Jesse si sentì avvolgere dall’atmosfera di quella notte lontana; e poi impiegabilmente i ricordi, divampati per un istante, svanirono come se non avessero più importanza. Era lì con tutti i segreti, era di nuovo in quella camera.
Si avvicinò alle finissime scritte sulle pareti, guardò le miriadi di minuscoli nomi in inchiostro nero, si scostò e seguì il progresso di un ramo, un ramo esile e delicato, che saliva al soffitto con cento biforcazioni e volute.
E nel bagliore dei sogni realizzati, pensò con affetto a tutte le anime che avevano formato la Grande Famiglia conosciuta da lei, al mistero dell’eredità e dell’intimità. Era un momento al di fuori del tempo e silenzioso; non vedeva i volti bianchi dei nuovi parenti, le splendide forme immortali colte nella bizzarra immobilità.
Qualcosa del mondo reale era ancora vivo per lei; era qualcosa che evocava reverenza e angoscia, e forse anche l’amore più bello di cui fosse mai stata capace; per un momento sembrò che la possibilità naturale e quella sovrannaturale fossero eguali nel loro mistero. Erano eguali nel loro potere. E tutti i miracoli degli immortali non potevano splendere più di quella semplice, immensa cronaca. La Grande Famiglia.
La sua mano si alzò come se avesse vita propria. E la luce investì il braccialetto argenteo di Mael che portava ancora al polso, mentre posava in silenzio le dita sulla parete. Cento nomi coperti dal palmo della sua mano.
«Ecco ciò che ora viene minacciato», disse Marius con voce triste, senza staccare gli occhi dalla mappa.
Jesse si stupì che una voce potesse essere così forte e tuttavia così sommessa. No, pensò, nessuno farà del male alla Grande Famiglia. Nessuno!
Si rivolse a Maharet che la guardava. Eccoci qui, pensò Jesse, alle estremità opposte di questa linea, Maharet e io.
Una sofferenza terribile crebbe dentro di lei. Terribile. Venire trascinata via da tutte le cose reali, era stato irresistibile; ma pensare che tutte le cose reali potessero venire travolte, questo era insopportabile.
Durante i lunghi anni trascorsi con il Talamasca, quando aveva visto spiriti e fantasmi irrequieti, poltergeist che terrorizzavano le vittime stravolte e chiaroveggenti che parlavano in lingue straniere, aveva sempre saputo che il sovrannaturale non poteva mai sovrapposti al naturale. Maharet aveva avuto, ragione! Irrilevante, sì, irrilevante, incapace di intervenire!
Ma ora tutto ciò stava per cambiare. L’irreale era stato reso, reale. Era assurdo stare in quella camera, tra quelle forme impotenti, e dire: «Ciò non può accadere». La cosa, la cosa chiamata Madre, poteva protendersi attraverso il velo che per tanto tempo l’aveva separata dagli occhi mortali, e poteva toccare un milione di anime umane.
Che cosa vedeva Khayman quando la guardava, ora, come se la comprendesse? Vedeva in Jesse la propria figlia?
«Sì», disse Khayman. «Mia figlia. E non temere. Mekare verrà, realizzerà la maledizione. E la Grande Famiglia continuerà a esistere.»
Maharet sospirò. «Quando ho saputo che la Madre s’era destata, non ho intuito ciò che avrebbe potuto fare. Colpire i suoi figli, annientare il male che era derivato da lei e da Khayman e da me e da tutti coloro che hanno spartito con altri questo potere… ah, non potevo contestarlo! Che diritto abbiamo di vivere? Che diritto abbiamo d’essere immortali? Noi siamo incidenti; siamo orrori. E sebbene io voglia vivere, avidamente come l’ho sempre voluto, non posso dire sia male che la Madre abbia sterminato tanti…»
«Ne sterminerà altri!» esclamò disperatamente Eric.
«Ma è la Grande Famiglia, quella che ora cade sotto la sua ombra», disse Maharet. «È il mondo della Grande Famiglia, che la Madre vorrebbe far suo. A meno che…»
«Mekare verrà», disse Khayman. Un sorriso semplice animava il suo volto. «Mekare metterà in atto la maledizione! Io ho fatto di Mekare ciò che è, perché potesse riuscire in tale compito. Ora quella maledizione è anche la nostra.»
