Выбрать главу

In un sogno muto, o almeno così le parve, vide la figura del vampiro Lestat apparire sulla soglia; lo vide precipitarsi fra le braccia di Gabrielle; vide Louis avvicinarsi e abbracciarlo. Poi vide che il vampiro Lestat la guardava… e colse l’immagine lampeggiante del banchetto funebre, le gemelle, il corpo sull’altare. Lestat non sapeva che cosa significava! Non lo sapeva!

La rivelazione la sconvolse. Ritornò al momento sul palcoscenico, quando Lestat s’era sforzato di riconoscere un’immagine fuggevole mentre si separavano.

Poi, mentre gli altri lo attiravano lontano con abbracci e baci (persino Armand gli era andato incontro a braccia spalancate), le rivolse un sorriso lievissimo. «Jesse», mormorò.

Fissò gli altri, Marius, le facce fredde e diffidenti. E com’era bianca la sua carnagione, assolutamente bianca… tuttavia il colore, l’esuberanza, l’eccitazione quasi infantile erano esattamente come prima.

PARTE QUARTA

LA REGINA DEI DANNATI

Le ali agitano nel sole la polvere della cattedrale dove il Passato è sepolto fino al mento nel marmo
Stan Rice
da «Poem on Crawling into Bed: Bitterness»
Body of Work (1983)
Nel verde invetriato della siepe e dell’edera e di fragole non commestibili i gigli sono bianchi; remoti; estremi. Ah, se fossero i nostri custodi. Sono barbari.
Stan Rice
da «Greek Fragments»
Body of Work (1983)

Sedeva in fondo alla tavola e li attendeva; così immobile e placida, con la veste color magenta che dava alla sua pelle uno splendore carnale nella luce del fuoco.

Il viso era profilato dall’oro delle fiamme e il vetro scuro della finestra la rifletteva vividamente in uno specchio perfetto, come se l’immagine fosse reale e aleggiasse là fuori nella notte trasparente.

Paura. Paura per loro e per me. E stranamente anche per lei. Era come un brivido, un presentimento. Per lei. Lei che poteva distruggere tutti coloro che avevo amato.

Alla porta, mi voltai e baciai di nuovo Gabrielle. La sentii accasciarsi contro di me per un istante; poi la sua attenzione si concentrò su Akasha. Sentii il tremito leggero delle sue mani quando mi toccò il viso. Guardai Louis, il mio Louis apparentemente fragile, dalla compostezza apparentemente invincibile; e Armand, il monello dal volto d’angelo. Coloro che ami sono semplicemente… coloro che ami.

Marius era raggelato dalla collera quando entrò nella stanza: nulla poteva nasconderlo. Mi guardò minacciosamente… io che avevo ucciso quei poveri mortali indifesi e li avevo lasciati sparsi sulla montagna. Lo sapeva, no? E tutta la neve del mondo non poteva nasconderli. Ho bisogno di te, Marius. Abbiamo bisogno di te.

La sua mente era velata; tutte le loro menti lo erano. Potevano tenerle celati i loro segreti?

Mentre entravano, andai alla destra di Akasha perché era ciò che voleva, e perché sapevo che era il mio posto. Indicai a Gabrielle e Louis di sedere di fronte, vicini, dove potevo vederli. E l’espressione di Louis, così rassegnata e dolente, mi colpì al cuore.

La donna dai capelli rossi, la donna antica chiamata Maharet, sedette all’estremità opposta della tavola, più vicina alla porta. Marius e Armand erano alla sua destra. Alla sinistra c’era la giovane dai capelli rossi, Jesse. Maharet sembrava assolutamente passiva e composta, come se nulla potesse allarmarla. Ma era facile comprendere il perché. Akasha non poteva fare del male a quell’essere, né all’altro, l’antichissimo Khayman, che era seduto alla mia destra.

Quello chiamato Eric era terrorizzato, lo si vedeva. Sedette alla tavola con grande riluttanza. Anche Mael era spaventato, ma la paura lo rendeva furioso. Fissava minacciosamente Akasha, come se non si curasse di nascondere i propri sentimenti.

