Ma lo spettacolo non aveva lo stesso effetto sui presenti: né le gemelle né gli abitanti del villaggio venuti ad assistere all’inizio del banchetto parevano preoccuparsi.
Il banchetto era il diritto e il dovere delle gemelle. Il corpo annerito sulla lastra di pietra era quello della loro madre. E ciò che era umano doveva restare con gli umani. Sarebbero stati necessari un giorno e una notte per concludere il banchetto, ma tutti avrebbero vegliato fino al totale compimento.
Una corrente d’eccitazione attraversa la folla convenuta nella radura. Una delle gemelle alza il piatto dove stanno il cervello e gli occhi, l’altra annuisce e prende il piatto che contiene il cuore.
E così la divisione è compiuta. Daniel non vede il suonatore, anche se sente levarsi il rullo di un tamburo. Lento, ritmico, brutale.
«Incominci il banchetto.»
Ma poi viene il grido terribile, come Daniel ha previsto. Fermate i soldati. Ma non può. Tutto ciò è accaduto in qualche luogo: è la sola cosa di cui è certo. Non è un sogno ma una visione. E lui non è presente. I soldati invadono la radura, i paesani si disperdono, le gemelle posano i piatti e si gettano sulla mensa fumante. Ma è una pazzia.
I soldati le scostano senza fatica, e quando la lastra viene sollevata il corpo cade e va in pezzi, e il cuore e il cervello finiscono nella polvere. Le gemelle urlano come disperate.
Ma anche i paesani gridano a squarciagola; i soldati li abbattono mentre tentano di fuggire. Morti e moribondi costellano i sentieri della montagna. Gli occhi della madre sono caduti dal piatto nella polvere e come il cuore e il cervello finiscono calpestati.
Una delle gemelle, trattenuta con le braccia dietro la schiena, invoca la vendetta degli spiriti. E gli spiriti vengono. In un turbine. Ma non basta.
Se almeno tutto finisse. Ma Daniel non riesce a svegliarsi.
Silenzio. L’aria è piena di fumo. Non è rimasto più nulla, dove questa gente ha vissuto per secoli. I mattoni d’argilla sono dispersi, i recipienti rotti, tutto ciò che poteva bruciare è cenere. I bambini con la gola squarciata giacciono nudi a terra mentre sono assaliti dalle mosche. Nessuno arrostirà quei corpi, nessuno ne consumerà la carne. Sarà cancellata dalla razza umana con tutto il suo potere e il suo mistero. Gli sciacalli già si avvicinano. E i soldati sono andati via. Dove sono le gemelle? Daniel le sente gridare, ma non riesce a individuarle. Una grande tempesta imperversa sulla stretta via che si snoda nella valle verso il deserto. Gli spiriti causano il tuono. Gli spiriti mandano la pioggia.
Riaprì gli occhi. Chicago, Michigan Avenue, mezzogiorno. Il sogno si era spento come una luce che viene chiusa. Rimase seduto dov’era, sudato e tremante.
Una radiolina accanto a lui suonava. Lestat, con quella voce ossessiva, cantava Coloro-che-devono-essere-conservati.
S’era alzato e aveva incominciato a camminare. Era entrato in Water Tower Piace, così simile a Night Island con i negozi, la musica, le luci e le vetrine lucenti.
E adesso erano quasi le otto e aveva camminato e camminato per fuggire dal sonno e dal sogno. Era lontano dalla musica e dalla luce. Per quanto tempo sarebbe continuato, la prossima volta? Avrebbe scoperto se erano vive o morte? Creature mie, mie povere creature…
Si fermò voltando le spalle al vento, ascoltò i rintocchi lontani delle campane, poi scorse un orologio sopra il banco di una tavola calda. Sì, Lestat si era svegliato sulla Costa Occidentale. Chi c’è con lui? C’è Louis? E mancano poco più di ventiquattr’ore al concerto. Catastrofe! Annand, ti prego.
