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«Mai però, in tutto quel tempo, rivelai alla mia famiglia la magia malefica che era stata operata su di me. Ero decisa a fare in modo che quel male non toccasse mai la famiglia; perciò se usavo i miei crescenti poteri sovrannaturali, era in segreto, e in modo che si potessero spiegare naturalmente.

«Alla terza generazione io ero soltanto una parente ritornata dopo molti anni vissuti in un’altra terra. Se e quando intervenivo, per portare oro o consigli alle mie figlie, lo facevo come poteva farlo un essere umano.

«Trascorsero migliaia d’anni mentre osservavo la famiglia nell’anonimato; solo ogni tanto recitavo la parte della parente che tornava in questo o in quel villaggio o a qualche riunione di famiglia per abbracciare i bambini.

«Ma nei primi secoli dell’era cristiana un altro concetto aveva colpito la mia immaginazione. Creai quindi un apposito ramo della famiglia che conservasse tutta la documentazione; ormai c’erano tavolette e rotoli in abbondanza, e anche molti libri rilegati. In ogni generazione di questo ramo inventato c’era una donna che aveva il compito di occuparsi dei documenti. Il nome Maharet accompagnava tale onore; e quando il tempo lo imponeva, la vecchia Maharet moriva, e una giovane Maharet ereditava la mansione.

«Così anch’io ero inserita nella famiglia che mi conosceva e di cui corrispondevo l’affetto. Divenni la corrispondente premurosa, la benefattrice, la visitatrice misteriosa ma fidata che appariva per sanare le rotture e raddrizzare i torti. E sebbene mille passioni mi consumassero, sebbene vivessi per secoli in terre diverse, imparando nuove lingue e nuovi costumi e meravigliandomi dell’infinita bellezza del mondo e del potere dell’immaginazione umana, ritornavo sempre alla famiglia che mi conosceva e si attendeva molto da me.

«Con il passare dei secoli e dei millenni, non sprofondai mai sottoterra come hanno fatto molti di voi. Non dovetti mai affrontare la follia e l’amnesia com’era comune tra i vecchi che spesso diventavano simili alla Madre e al Padre, statue sepolte nel sottosuolo. Non è mai trascorsa una notte, fin da quei primi tempi, senza che io abbia aperto gli occhi e ricordato il mio nome e riconosciuto il mondo intorno a me, pronta a riannodare il filo della mia vita.

«Non che la follia non mi minacciasse e la stanchezza non fosse a volte opprimente. Non è che l’angoscia non mi amareggiasse e i misteri non mi confondessero, e che io non conoscessi la sofferenza.

«Ma avevo i documenti della mia famiglia da salvaguardare, avevo la mia progenie da seguire e da guidare nel mondo. Perciò, anche nei tempi più bui, quando l’esistenza umana mi sembrava mostruosa e insopportabile, e i cambiamenti del mondo incomprensibili, mi rivolgevo alla famiglia come se fosse la sorgente della vita.

«E la famiglia mi insegnava i ritmi e le passioni d’ogni nuova epoca, mi portava in terre lontane dove forse non mi sarei mai avventurata da sola; la famiglia era la mia guida nel tempo e nello spazio. La mia maestra, il mio libro della vita. La famiglia era tutto.»

Maharet s’interruppe.

Per un momento sembrò che stesse per dire qualcosa di più. Poi si alzò, guardò gli altri e fissò Jesse.

«Ora voglio che veniate con me. Voglio mostrarvi che cosa è diventata questa famiglia.»

Tutti si alzarono in silenzio e attesero mentre Maharet girava intorno al tavolo, quindi la seguirono fuori dalla sala. La seguirono attraverso il ballatoio di ferro, nel pozzo della scala e in un’altra grande camera in cima alla montagna, con il tetto di vetro e i muri massicci.

Jesse fu l’ultima a entrare, e ancor prima di aver varcato la soglia intuì ciò che avrebbe veduto. Una sofferenza squisita la pervase, una sofferenza colma di ricordi felici e di nostalgie indimenticabili. Era la stanza priva di finestre dove era entrata molto tempo prima.

