Si fermò per sentire meglio il sangue scorrere dentro di lei, e si meravigliò disperatamente perché aveva ancora il potere di ristorarla e rafforzarla, persino ora. Triste, angosciata, guardò la splendida desolazione che attorniava il tempio, alzò gli occhi verso le nubi irrequiete. Il sangue le dava coraggio, le dava la fede momentanea nella rettitudine dell’universo… frutto di un atto atroce e imperdonabile.
Se la mente non riesce a trovare un significato, allora lo danno i sensi. Vivi per questo, essere sciagurato.
Si avvicinò a una pira e, attenta a non strinarsi le vesti, tese le mani perché il fuoco le purificasse, bruciasse il sangue e i frammenti di cuore. Le fiamme che la lambivano non erano nulla in confronto al calore del sangue dentro di lei. Quando finalmente apparve un lieve inizio di sofferenza, il più fievole segnale di cambiamento, si ritrasse e si guardò le mani bianche e immacolate.
Ma ora doveva andarsene. I suoi pensieri erano troppo pieni di collera, di un nuovo risentimento. Marius aveva bisogno di lei. Pericolo. L’allarme si ripetè, più forte che mai, perché il sangue rendeva più forte la ricezione. E non sembrava provenire da un individuo singolo. Era una voce comune, lo squillo indistinto d’una comune conoscenza. Le faceva paura.
Lasciò che la sua mente si svuotasse, mentre le lacrime le offuscavano la vista. Alzò delicatamente le mani, soltanto le mani. E l’ascesa incominciò. Silenziosa, rapida, invisibile agli occhi mortali come il vento.
In alto, sopra il tempio, il suo corpo trapassò una nebbia rada e agitata. La luce intensa la sbalordì. Dovunque quel biancore abbagliante. E sotto di lei il panorama merlato di picchi e di ghiacciai accecanti discendeva nella morbida oscurità delle foreste e della valle. Annidati qua e là c’erano grappoli di luci splendenti, i villaggi e le città. Le sarebbe piaciuto restare per sempre a contemplare la scena. Eppure dopo pochi secondi la coltre ondulata di una nube aveva nascosto tutto. E lei era sola con le stelle.
Le stelle… fredde, scintillanti, l’abbracciavano come se fosse una di loro. Ma in realtà le stelle non riconoscevano nulla e nessuno. Si sentiva atterrita. Poi venne un’angoscia profonda, non dissimile alla gioia. Niente più lotta. Niente più affanni.
Scrutò la distesa splendida delle costellazioni, rallentò l’ascesa e tese entrambe le mani verso occidente.
L’aurora era nove ore più indietro di lei. Incominciò il suo viaggio per allontanarsene, muovendosi con la notte verso l’altra parte del mondo.
4. LA STORIA DI DANIEL, IL FAVORITO DEL DIAVOLO OVVERO IL RAGAZZO DELL’INTERVISTA CON IL VAMPIRO
Si chiamava Daniel Molloy. Era un giovane alto e snello, con i capelli biondocenere e gli occhi viola. Indossava una maglietta sporca e un paio di jeans sporchi, e aveva freddo nel vento che sferzava Michigan Avenue alle cinque del mattino.
Aveva trentadue anni, sebbene sembrasse più giovane, un eterno studente, non un uomo… di quel tipo con la faccia da adolescente. Mentre camminava mormorava tra sé: «Armand, ho bisogno di te. Armand, al concerto di domani sera… succederà qualcosa di terribile, terribile…»
Aveva fame. Èrano passate trentasei ore dall’ultima volta che aveva mangiato. Non c’era niente nel frigo della sua piccola, lurida stanza d’albergo; e comunque l’avevano chiuso fuori quella mattina perché non aveva pagato. Era difficile ricordare tutto contemporaneamente.
Poi rammentò il sogno che si ripeteva, il sogno che tornava ogni volta che chiudeva gli occhi, e la voglia di mangiare passò.