Una raffica di vento lo spinse indietro di qualche passo, lo fece tremare. Aveva le mani gelate. Aveva mai avuto tanto freddo in tutta la sua vita? Ostinatamente, attraversò Michigan Avenue insieme alla folla di un semaforo, e si fermò davanti alla vetrina della libreria, dov’era esposto il libro, Il vampiro Lestat.
Sicuramente Armand l’aveva letto, aveva divorato ogni parola in quel suo strano modo orribile di leggere, girando una pagina dopo l’altra e facendo balenare gli occhi sulle parole fino a che il libro era finito… e allora lo gettava in disparte. Com’era possibile che una creatura splendesse di tanta bellezza e nel contempo ispirasse tanta… cos’era, ripugnanza? No, non aveva mai provato ripugnanza per Armand, doveva ammetterlo. Aveva provato sempre un desiderio avido e disperato.
Una ragazza, nel tepore della libreria, prese una copia del libro di Lestat e lo guardò attraverso la vetrina. Il suo respiro appannava il vetro di fronte a lui. Non preoccuparti, mia cara. Sono ricco. Potrei comprare l’intera libreria per regalartela. Sono il signore e padrone della mia isola, sono il favorito del Diavolo che realizza ogni mio desiderio.
Era buio da ore sulla costa della Florida. Night Island era già affollata.
I negozi, i ristoranti e i bar avevano aperto le porte di vetro al tramonto, su cinque livelli di una galleria pavimentata da ricche moquette. Le argentee scale mobili avevano incominciato a far udire il loro ronzio sommesso. Daniel chiuse gli occhi e immaginò le pareti di vetro che si ergevano sopra le terrazze del porto. Gli pareva quasi di udire il grande scroscio delle fontane, di vedere le lunghe aiuole di narcisi e tulipani che fiorivano eternamente fuori stagione, e di sentire la musica ipnotica che batteva come un cuore.
E Armand si aggirava probabilmente nelle stanze fiocamente illuminate della villa, a pochi passi dai turisti e dai compratori, e tuttavia completamente isolato dalle porte d’acciaio e dai muri bianchi… un grande palazzo con le vetrate e i balconi, affacciato sulla sabbia bianca. Solitario e tuttavia vicino al movimento incessante, con il vasto soggiorno che guardava le luci ammiccanti della spiaggia di Miami.
O forse era passato da una delle tante porte ed era entrato nella galleria. «Per vivere e respirare tra i mortali», come diceva, nell’universo sicuro e autosufficiente creato da lui e da Daniel. Armand amava le brezze calde del golfo, l’eterna primavera di Night Island.
Nessuna delle luci si sarebbe spenta prima dell’alba.
«Manda qualcuno a prendermi, Armand, ho bisogno di te! Tu sai che voglio tornare a casa!»
Naturalmente era accaduto tante altre volte. Non era necessario che spuntassero strani sogni o che Lestat ricomparisse, ruggendo come Lucifero nei nastri e nei filmati.
Andava tutto bene per mesi, mentre Daniel si sentiva spinto a passare da una città all’altra, a camminare per le vie di New York o Chicago o New Orleans. Poi c’era l’improvvisa disintegrazione. Si accorgeva di non essersi mosso dalla poltrona per cinque ore. Oppure si svegliava in un letto sporco e puzzolente, e non riusciva a ricordare il nome della città dove si trovava, o dov’era stato nei giorni precedenti. Poi la macchina veniva a prenderlo, e l’aereo lo riportava a casa.
Non era Armand a causare tutto ciò? Non era lui a spingere Daniel verso quei periodi di follia? Non usava una magia malefica per inaridire ogni fonte di piacere, ogni fonte di vita fino a che Daniel salutava con gioia la comparsa del solito chauffeur venuto per accompagnarlo all’aeroporto, l’uomo che non si scandalizzava mai per il comportamento di Daniel, la sua barba lunga e i suoi indumenti sudici?