«Mekare non rispose. Sapevo che li studiava e si sforzava di vedere le loro forme, non come le avrebbe viste un umano, ma come una strega; lasciava che la quiete e il silenzio si addensassero intorno a loro per poter osservare gli aspetti impercettibili che sfuggivano agli sguardi normali. Andò in trance, mentre guardava e ascoltava. Quando parlò, la sua voce era spenta.
«‘Sta intervenendo sul vostro corpo, come il fuoco interviene sul legno che consuma e come i vermi intervengono sulla carcassa d’animale. La sua opera è inevitabile; è la continuazione della fusione avvenuta; e il sole lo ferisce, perché usa tutta la sua energia per fare ciò che deve e non sopporta il calore del sole che l’investe.’
«‘E neppure la luce viva di una torcia’, sospirò il re.
«‘A volte neppure la fiamma di una candela’, disse la regina.
«‘Sì’, disse Mekare, scuotendosi dalla trance. ‘E siete morti’, soggiunse in un sussurro. ‘Eppure siete vivi! Se le ferite si sono rimarginate come hai detto, se hai risanato il re, allora forse hai sconfitto la morte, sempre che non ti avventuri sotto i raggi ardenti del sole.’
«‘No, questo non può continuare!’ disse il re. ‘La sete, voi non sapete quanto è terribile la sete.’
«Ma la regina sorrise di nuovo con la stessa amarezza. ‘Questi non sono più corpi viventi. Sono ospiti per il demone.’ Le tremavano le labbra mentre ci guardava. ‘Altrimenti, noi siamo veramente divinità!’
«‘Rispondete, streghe!’ disse il re. ‘È possibile che ora siamo essere divini, benedetti dai doni comuni solo agli dèi?’ Sorrideva mentre pronunciava queste parole; era ciò che desiderava credere. ‘Non è possibile che quando il vostro demone ha cercato di annientarci, i nostri dèi siano intervenuti?’
«Una luce maligna brillava negli occhi della regina. L’idea le piaceva, ma non lo credeva… non esattamente.
«Mekare mi guardò. Voleva che io mi avvicinassi e li toccassi come aveva già fatto. Voleva che li guardassi come lei li aveva guardati. C’era qualcosa d’altro che desiderava dire; tuttavia non ne era sicura. Io avevo poteri istintivi un po’ più forti, sebbene fossi meno dotata di lei per quanto riguardava le parole.
«Mi accostai. Toccai la loro pelle bianca sebbene mi ispirasse ripugnanza, come loro stessi me l’ispiravano per tutto ciò che avevano fatto alla nostra gente e a noi. Li toccai, quindi mi scostai e li guardai, e vidi l’opera di cui aveva parlato Mekare. Udivo addirittura il turbinare instancabile dello spirito. Imposi il silenzio alla mia mente, la sgombrai da preconcetti e paure, e mentre discendeva in me la calma della trance, mi decisi a parlare: «‘Vuole altri esseri umani’, dissi. Guardai Mekare. Era ciò che aveva sospettato.
«‘Noi gli offriamo tutti quelli che possiamo!’ esclamò la regina. E il rossore della vergogna riapparve sulle guance pallide. Anche il volto del re si colorò. E compresi allora, come lo comprese Mekare, che quando bevevano il sangue conoscevano l’estasi. Non avevano mai conosciuto un simile piacere, né nel loro letto, né al tavolo dei banchetti, e neppure quando erano ebbri di birra o di vino. Quella era la causa della vergogna. Non era per l’uccisione ma per il nutrimento mostruoso. E il piacere. Ah, erano una degna coppia!
«Ma mi avevano fraintesa. ‘No’, spiegai. ‘Vuole altri come voi, vuole impossessarsi d’altri per farne bevitori di sangue come ha fatto con il re; è troppo immenso per essere contenuto in due piccoli corpi umani. La sete diverrà sopportabile solo quando ne creerete altri che divideranno con voi questo peso.’
«‘No!’ urlò la regina. ‘Questo è impensabile!’
«‘Sicuramente non può essere così semplice’, dichiarò il re. ‘Entrambi siamo stati creati in un unico, terribile istante, mentre i nostri dèi facevano guerra al demone… probabilmente mentre i nostri dèi facevano guerra e vincevano.’
«‘Non lo credo’, dissi.
«‘Tu affermi’, chiese la regina, ‘che se nutriamo altri con questo sangue, anch’essi saranno contagiati?’ Ma ora ricordava ogni dettaglio della catastrofe. Il marito morente, con il cuore che non batteva più, e il sangue che gli sgocciolava nella bocca.
