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Un’altra risata, ma questa volta gentile.

«Fratelli e sorelle», disse Akasha. «Vorresti vedere i tuoi veri fratelli e sorelle?»

Sollevai la testa dalla sua spalla. Le baciai la guancia. «Sì, voglio vederli.» Il mio cuore batteva di nuovo convulsamente. «Ti prego», dissi mentre le baciavo la gola, gli zigomi, gli occhi chiusi. «Ti prego.»

«Bevi ancora», mormorò. Sentii il suo seno protendersi contro di me. Premetti i denti contro la sua gola e il piccolo miracolo si ripetè; la crosta che si spezzava, il nettare che sgorgava nella mia bocca.

Una grande ondata mi consumava. Non c’era più la forza di gravita, non esisteva più un tempo o un luogo. Akasha.

Poi vidi le sequoie, la casa con le luci accese, la stanza in cima alla montagna, la tavola e tutti loro, i volti riflessi nelle pareti di vetro scuro, il fuoco che danzava. Marius, Gabrielle, Louis, Armand. Sono insieme e sono salvi! Lo sto sognando? Ascoltano una donna dai capelli rossi. E io la conosco! Ho visto quella donna!

Era nel sogno delle gemelle.

Ma voglio vedere… vedere gli immortali radunati intorno al tavolo. La giovane dai capelli rossi, quella a fianco della donna: ho visto anche lei. Ma era viva, allora. Al concerto rock, in quella frenesia, l’avevo cinta con un braccio e avevo guardato nei suoi occhi folli. L’avevo baciata e avevo pronunciato il suo nome; ed era stato come se un abisso si spalancasse sotto di me, e io precipitassi nel sogno delle gemelle che non riuscivo mai a ricordare veramente. Pareti dipinte; templi.

Tutto svanì all’improvviso. Gabrielle. Madre. Troppo tardi. Mi protendevo e vorticavo nell’oscurità.

Ora hai tutti i miei poteri. Hai solo bisogno di tempo per perfezionarli. Puoi portare la morte, puoi muovere la materia, puoi scatenare il fuoco. Ora sei pronto per andare da loro. Ma lasceremo che finiscano la loro fantasticheria, i loro stupidi piani e le discussioni. Mostreremo loro ancora un po’ del nostro potere…

No, ti prego, Akasha, ti prego, andiamo da loro.

Si scostò da me; mi colpì.

Barcollai per lo choc. Tremante, raggelato, sentii la sofferenza diffondersi nelle ossa della faccia, come se le sue dita vi premessero ancora. Mi morsi le labbra, lasciai che il dolore ingigantisse e recedesse. Strinsi irosamente i pugni e non feci nulla.

Akasha si avviò sulle vecchie pietre a passi decisi, con i capelli ondeggianti sulla schiena. Poi si fermò accanto al cancello caduto, alzò leggermente le spalle e incurvò il dorso come se intendesse chiudersi in se stessa.

Le voci si levarono; raggiunsero il culmine prima che potessi fermarle. E ricaddero, come l’acqua che recede dopo una grande inondazione.

Vidi di nuovo le montagne intorno a me. Vidi la casa in rovina. Il dolore al viso era passato, ma tremavo.

Akasha si voltò a guardarmi, intensamente, con gli occhi socchiusi. «Significano tanto per te, vero? Cosa credi che faranno o diranno? Credi che Marius mi distoglierà dalla mia strada? Conosco Marius come tu non potrai mai conoscerlo. Conosco tutte le vie della sua ragione. È avido come lo sei tu. Chi credi che io sia per lasciarmi dissuadere così facilmente? Sono nata regina. Ho sempre regnato. Regnavo persino dal sacrario.» I suoi occhi si velarono. Udivo le voci, un brusio sordo. «Regnavo, sia pure nella leggenda, nelle menti di coloro che venivano da me e mi rendevano omaggio. I principi che suonavano per me e mi portavano offerte e preghiere. Cosa vuoi ora da me? Che rinunci per te al mio trono, al mio destino?»

Come potevo rispondere?

«Sai leggere nel mio cuore», dissi. «E sai che cosa voglio: che tu vada a loro e dia loro la possibilità di parlare di queste cose, come ne hai dato la possibilità a me. Loro conoscono parole che io ignoro, sanno cose che io non so.»

«Oh, Lestat, ma io non li amo. Non li amo come amo te. Quindi che cosa m’importa ciò che dicono? Non ho pazienza con loro!»