E Pandora, la bella Pandora dagli occhi scuri, appariva noncurante mentre prendeva posto vicino a Marius. Non guardava neppure Akasha: guardava al di là della vetrata e i suoi occhi si muovevano lentamente, affettuosamente sulla foresta buia, con le scure cortecce delle sequoie e il verde intenso.

L’altro che non si curava di nulla era Daniel. Avevo visto al concerto anche lui. Non avevo immaginato che Armand fosse in sua compagnia. Non avevo avuto la più vaga indicazione che Armand fosse presente. E pensare che tutto ciò che avremmo potuto dirci era perduto per sempre. Ma forse no. Avremmo avuto tempo da trascorrere insieme, io e Armand, e tutti noi. Daniel lo sapeva, il bel Daniel, il giornalista con il registratore che aveva dato l’avvio a tutto, in un certo senso, insieme a Louis in una stanza di Divisadero Street. Perciò guardava Akasha con tanta serenità, perciò esplorava la realtà di momento in momento.

Guardai Santino, un essere piuttosto regale dai capelli neri, che mi scrutava con aria calcolatrice. Anche lui non aveva paura, ma era disperatamente interessato a ciò che stava accadendo. Quando guardava Akasha era toccato dalla sua bellezza, come se aprisse in lui una ferita profonda. La vecchia fede divampò per un momento, la fede che per lui era stata più importante della sopravvivenza e che era stata bruciata amaramente.

Non c’era tempo per comprenderli tutti, per valutare i legami che li univano e chiedere il significato della strana immagine, le due donne dai capelli rossi e il corpo della loro madre, che rividi in un lampo fuggevole quando guardai Jesse.

Mi domandavo se potevo scrutare nella mia mente e trovarvi tutto ciò che cercavo di nascondere, ciò che inconsapevolmente nascondevo a me stesso.

Il viso di Gabrielle era imperscrutabile. I suoi occhi erano divenuti piccoli e grigi come se escludessero la luce e il colore; girò lo sguardo da me ad Akasha e poi di nuovo a me, come se cercasse di comprendere qualcosa.

Mi colse un terrore improvviso. Forse era sempre stato presente. Loro non avrebbero mai ceduto: qualcosa d’inveterato lo avrebbe impedito, come era accaduto a me. E vi sarebbe stata una risoluzione fatale prima che lasciassimo quella stanza.

Per un momento mi sentii paralizzato. All’improvviso afferrai la mano di Akasha e sentii le sue dita stringersi con delicatezza sulle mie.

«Taci, mio principe», disse in tono gentile. «Ciò che senti in questa stanza è la morte, ma è la morte delle credenze e delle costrizioni. Nulla di più.» Guardò Maharet. «La morte dei sogni, forse», disse, «dei sogni che avrebbero dovuto morire molto tempo fa.»

Maharet era passiva e senza vita per quanto può apparirlo un essere vivente. Gli occhi violetti erano stanchi, iniettati di sangue. E di colpo compresi il perché. Erano occhi umani. Stavano morendo nelle sue orbite. Il suo sangue vi infondeva continuamente vita, ma non era sufficiente. Troppi minuscoli nervi del suo corpo erano morti.

Rividi la visione del sogno. Le gemelle, il corpo davanti a loro. Qual era il nesso?

«Non è nulla», sussurrò Akasha. «Una cosa dimenticata da molto tempo, perché ora non vi sono risposte nella storia. Abbiamo trasceso la storia. La storia è costruita sugli errori, e noi incominceremo con la verità.»

Marius intervenne prontamente.

«Non c’è nulla che possa persuaderti a fermarti?» Il tono era infinitamente più umile di quanto mi aspettassi. Stava teso in avanti, con le dita intrecciate e l’atteggiamento di chi si sforza d’essere ragionevole. «Che cosa possiamo dire? Vogliamo che tu smetta le apparizioni. Vogliamo che tu non intervenga più.»