«‘Ma io non ho sangue sufficiente per una cosa simile!’ dichiarò. ‘Io sono soltanto ciò che sono? Poi pensò alla sete e a tutti i corpi che l’avevano servita.
«E ci rendemmo conto dell’ovvio: aveva succhiato il sangue del marito prima che lui lo riprendesse; e così tutto si era compiuto. Il re s’era trovato in punto di morte, estremamente ricettivo, con lo spirito che stava per liberarsi ed era pronto a venire incatenato dai tentacoli invisibili di Amel.
«Naturalmente entrambi lesserò quei pensieri.
«‘Io non credo a ciò che dici’, esclamò il re. ‘Gli dèi non lo permetterebbero. Noi siamo il re e la regina di Kemet. Peso o benedizione, questa magia è destinata a noi.’
«Vi fu un momento di silenzio. Poi riprese a parlare, con grande sincerità. ‘Non capite, streghe? Era destino. Eravamo destinati a invadere la vostra terra, a portare qui voi e questo demone, affinchè ciò accadesse. Noi soffriamo, è vero, ma ora siamo dèi; questo è un fuoco sacro, e dobbiamo rendere grazie per ciò che ci è accaduto.’
«Cercai di trattenere Mekare perché non parlasse; le strinsi forte la mano. Ma già sapevano cosa intendeva dire. La sua convinzione li sconvolgeva.
«‘Molto probabilmente potrebbe trasmettersi a chiunque’, disse, ‘se le condizioni si ripetessero, se l’uomo o la donna fosse debole e morente in modo che Amel potesse stabilire il suo dominio.’
«Ci fissarono in silenzio. Il re scosse la testa. La regina distolse lo sguardo, disgustata. Ma poi il re sussurrò: ‘Se è così, allora altri possono cercare di toglierlo a noi!’
«‘Oh, sì’, mormorò Mekare. ‘Se li rendesse immortali, lo farebbero sicuramente. Infatti, chi non vorrebbe vivere in eterno?’
«Il volto del re si trasformò. Incominciò a camminare avanti e indietro. Guardò la moglie che aveva gli occhi sbarrati come se fosse sul punto d’impazzire e le disse con grande prudenza: ‘Allora sappiamo ciò che dobbiamo fare. Non possiamo generare una razza di simili mostri! Lo sappiamo!’
«Ma la regina si tappò gli orecchi con le mani e incominciò a urlare. Prese a singhiozzare e finalmente a gridare in preda alla sofferenza, con le dita contratte mentre levava lo sguardo verso il soffitto.
«Io e Mekare ci ritirammo in un angolo della camera e ci stringemmo l’una all’altra. Poi Mekare incominciò a tremare e a piangere, e io sentii le lacrime salirmi agli occhi.
«‘Siete state voi a farmi questo!’ ruggì la regina, e non avevamo mai udito una voce umana raggiungere un simile volume. E mentre infuriava e fracassava tutto ciò che c’era nella stanza, vedemmo in lei la forza di Amel, perché faceva ciò che nessun umano avrebbe potuto fare. Scagliava gli specchi contro il soffitto e i mobili dorati andavano in frantumi sotto i suoi pugni. ‘Che siate maledette e possiate finire in eterno negli inferi tra i demoni e le belve, per ciò che ci avete fatto!’ urlò. ‘Abominio! Streghe! Voi e il vostro demone! Dite che non siete state voi a mandarlo. Ma l’avete fatto nei vostri cuori. Avete mandato questo demone! E il demone ha letto nei vostri cuori, come lo leggo io ora, che ci auguravate questo male!’
«Ma il re la prese fra le braccia, la convinse a tacere e la baciò, e lasciò che singhiozzasse contro il suo petto.
«Finalmente Akasha si staccò da lui. Ci fissò con gli occhi colmi di sangue. ‘Mentite!’ disse. ‘Mentite come i vostri demoni hanno mentito! Pensate che potesse accadere una cosa simile se non era destino che accadesse?’ Si rivolse al re. ‘Oh, non capisci? Siamo stati sciocchi ad ascoltare queste mortali che non possiedono i nostri poteri! Ah, ma noi siamo giovani divinità, e dobbiamo sforzarci di apprendere i disegni del cielo. E sicuramente il nostro destino è chiaro: lo vediamo nei doni che ci appartengono.’