«Ma ne hai bisogno. L’hai detto tu. Come puoi incominciare, altrimenti? Intendo incominciare veramente, e non con quei villaggi arretrati; parlo delle città dove la gente opporrà resistenza. I tuoi angeli… è così che li hai chiamati.»

Scosse mestamente la testa. «Non ho bisogno di nessuno», disse. «Eccettuato… Eccettuato…» Esitò, e il suo volto si spianò per lo stupore.

Mormorai qualcosa prima di riuscire a trattenermi, in un’espressione di angoscia irresistibile. Mi parve di vedere i suoi occhi che si offuscavano, mi parve che, le voci salissero di nuovo al suo udito, e che mi guardasse senza vedermi.

«Ma vi annienterò tutti se sarà necessario», disse vagamente. I suoi occhi mi cercavano ma non mi trovavano. «Credimi, quando lo dico. Questa volta non sarò sconfìtta: vedrò realizzati i miei sogni.»

Distolsi lo sguardo da lei, oltre il cancello cadente e l’orlo accidentato del dirupo, verso la valle. Cosa avrei dato per liberarmi da quell’incubo? Sarei stato disposto a morire di mia mano? I miei occhi si riempirono di lacrime mentre guardavo i campi bui. Era vigliaccheria pensarlo; era opera mia. Per me non c’era scampo.

Lei stava immobile e ascoltava. Poi battè le palpebre, mosse le spalle come se portasse dentro un gran peso. «Perché non puoi credere in me?» chiese.

«Rinuncia!» risposi. «Abbandona tutte queste visioni.» Mi avvicinai e la presi fra le braccia. Lei alzò lo sguardo, quasi stordita. «Quello dove ci troviamo è un luogo senza tempo… e i poveri villaggi che abbiamo conquistato sono come hanno continuato a essere per migliaia di anni. Lascia che ti mostri il mio mondo, Akasha. Lascia che te ne mostri una minima parte! Vieni con me come una spia nelle città, non per distruggere ma per vedere!»

I suoi occhi s’illuminavano di nuovo; la stanchezza si spezzava. Mi abbracciò; e all’improvviso desiderai di nuovo il sangue. Non riuscivo a pensare ad altro, sebbene resistessi, sebbene piangessi per la pura debolezza della mia volontà. Lo volevo. Volevo Akasha e non riuscivo a contrastare il desiderio; ma le vecchie fantasie ritornavano, le antiche visioni in cui immaginavo di destarla, di portarla con me all’opera e ai musei e ai concerti sinfonici, nelle grandi capitali piene di tutte le cose belle e imperiture che uomini e donne avevano creato nei secoli, gli oggetti che trascendevano il male e la fallibilità dell’anima umana.

«Ma io che cosa ho a che fare con simili meschinità, amor mio?» sussurrò. «E tu vorresti insegnarmi a conoscere il tuo mondo? Ah, quale vanità! Io sono al di fuori del tempo, come lo sono sempre stata.»

Tuttavia ora mi guardava con un’espressione desolata. Angoscia, ecco ciò che vedevo in lei.

«Ho bisogno di te!» bisbigliò. E per la prima volta i suoi occhi si riempirono di lacrime.

Non lo sopportavo. Sentivo i brividi inondarmi, come sempre, nei momenti della sofferenza. Ma lei mi posò le dita sulle labbra per farmi tacere.

«Sta bene, amor mio», disse. «Andremo dai tuoi fratelli e dalle tue sorelle, se lo desideri. Andremo da Marius. Ma prima lascia che ti stringa ancora una volta al cuore. Vedi, non posso essere altro che ciò che vorrei. È questo che tu hai destato con il tuo canto; è ciò che sono!»

Volevo protestare, negare; volevo ricominciare la discussione che ci avrebbe divisi e l’avrebbe fatta soffrire. Ma non riuscivo a trovare le parole mentre la guardavo negli occhi. E all’improvviso compresi cosa stava accadendo.

Avevo trovato il modo di fermarla; avevo trovato la chiave: l’avevo sempre avuta davanti. Non era il suo amore per me, ma il suo bisogno di me, il bisogno di un alleato nel grande reame, un’anima affine, fatta della sua stessa sostanza. Aveva creduto di potermi rendere come lei, e ora sapeva che non poteva.

«Ah, ma t’inganni», disse con gli occhi pieni di lacrime. «Sei soltanto giovane e spaventato.» Sorrise. «Tu appartieni a me. E se così dovrà essere, mio principe, ti annienterò.»