Per la verità, non gli importava nulla dell’assegno. Non riusciva a immaginare di premere i tasti di un telefono. Lì non c’era nulla che gli sembrasse reale, incluso il freddo. Soltanto il sogno pareva reale, e il senso del disastro imminente, l’impressione che il vampiro Lestat avesse messo in moto qualcosa che neppure lui sarebbe mai riuscito a controllare.
Mangia i rifiuti pescati nei bidoni dell’immondizia, se è necessario, dormi da qualche parte, magari nel giardino pubblico. Non ha importanza. Ma sarebbe morto di freddo se si fosse sdraiato di nuovo all’aperto. E poi sarebbe tornato il sogno.
Tornava ogni volta che chiudeva gli occhi. E ogni volta era più lungo e più ricco di dettagli. Le gemelle dai capelli rossi erano di una bellezza così tenera. Non voleva sentirle urlare.
La prima notte, nella camera d’albergo, aveva ignorato tutto. Non aveva per lui un significato. Aveva ripreso a leggere l’autobiografia di Lestat, e ogni tanto aveva alzato gli occhi verso i video di Lestat sullo schermo del piccolo televisore in bianco e nero di quel tugurio.
Era rimasto affascinato dall’audacia di Lestat; eppure era così semplice, il travestimento da rock star. Occhi roventi, membra snelle e potenti e un sorriso malizioso, sì. Ma non si poteva capire. O forse sì? Non aveva mai visto Lestat.
Comunque conosceva bene Armand, aveva studiato ogni dettaglio del suo corpo e del suo volto. Oh, era stato un piacere delirante leggere di Armand nelle pagine di Lestat, mentre si chiedeva se gli insulti sferzanti e le analisi adoranti di Lestat avevano scatenato in Armand chissà quale rabbia.
Affascinato, Daniel aveva seguito il videoclip della mtv che presentava Armand come il capo della congrega dei vecchi vampiri sotto il cimitero parigino, dove presiedeva rituali demoniaci. Tutto questo fino a che il vampiro Lestat, l’iconoclasta del diciottesimo secolo, aveva distrutto le Vecchie Tradizioni.
Armand aveva avuto sbotti di rabbia e di odio nel vedere la sua storia privata messa a nudo in immagini lampeggianti, molto più volgari del racconto misurato di Lestat. Proprio Armand, che sospettoso scrutava continuamente gli esseri umani intorno a lui, e che rifiutava persino di parlare dei non-morti. Ma era impossibile che non sapesse.
E questo era a disposizione di tutti… come una cronaca etnografica dove l’antropologo, ammesso alla cerchia più sacra, svende i segreti della tribù per classificarsi ai primi posti nella lista dei bestseller.
Era meglio lasciare che gli dèi demoniaci si facessero guerra tra loro. Questo mortale è stato sulla cima del monte dove incrociano le spade. Ed è tornato. È stato respinto.
La notte successiva il sogno era riapparso con la nitidezza di un’allucinazione. Sapeva che non l’aveva inventato lui. Non aveva mai visto persone come quelle, non aveva mai visto quei semplici gioielli d’osso e di legno.
Il sogno era ritornato ancora tre notti dopo. Daniel aveva seguito per la quindicesima volta un video rock di Lestat… era quello sugli antichi, inamovibili progenitori egizi, il Padre e la Madre dei vampiri, Coloro-che-devono-essere-conservati.
E poi Daniel aveva sognato. E le gemelle stavano per iniziare il festino. Avrebbero spartito gli organi sui piatti di coccio. Una avrebbe preso il cervello, l’altra il cuore.
S’era svegliato con un senso d’angoscia e di paura. Stava per accadere qualcosa di terribile, a tutti… Ed era la prima volta che collegava tutto ciò a Lestat. Avrebbe voluto prendere il telefono, in quel momento. A Miami erano le quattro del mattino. Perché non l’aveva fatto? Armand doveva essere seduto sulla terrazza della villa, a guardare l’instancabile flotta di barche bianche che andava e veniva da Night Island. «Sì, Daniel?» Quella voce sensuale, ipnotica. «Calmati e dimmi dove sei, Daniel.»
