre guardava il re, un cambiamento terribile si operò in lei. Si buttò su di lui come una bestia famelica, e con la lingua lambì il sangue che gli copriva la gola e il petto.
«Khayman non aveva mai visto un simile spettacolo. La regina sembrava una leonessa che leccava il sangue d’una preda. Teneva la schiena incurvata e le ginocchia sollevate; attirò a sé il corpo inerte del re e addentò l’arteria della gola.
«Khayman lasciò cadere la torcia e indietreggiò verso la porta per fuggire. Ma udì la voce del re che parlava sommessamente: ‘Akasha, mia regina’. E la regina si sollevò tremante e piangente, si guardò e guardò il re: lei era completamente risanata mentre Enkil era ancora straziato da molte ferite. ‘Khayman’, gridò. ‘Il tuo pugnale! Dammelo. Hanno portato via le loro armi. Il tuo pugnale. Subito!’
«Khayman obbedì, sebbene pensasse che ora avrebbe visto il suo re morire una volta per tutte. Ma la regina prese il pugnale, si tagliò i polsi e guardò il sangue sgorgare sulle ferite del marito e risanarle. Poi gli spalmò il sangue sul viso.
«Le ferite del re si rimarginarono. Khayman lo vide: vide i grandi squarci richiudersi. Vide il re agitarsi, lambire il sangue di Akasha che gli scorreva sul volto. Quindi si sollevò nella stessa posa animalesca che aveva avuto la regina fino a pochi attimi prima, l’abbracciò e le accostò la bocca alla gola.
«Khayman aveva visto abbastanza. Nella luce della torcia agonizzante quelle due figure pallide erano diventate per lui due demoni. Uscì camminando all’indietro, senza riuscire a staccare gli occhi da quello spettacolo straziante e terribile, finché raggiunse il muro del giardino. Si sentì venir meno e stramazzò sull’erba.
«Quando rinvenne, era adagiato su un divano dorato nell’appartamento della regina. Sul palazzo regnava il silenzio. Si accorse che gli avevano cambiato d’abito e lavato il viso e le mani. C’era soltanto una luce fioca e si sentiva nell’aria il dolce odore dell’incenso; le porte del giardino erano aperte come se non vi fosse nulla da temere.
«Poi vide nell’ombra il re e la regina che lo guardavano; ma non erano il suo re e la sua regina. Stava per prorompere in grida atterrite; ma la regina gli accennò di tacere.
«‘Khayman, mio Khayman’, disse, porgendogli il bel pugnale dall’impugnatura d’oro. Tu ci hai serviti molto bene.’
«A questo punto Khayman interruppe il suo racconto. ‘Domani notte’, disse poi, ‘dopo il tramonto vedrete con i vostri occhi che cosa è accaduto. Perché soltanto allora, quando la luce sarà svanita dal cielo a occidente, appariranno insieme nelle sale del palazzo, e voi vedrete ciò che io ho veduto.’
«Ma perché soltanto di notte, chiesi a Khayman. Cosa significava tutto questo?
«Allora ci raccontò che, neppure un’ora dopo il suo risveglio e prima ancora che sorgesse il sole, il re e la regina avevano cominciato ad allontanarsi dalle porte del palazzo e a gridare che la luce feriva loro gli occhi. Già rifuggivano dalle torce e dalle lampade; ma ora stava per giungere il mattino e nel palazzo non c’era un posto dove potessero nascondersi.
«Lasciarono furtivamente il palazzo, avvolti in pesanti indumenti, e corsero con una velocità che nessun essere umano poteva eguagliare. Corsero verso le mastaba, le tombe delle vecchie famiglie, che erano state costrette a mummificare i loro morti. Insomma, fuggirono verso i luoghi più sacri che nessuno avrebbe osato profanare, correndo così in fretta che Khayman non poté seguirli. Il re, tuttavia, a un certo punto si fermò: si rivolse a Ra il dio del sole, e invocò misericordia. E quindi, piangendo e riparandosi gli occhi e gridando come se il sole li ferisse anche se la sua luce era appena spuntata nel cielo, il re e la regina sparirono alla vista di Khayman.
«Poi Khayman continuò: ‘Da allora in poi non si sono mai più visti girare prima del tramonto e tornano sempre dal cimitero sacro, sebbene nessuno sappia di preciso dove. Li attendeva sempre una gran folla che li acclamava come dèi, immagini di Osiride e di Iside, divinità della luna. Tutti gettavano fiori e s’inchinavano a loro.
«‘Infatti s’era sparsa dovunque la notizia che il re e la regina avevano sconfitto la morte grazie a un potere celestiale, che li aveva trasformati in dèi immortali e invincibili e potevano leggere nel cuore degli uomini. Nessun segreto poteva essere loro nascosto, i loro nemici venivano puniti immediatamente. Potevano udire le parole che gli umani pronunciavano solo con il pensiero. Tutti li temevano.
«‘Tuttavia io so, come sanno tutti i loro fedeli servitori, che non sopportano la vicinanza di una candela o di una lampada; urlano di fronte alla luce viva di una torcia, e giustiziano i loro nemici in segreto e ne bevono il sangue. Lo bevono, vi dico. Come le belve della giungla si nutrono delle loro vittime, e dopo la stanza sembra la tana di un leone. E io, Khayman, il loro fido maestro di palazzo, devo raccogliere i corpi e gettarli nella fossa.’ A questo punto Khayman tacque e scoppiò in lacrime.
«Ma il racconto era finito ed era quasi mattino. Il sole sorgeva sui monti a oriente; ci preparammo ad attraversare il grande Nilo. Il deserto si stava riscaldando. Khayman raggiunse il fiume mentre la prima chiatta dei soldati l’attraversava. Piangeva ancora quando vide il sole splendere sulle acque e incendiarle.
«‘Ra, il dio del sole, è il più antico e il più grande di Kemet’, mormorò. ‘Ed è adirato con loro. Perché? In segreto piangono il loro fato; la sete li fa impazzire; temono che diventerà insopportabile. Dovete salvarli. Dovete farlo per il nostro popolo. Non vi hanno mandate a chiamare per rimproverarvi o farvi del male. Hanno bisogno di voi. Siete streghe potenti. Costringete lo spirito a disfare la sua opera.’ Quindi ci guardò, ricordò tutto ciò che ci era accaduto e si abbandonò alla disperazione.
«Io e Mekare non rispondemmo. La chiatta era pronta per portarci al palazzo. Guardammo al di là dell’acqua i grandi edifici dipinti della città reale e ci chiedemmo quali sarebbero state le conseguenze di quell’orrore.
«Mentre prendevo posto sulla chiatta pensai a mia figlia e compresi che sarei morta in Kemet. Volevo chiudere gli occhi e chiedere segretamente agli spiriti se era davvero quello il mio destino, ma non osavo. Non potevo rinunciare alla mia ultima speranza.»