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Non parlai. Non potevo. Sapevo che cosa avevo visto; lo sapevo anche se lei non poteva accettarlo. Non era mai stata sola, in tutti questi secoli di silenzio. Oh, non era una cosa semplice come Enkil al suo fianco, o Marius che veniva a deporre offerte davanti a lei. Era qualcosa di più profondo, infinitamente più importante: non aveva mai combattuto da sola una guerra della ragione con quelli che le stavano intorno!

Le lacrime le scorrevano sulle guance. Due violente striature rosse. La sua bocca era socchiusa, le sopracciglia contratte, sebbene il suo volto continuasse a essere radioso.

«No, Lestat», disse di nuovo. «Hai torto. Ma ormai dobbiamo andare fino in fondo. Se devono morire tutti, affinchè ti aggrappi a me, così sia.» Aprì le braccia.

Volevo indietreggiare, volevo inveire contro di lei e contro le sue minacce. Ma non mi mossi mentre si avvicinava.

Qui; la calda brezza dei Caraibi; le sue mani che si muovevano sulla mia schiena; le sue dita che si insinuavano tra i miei capelli. Il nettare che fluiva di nuovo in me e mi inondava il cuore. E poi le sue labbra sulla mia gola, la trafittura improvvisa dei suoi denti. Sì! Com’era avvenuto nel sacrario tanto tempo prima, sì! Il suo sangue e il mio sangue. E il rombo assordante del suo cuore, sì! Era l’estasi, e tuttavia non potevo cedere. Non potevo, e lei lo sapeva.

8. LA STORIA DELLE GEMELLE

[conclusione]

Trovammo il palazzo esattamente come lo ricordavamo, o forse solo un po’ più lussuoso, perché arricchito dal bottino di altre terre conquistate. Altri drappi d’oro e dipinti ancora più vividi, e un numero doppio di schiavi come se fossero semplici ornamenti, con i corpi nudi carichi d’oro e gemme.

«Fummo accompagnate in una cella reale, con sedie e tavole eleganti, e uno splendido tappeto, e ci furono portati piatti di carne e di pesce.

«Al tramonto udimmo le acclamazioni di quando il re e la regina apparvero nel palazzo: tutta la corte andò a rendere omaggio, cantando inni alla bellezza della loro carnagione pallida, dei loro capelli splendenti e dei corpi che erano miracolosamente risanati dopo l’aggressione dei cospiratori. E tutto il palazzo echeggiava di quei canti di lode.

«Ma quando lo spettacolo finì, fummo accompagnate nella camera da letto della coppia reale, e per la prima volta, nella luce fioca delle lampade lontane, vedemmo la trasformazione con i nostri occhi.

«Vedemmo due esseri pallidi e magnifici, simili in ogni particolare a ciò che erano stati da vivi; tuttavia emanavano una strana luminescenza, e la loro pelle non era più tale, come le loro menti non appartenevano più, interamente, a loro. Tuttavia erano splendidi. Come potete immaginare tutti. Ah, sì, splendidi come se la luna fosse discesa dal cielo e li avesse modellati con la sua luce. Stavano fra i mobili d’oro, drappeggiati di stoffe preziose, e ci guardavano con occhi che rifulgevano come ossidiana. Poi, con voce completamente diversa che sembrava sfumata dalla musica, il re parlò.

«‘Khayman vi ha detto, ciò che vi è accaduto. Avete davanti a voi i beneficiari di un grande miracolo, perché abbiamo trionfato sulla morte certa. Ora abbiamo trasceso i limiti e le esigenze degli esseri umani; e vediamo e comprendiamo cose che prima ci erano nascoste.’

«Ma la rigidità della regina cedette immediatamente, ed ella disse con un sibilo: ‘Dovete spiegarci tutto questo! Che cos’ha fatto il vostro spirito?’

«Eravamo più che mai in pericolo di fronte a quei mostri. Cercai di trasmettere l’avvertimento a Mekare, ma la regina rise. ‘Credi che non sappia cosa stai pensando?’ chiese.

«Il re l’implorò di tacere. ‘Lascia che le streghe usino i loro poteri’, disse. ‘Sapete che vi abbiamo sempre riverite.’

«‘Sì’, osservò irridente la regina. ‘E voi ci avete mandato questa maledizione.’

«Subito giurai che non era opera nostra e che avevamo mantenuto l’impegno dopo aver lasciato il reame, quando eravamo tornate a casa nostra. E mentre Mekare li studiava in silenzio, li implorai di comprendere che, se lo spirito aveva fatto una cosa simile, l’aveva fatto per proprio capriccio.