Ma Daniel non aveva chiamato. Erano passati sei mesi da quando aveva lasciato Night Island, e questa volta avrebbe dovuto essere una partenza definitiva. Aveva rinunciato per sempre al mondo dei tappeti, delle berline e degli aerei privati, delle cantine piene di vini rari e dei guardaroba pieni di abiti eleganti, della presenza silenziosa e soverchiante dell’amante immortale che gli dava tutti i beni terreni immaginabili.
Ma adesso faceva freddo e non aveva una stanza, non aveva denaro ed era spaventato.
Tu sai dove sono, demonio. Sai che cos’ha fatto Lestat. E sai che voglio tornare a casa.
Cosa avrebbe risposto Armand?
Ma io non lo so, Daniel. Io ascolto. Mi sforzo di sapere. Non sono Dio, Daniel.
Non m’importa. Vieni, Armand. Vieni. È buio e freddo a Chicago. E domani sera il vampiro Lestat canterà le sue canzoni su un palcoscenico di San Francisco. E succederà qualcosa di terribile.
Senza rallentare il passo, Daniel infilò la mano nella maglietta e toccò il pesante medaglione d’oro che portava sempre con sé… l’amuleto, come lo chiamava Armand con il suo gusto teatrale, il medaglione con la minuscola boccetta del sangue di Armand.
E se non avesse mai bevuto a quella coppa avrebbe fatto quel sogno, presagio di sciagura?
La gente si voltava a guardarlo: aveva ricominciato a parlare da solo? Il vento lo faceva sospirare. Per la prima volta in tanti anni provava l’impulso di aprire il medaglione e la boccetta, di sentire quel sangue che gli bruciava la lingua. Armand, vieni!
L’ultima volta il sogno gli si era presentato nella forma più allarmante.
Era seduto su una panchina nel giardino accanto a Water Tower Piace. Qualcuno aveva dimenticato un giornale, e quando l’aveva aperto aveva visto l’annuncio pubblicitario: «Domani sera: il vampiro Lestat in concerto a San Francisco». La televisione via cavo avrebbe trasmesso il concerto alle dieci, ora di Chicago. Molto simpatico per quelli che vivevano ancora con un tetto sulla testa, potevano pagare l’affitto e avevano la corrente elettrica. Avrebbe voluto ridere di tutto, rallegrarsi all’idea che Lestat li sorprendesse tutti. Ma il gelo l’aveva colpito, era diventato un trauma profondo, sconvolgente.
E se Armand non lo sapeva? I negozi di dischi di Night Island dovevano però avere in vetrina Il vampiro Lestat. Dovevano suonare quelle canzoni ossessive e ipnotiche in tutti i locali eleganti.
In quel momento Daniel aveva addirittura pensato di andare da solo in California. Avrebbe potuto compiere un miracolo, farsi rendere il passaporto all’albergo, portarlo in banca per farsi riconoscere. Ricco, sì, era così ricco quel povero mortale…
Ma come poteva pensare a qualcosa di tanto concreto? Il sole batteva caldo sul suo viso e sulle sue spalle, mentre stava sdraiato sulla panchina. Aveva piegato il giornale per usarlo come cuscino.
Ed era venuto il sogno che aveva sempre atteso…
Nel mondo delle gemelle era mezzogiorno: il sole scendeva sulla radura. Un silenzio interrotto solo dal canto degli uccelli.
E le gemelle inginocchiate, immobili, nella polvere. Erano così pallide, con gli occhi verdi, i capelli lunghi e ondulati, rossi come il rame. Indossavano abiti di lino bianco acquistati nei mercati di Ninive dai paesani per onorare le streghe potenti cui obbedivano gli spiriti.
Il banchetto funebre era pronto. I mattoni d’argilla del forno erano stati rimossi, e il corpo giaceva fumante sulla lastra di pietra, con il sugo giallo che fuoriusciva da dove la pelle s’era screpolata, una cosa nera e nuda ricoperta di foglie cotte. Daniel inorridiva.