Maharet sorrise, ma la sua espressione era immensamente diversa. Era triste, indulgente, e di una strana freddezza. «Ah, proprio tu credi a questa simmetria, Khayman!»
«E moriremo, tutti!» disse Eric.
«Deve esservi un modo per ucciderla», disse freddamente Gabrielle, «senza uccidere anche noi. Dobbiamo pensare a questo, tenerci pronti, ideare un piano.»
«Non puoi cambiare la profezia», sussurrò Khayman.
«Khayman, se abbiamo imparato qualcosa», disse Marius, «è che il destino non esiste. E se non esiste il destino, non può esservi neppure una profezia. Mekare viene qui per fare ciò che aveva giurato: forse è la sola cosa che ora sa o può fare, ma ciò non significa che Akasha non sia in grado di difendersi contro di lei. Non pensate che la Madre sappia che Mekare si è destata? Non pensate che la Madre abbia veduto e udito i sogni dei suoi figli?»
«Oh, ma le profezie tendono a realizzarsi da sole», disse Khayman. «È la loro magia. Anticamente, tutti lo comprendevamo: il potere degli incantesimi è il potere della volontà; si potrebbe dire che eravamo tutti geni della psicologia in quei tempi tenebrosi, e potevamo essere uccisi dalla potenza dei disegni di un altro. E i sogni. I sogni, Marius, non sono altro che una parte d’un grande disegno.»
«Non parlare come se tutto si fosse già compiuto», disse Maharet. «Abbiamo un altro strumento. Possiamo usare la ragione. Ora quella creatura parla, no? Comprende ciò che le viene detto. Forse sarà possibile dissuaderla…»
«Oh, sei pazza, veramente pazza!» esclamò Eric. «Intendi parlare con il mostro che ha vagato per il mondo incenerendo la sua discendenza?» Era sempre più spaventato. «Cosa sa della ragione, colei che aizza le donne ignoranti a insorgere contro i loro uomini? Conosce il massacro e la morte e la violenza, sono le sole cose che ha conosciuto da sempre, come dimostra la tua storia. Noi non cambiamo, Maharet. Quante volte me l’hai ripetuto! Ci avviciniamo sempre più alla perfezione di ciò che eravamo destinati a essere.»
«Nessuno di noi vuole morire, Eric», disse con pazienza Maharet. Ma all’improvviso qualcosa la distrasse.
Khayman lo percepì nello stesso momento. Jesse li studiò entrambi e tentò di comprendere ciò che vedeva. Poi si accorse che anche Marius aveva subito una trasformazione sottile. Eric era impietrito. Mael, con grande stupore di Jesse, la fissava.
Udivano un suono. Lo rivelava il modo in cui giravano gli occhi: la gente ascolta con gli occhi, li muove mentre cerca di assorbire il suono e di individuarne la provenienza.
All’improvviso Eric disse: «I più giovani devono scendere immediatamente nella cantina».
«È inutile», disse Gabrielle. «E poi voglio restare qui.» Non poteva udire il suono ma si sforzava di captarlo.
Eric si rivolse a Maharet. «Intendi lasciare che lei ci annienti uno per uno?»
Maharet non rispose. Girò lentamente la testa e guardò in direzione del ballatoio.
Poi anche Jesse udì il suono. Gli orecchi umani non potevano certo udirlo; era l’equivalente uditivo d’una tensione priva di vibrazioni, che pervadeva ogni particella di sostanza. Inondava e disorientava. Sebbene vedesse che Maharet parlava a Khayman e Khayman rispondeva, Jesse non riusciva a udire ciò che dicevano. Scioccamente, si portò le mani agli orecchi. Vide che Daniel aveva compiuto lo stesso gesto. Ma entrambi sapevano che era inutile.
Il suono parve all’improvviso arrestare il tempo. Jesse perse l’equilibrio: indietreggiò contro il muro e fissò la mappa come se cercasse un sostegno. Fissò il flusso delle luci che uscivano dall’Asia Minore e scorrevano verso sud.
Un fremito inudibile riempì la camera. Il suono s’era spento, tuttavia l’aria echeggiava d’un silenzio assordante.