Baby Jenks rallentò poi spense il motore. Faceva troppo chiasso in quella specie di valle scura. Avrebbe potuto richiamare i poliziotti. Doveva scendere e spingere la moto. Non aveva le gambe abbastanza lunghe per farcela in un altro modo. Ma andava bene così. Le piaceva camminare su quegli strati di foglie morte. Le piaceva quella strada tranquilla.
Cribbio, se fossi un vampiro di città anch’io abiterei qui, pensò. E in fondo alla strada vide la casa della congrega, vide i muri di mattoni e i bianchi archi moreschi. Il cuore incominciò a battere forte.
Bruciata!
In un primo momento non riuscì a crederlo. Poi vide che era vero: vide le grandi striature nere sui mattoni e le finestre scoppiate, neppure un vetro rimasto intatto. Gesù Cristo! Le sembrava di impazzire. Si avvicinò spingendo la moto e si morse così forte le labbra da sentire il sapore del proprio sangue. Incredibile. Chi diavolo era stato a farlo? C’erano schegge di vetro sparse su tutto il prato e persino sugli alberi, e quel posto scintillava in un modo che probabilmente gli umani non potevano capire. Le sembravano decorazioni natalizie uscite da un incubo. E il puzzo di legno bruciato era ancora nell’aria.
Stava per piangere. Stava per mettersi a urlare. Ma poi sentì qualcosa. Non era un suono vero, ma una delle cose che Killer le aveva insegnato ad ascoltare. Là dentro c’era un Morto!
Non riusciva a credere di avere tanta fortuna; non le importava niente di quello che era successo. Doveva entrare. Sì, là dentro c’era qualcuno. Era molto debole. Si avvicinò di qualche passo e le foglie morte scricchiolarono sotto i suoi piedi. Non c’era luce, ma là dentro si muoveva qualcosa, e sapeva che lei si avvicinava. E quando Baby Jenks si fermò con il cuore che martellava, spaventata ma ansiosa di entrare, qualcuno uscì sotto il portico, un Morto che la fissava.
«Dio sia ringraziato», mormorò lei. Non era uno stronzo in abito a tre pezzi. Era un ragazzo che forse non aveva avuto che due anni più di lei quando l’avevano iniziato, e sembrava davvero speciale. Come se avesse i capelli d’argento, tanto per cominciare, bei capelli grigi e ricci, e stavano sempre benissimo a un giovane. Era alto, anche, circa uno e ottantacinque, e magro, davvero elegante. La carnagione era così bianca che sembrava di ghiaccio, e indossava un maglione marrone scuro con il collo alto, molto attillato sul petto, e giubbotto e pantaloni di pelle marrone d’ottimo taglio, molto diversi dalle tenute dei motociclisti. Era davvero sensazionale, e più carino di tutti i Morti della Banda delle Zanne.
«Entra!» disse lui, sibilando. «Presto.»
Baby Jenks salì i gradini come se volasse. L’aria era ancora piena di cenere che le bruciava gli occhi e la faceva tossire. Metà del portico era crollato. Avanzò con prudenza nel corridoio. Era rimasto un tratto della scala, ma il tetto era scoperchiato. E il lampadario era caduto: era tutto schiacciato e pieno di fuliggine. Quel posto era davvero agghiacciante, come una casa infestata.
Il Morto era nel soggiorno o in quel che ne restava, e frugava fra la roba bruciata con aria irosa.
«Baby Jenks, vero?» disse, rivolgendole uno strano sorriso falso che mostrava i denti perlacei, incluse le piccole zanne. E gli occhi grigi brillavano. «E ti sei persa, vero?»
Be’, un altro capace di leggere nei pensieri, come Davis. E aveva l’accento straniero.
«E allora?» disse lei. Era davvero sorprendente: afferrò il nome come se fosse una palla e lui gliel’avesse lanciata. Laurent. Era un nome di classe e aveva un suono francese.
«Resta lì, Baby Jenks», disse Laurent. Anche l’accento doveva essere francese. «Erano tre in questa congrega, e due sono stati inceneriti. La polizia non può scoprirne i resti, ma tu li riconosceresti se li calpestassi, e non ti piacerebbe.»