«‘Capriccio!’ esclamò la regina. ‘Cosa intendi con questa parola? Che cosa ci è accaduto? Che cosa siamo?’ chiese di nuovo. Poi aggricciò le labbra per mostrare i denti. Vedemmo le zanne, minuscole e acuminate come coltelli. Anche il re ci rivelò lo stesso mutamento.

«‘Per succhiare meglio il sangue’, mormorò. ‘Sapete cos’è per noi questa sete? Non riusciamo a saziarla, quattro uomini muoiono ogni notte per nutrirci, tuttavia andiamo a letto torturati dalla sete.’

«La regina si strappava i capelli come se stesse per urlare. Ma il re le posò la mano sul braccio. ‘Consigliateci, Mekare e Maharet’, disse. ‘Perché vogliamo comprendere questa trasformazione e sapere come può essere usata a fin di bene.’

«‘Sì’, disse la regina, cercando di riprendersi. ‘Perché sicuramente una cosa simile non può accadere senza ragione…’ Poi tacque, poco convinta. Sembrava che la sua meschina visione pratica delle cose, sempre in cerca di giustificazioni, fosse completamente crollata, mentre il re si aggrappava alle illusioni come fanno spesso gli uomini fino a che giungono molto avanti negli anni.

«Quando tacquero entrambi, Mekare si avvicinò e posò le mani sulle spalle del re e chiuse gli occhi. Quindi posò le mani sulla regina, nello stesso modo, sebbene la regina la guardasse con un’espressione colma di veleno.

«‘Spiegaci’, disse Mekare guardandola, ‘che cosa accadde in quel momento. Che cosa ricordi? Che cosa vedesti?’

«La regina taceva, cupa e sospettosa. Per la verità, la sua bellezza era esaltata dalla trasformazione; tuttavia c’era in lei qualcosa di ripugnante come se ora non fosse più il fiore, ma una copia del fiore, realizzata in cera bianca. E mentre rifletteva, assumeva un’aria tetra e feroce. Istintivamente mi accostai a Mekare, per cercare di proteggerla.

«Ma la regina parlò: ‘Erano venuti per ucciderci, i traditori! Intendevano indicare come colpevoli gli spiriti: era il loro piano, per tornare a mangiare di nuovo la carne delle madri e dei padri, e la carne di coloro che amavano cacciare. Entrarono nella casa e mi trafissero con i pugnali, sebbene fossi la loro regina’. Tacque come se vedesse di nuovo quella scena. ‘Caddi sotto i loro colpi, mentre mi trafiggevano con i pugnali. Non si può sopravvivere a simili ferite; e quando caddi sapevo d’essere morta! Capite quel che sto dicendo? Sapevo che nulla poteva salvarmi. Il mio sangue sgorgava sul pavimento.

«‘Ma mentre lo vedevo formare una pozza davanti a me, mi accorsi che non ero nel mio corpo straziato, che l’avevo già abbandonato, e la morte mi aveva presa e mi stava trascinando verso l’alto, come attraverso un grande tunnel verso un luogo dove non avrei più sofferto!

«‘Non avevo paura; non sentivo nulla. Abbassai lo sguardo e mi vidi distesa nella piccola casa, pallida e coperta di sangue. Ma non m’importava. Ero libera. All’improvviso qualcosa mi afferrò, afferrò il mio essere invisibile! Il tunnel era scomparso; ero presa in una grande rete, simile a quella d’un pescatore. Spinsi con tutte le mie forze: cedeva ma senza spezzarsi e mi tratteneva e mi impediva di continuare l’ascesa.

«‘Quando tentai di urlare, ero di nuovo nel mio corpo! Sentivo la sofferenza delle ferite come se le lame mi trafiggessero di nuovo. Ma la rete, la grande rete, continuava a tenermi; e anziché essere infinita come prima, adesso era contratta in una tessitura più fitta, come un gran velo di seta.

«‘E tutto intorno a me questa rete, visibile eppure invisibile, turbinava come se fosse un vento e mi trascinava. Il sangue sgorgava dalle ferite e scorreva nella trama del velo come in un qualunque tessuto.

«‘E ciò che prima era trasparente, adesso era intriso di sangue. E vidi una cosa mostruosa, informe, colossale e soffusa di quel sangue, ma dotata di un’altra proprietà: un centro. Sembrava un minuscolo centro bruciante che era in me e si scatenava nel mio corpo come un animale spaventato. Mi scorreva nelle membra e martellava e palpitava, come un cuore dalle gambe scalpitanti. Si aggirava nel mio ventre, mentre io mi graffiavo: avrei voluto dilaniarmi pur di estromettere quella cosa!