Ricordava chiaramente il camino di pietra e le poltrone di pelle scura; ricordava l’aria di grande eccitazione segreta che superava infinitamente il ricordo delle cose fisiche, e che da allora l’aveva sempre ossessionata e circondata di sogni rammentati vagamente.

Sì, c’era la grande mappa elettronica del mondo con i continenti appiattiti e coperti di migliaia e migliaia di minuscole spie luminose.

E le altre tre pareti così scure che sembravano coperte d’una fine rete metallica nera, sino a che si capiva che in realtà era un rampicante disegnato in inchiostro che riempiva ogni millimetro fra il pavimento e il soffitto; cresceva da un’unica radice in un angolo, si divideva in un milione di rami e ogni ramo era circondato da innumerevoli nomi scritti meticolosamente.

Un grido soffocato uscì dalle labbra di Marius quando si voltò e girò lo sguardo dalla mappa luminosa all’albero genealogico. Armand sorrise tristemente; e Mael fece una smorfia, sebbene fosse sbalordito.

Gli altri guardavano in silenzio. Eric conosceva già quei segreti; Louis, il più umano di tutti, aveva le lacrime agli occhi, Daniel osservava con aperta meraviglia. Mentre Khayman, con lo sguardo velato di mestizia, guardava la mappa come se non la vedesse e fosse ancora assorto nella contemplazione del passato.

Gabrielle annuì, con un mormorio sommesso di approvazione e di piacere.

«La Grande Famiglia», disse con uno schietto tono di riconoscimento mentre guardava Maharet.

Anche Maharet annuì.

Indicò la grande mappa del mondo che copriva la parete meridionale.

Jesse seguì l’immensa processione di luci che l’attraversavano: uscivano dalla Palestina e si spandevano in tutta l’Europa, discendevano in Africa e in Asia, e finalmente dilagavano in entrambi i continenti del Nuovo Mondo. Innumerevoli luci di vari colori… e mentre Jesse offuscava deliberatamente la vista, riconobbe quella grande diaspora per ciò che era. Vedeva anche i vecchi nomi di continenti e paesi e mari, scritti in oro sulla vetrata che copriva l’immagine tridimensionale di montagne, pianure, valli.

«Questi sono i miei discendenti», disse Maharet. «I discendenti di Miriam che era figlia mia, di Khayman e della mia gente, il cui sangue era in me e in Miriam, seguiti attraverso la linea matrilineare come la vedete davanti a voi, per seimila anni.»

«Inimmaginabile», mormorò Pandora. Anche lei era triste e stava per piangere. Aveva una bellezza malinconica, grandiosa e remota, e tuttavia tale da ricordare il calore che un tempo era esistito in lei, naturale e travolgente. Sembrava che quella rivelazione la facesse soffrire, perché le rammentava tutto ciò che aveva perduto da molto tempo.

«È una famiglia umana», disse a voce bassa Maharet. «Tuttavia non c’è nazione della terra che non ne accolga una parte; e i discendenti dei maschi, sangue del nostro sangue e mai contati, sicuramente esistono in numero eguale a coloro che conosciamo per nome. Molti di quelli che si addentrarono nella Grande Russia e in Cina e in Giappone e in altre regioni poco note andarono perduti per questa documentazione, come altri di cui persi le tracce nel corso dei secoli per svariate ragioni. Tuttavia i loro discendenti sono là! Non c’è un popolo, una razza, un paese che non contenga qualcuno della Grande Famiglia! La Grande Famiglia è araba, ebrea, anglosassone, africana; è indiana, è mongola, è giapponese e cinese. Insomma, la Grande Famiglia è la famiglia umana.

«Sì», mormorò Marius. Era straordinario vedere l’emozione sul suo volto, il lieve rossore del colorito umano e la luce sottile negli occhi, la luce che sfida sempre ogni descrizione. «Una famiglia e tutte le famiglie…» disse. Si accostò all’enorme mappa e alzò le mani, mentre studiava il corso delle luci che si muovevano sul terreno accuratamente modellato.