Cristo! E le diceva la verità perché ce n’era uno proprio lì, in fondo al corridoio, e sembrava un ammasso di vestiti semibruciati dalla sagoma vaga di un uomo. E sicuro, lo capiva dall’odore, dentro a quei vestiti c’era stato un Morto; ma erano rimasti solo le maniche, i pantaloni e le scarpe. In mezzo c’era qualcosa di grigiastro che sembrava grasso e cipria, più che cenere. Era strana, la manica della camicia che spuntava da quella della giacca. Be’, forse era stato un abito a tre pezzi.
Baby Jenks era in preda alla nausea. Si poteva sentire nausea quando si era Morti? Voleva andarsene. E se ciò che aveva causato quella distruzione fosse tornato? Pensaci, immortale!
«Non ti muovere», le disse il Morto. «E ce ne andremo insieme al più presto possibile.»
«Subito», disse lei. Tremava, accidenti. Era questo che intendevano quando parlavano di sudore freddo!
Il Morto aveva trovato una scatola di latta e stava prendendo il denaro che c’era dentro.
«Ehi, amico, io filo», disse Baby Jenks. Sentiva qualcosa, lì intorno, e non aveva nulla a che fare con la chiazza di grasso sul pavimento. Pensava alle case delle congreghe, bruciate a Dallas e a Oklahoma City, e al fatto che la Banda delle Zanne era sparita e l’aveva abbandonata. Capì che lui aveva afferrato tutto: il suo volto si era disteso, era ridiventato carino. Il Morto lasciò cadere la scatola e venne verso di lei, così in fretta da spaventarla ancora di più.
«Sì, ma chère», disse con voce gentile. «Tutte le case delle congreghe, esattamente. La Costa Orientale è stata bruciata come un circuito di luci. Nessuno risponde nella casa della congrega di Parigi e in quella di Berlino.»
Le prese il braccio mentre si avviavano verso l’uscita.
«Chi diavolo sta facendo tutto questo?» chiese lei.
«Chi diavolo lo sa, chérie? Distrugge le case, i bar dei vampiri, i vagabondi che trova. Dobbiamo andarcene da qui. Fai partire la moto.»
Ma Baby Jenks s’era fermata. C’era qualcosa, là fuori. S’era fermata sul bordo del portico. Qualcosa. Aveva paura di proseguire, come aveva paura di tornare in casa.
«Cosa succede?» chiese Laurent, bisbigliando.
Com’era buio quel posto con i grandi alberi e la casa che sembrava infestata… E poteva sentire qualcosa, qualcosa di sommesso come… come se qualcosa respirasse. Sì, ecco.
«Baby Jenks! Muoviti!»
«Ma dove andiamo?» chiese lei. La cosa era ormai quasi un suono.
«Nell’unico posto dove possiamo andare. Da lui, cara, dal vampiro Lestat. Lui è a San Francisco e aspetta illeso!»
«Sì?» disse Baby Jenks, e fissò la strada buia. «Sì, dal vampiro Lestat.» Dieci passi per arrivare alla moto. Vai, Baby Jenks. Laurent stava per andarsene senza di lei. «No, non ci provare, figlio di puttana, non toccare la mia moto!»
Ma era un suono, no? Baby Jenks non aveva mai sentito niente di simile. Quando sei Morto senti tante cose. Senti i treni a chilometri di distanza, e la gente che parla a bordo degli aerei quando ti passano sopra la testa.
Anche il Morto sentì. No, sentì lei che lo sentiva. «Che cos’è?» mormorò. Gesù, com’era spaventato. E poi lo sentì anche lui.
La trascinò giù per i gradini. Lei incespicò e per poco non cadde, ma Laurent la sollevò di peso e la mise sulla moto.
Il rumore era sempre più forte. Arrivava a ondate come una musica. Era così intenso che non le permetteva neppure di sentire cosa le diceva il Morto. Girò la chiave, regolò le manette per dare gas all’Harley, e il Morto balzò sul sellino dietro di lei… ma Gesù, il rumore. Non riusciva a pensare. Non riusciva neppure a sentire il motore acceso.
Abbassò lo sguardo cercando di vedere cosa diavolo succedeva: il motore funzionava, e ne sentiva le vibrazioni. Poi alzò gli occhi e comprese che stava guardando in direzione della cosa che emanava il rumore. Era nel buio, dietro gli alberi.
Il Morto era saltato dalla moto e balbettava in quella direzione, come se la vedesse… Ma no, si guardava intorno come un pazzo che parla tra sé. Ma lei non sentiva una parola. Sapeva soltanto che la cosa era lì e li guardava… e quel pazzo sprecava il fiato!