Nel sogno vedeva due gemelle, vedeva il corpo carbonizzato della donna steso davanti a loro, i capelli bruciati, la pelle raggrinzita. Il cuore giaceva come un frutto gonfio su un piatto. Il cervello sull’altro piatto sembrava esattamente un cervello cotto.
Armand lo sapeva, doveva saperlo. Non era un sogno normale. Aveva a che fare con Lestat, indubbiamente. E Armand sarebbe venuto presto.
Dio, era debole e delirante. Aveva bisogno di bere qualcosa, almeno. In tasca non aveva denaro, solo un vecchio assegno per i diritti d’autore del libro Intervista con il Vampiro che aveva «scritto» con uno pseudonimo più di dodici anni prima.
Altri tempi, allora, quando era un giovane cronista e andava in giro per il mondo, nei bar con il registratore, e cercava di convincere i relitti della notte a raccontargli qualche verità. Bene, una notte a San Francisco aveva trovato un soggetto magnifico per la sua inchiesta. E la luce della vita normale s’era spenta all’improvviso.
Adesso era un essere rovinato che camminava troppo svelto sotto il nuvoloso cielo notturno di Chicago in ottobre. Domenica scorsa era stato a Parigi, e il venerdì precedente a Edimburgo. Prima di Edimburgo era stato a Stoccolma e prima ancora… non riusciva a ricordare. L’assegno dei diritti d’autore l’aveva raggiunto a Vienna, ma non sapeva quanto tempo fosse passato.
In tutti quei luoghi aveva spaventato coloro che incontrava. Il vampiro Lestat si era espresso bene nella sua autobiografia: «Uno di quei noiosi mortali che hanno visto gli spiriti…» Sono io!
Dov’era quel libro, Il vampiro Lestat? Oh, qualcuno l’aveva rubato quel pomeriggio nel parco mentre Daniel dormiva. Bene, se lo tenessero pure. Anche Daniel l’aveva rubato, e l’aveva letto già tre volte.
Ma se ora l’avesse avuto, avrebbe potuto venderlo e magari ricavarne abbastanza per pagarsi un bicchiere di brandy che l’avrebbe scaldato. E, al momento, quanto poteva valere un vagabondo infreddolito e affamato che percorreva Michigan Avenue e odiava il vento che l’agghiacciava attraverso gli indumenti lisi e sporchi? Dieci milioni? Cento milioni di dollari? Non lo sapeva. Doveva saperlo Armand.
È il denaro che vuoi, Daniel? Te lo procuro io. È più semplice di quanto credi.
Millecinquecento chilometri più a sud Armand attendeva sulla loro isola privata, l’isola che in realtà apparteneva soltanto a lui, a Daniel. Se in quel momento avesse avuto un quarto di dollaro, avrebbe potuto trovare un telefono e dire ad Armand che voleva andare a casa. E allora sarebbero discesi dal cielo e sarebbero venuti a prenderlo. Lo facevano sempre. Il grande aereo con la camera da letto tutta di velluto, oppure quello più piccolo con le poltrone di pelle. C’era qualcuno, su quella strada, disposto a prestargli un quarto di dollaro in cambio di un viaggio in aereo per Miami? Probabilmente no.
Armand! Voglio essere al sicuro con te quando Lestat salirà su quel palcoscenico, domani sera.
Chi gli avrebbe cambiato l’assegno? Nessuno. Erano le sette e i negozi di lusso in Michigan Avenue erano quasi tutti chiusi e lui, come se non bastasse, non aveva documenti d’identità perché il suo portafogli era scomparso, chissà come, due giorni prima. Quel grigio crepuscolo invernale era tetro, il cielo ribolliva silenziosamente di nubi basse e metalliche. Persino i negozi avevano assunto una cupezza inconsueta, con le loro facciate dure di marmo o di granito, e le ricchezze all’interno che brillavano come reperti archeologici dietro le vetrine dei musei. Affondò le mani nelle tasche per scaldarle, e abbassò la testa mentre il vento lo assaliva con maggiore violenza e con le prime sferzate di pioggia.