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Ogni tanto, tuttavia, l’illusione della vita civile si spezzava. A volte, in qualche luogo remoto, Armand percepiva la presenza di altri immortali. Spiegava di aver circondato Daniel con il suo scudo; tuttavia si preoccupava. Daniel doveva restargli al fianco.

«Fammi diventare come te e non dovrai più preoccuparti.»

«Non sai ciò che dici», aveva risposto Armand. «Ora sei uno dei miliardi di umani senza volto. Se fossi uno di noi, saresti una candela che arde nella notte.»

Daniel non voleva crederlo.

«Ti individuerebbero infallibilmente», aveva continuato Armand. Era in collera, ma non con Daniel. Detestava parlare dei non-morti. «Non sai che i vecchi annientano i giovani senza riflettere?» aveva chiesto. «Il tuo caro Louis non te l’ha spiegato? È ciò che faccio io dovunque andiamo… li anniento, i giovani infestatori. Ma non sono invincibile.» Aveva indugiato come se stesse decidendo se continuare o no. Poi: «Sono come una belva in caccia. Ho nemici più vecchi e più forti, e cercherebbero di annientarmi se ne avessero l’interesse, ne sono sicuro».

«Più vecchi di te? Ma ti credevo il più vecchio», aveva detto Daniel. Da anni non parlavano di Intervista con il Vampiro. Anzi, non avevano mai discusso dettagliatamente del suo contenuto.

«No, naturalmente non sono il più vecchio», aveva risposto Armand. Sembrava a disagio. «Soltanto il più vecchio che il tuo amico Louis aveva trovato. Ce ne sono altri. Non conosco il loro nome e raramente ho visto le loro facce. Ma a volte li sento. Potresti dire che ci percepiamo a vicenda. Irradiamo i nostri segnali, silenziosi ma potenti: stai lontano da me.»

La notte seguente aveva dato a Daniel il medaglione, o l’amuleto come lo chiamava. Prima l’aveva baciato e l’aveva strofinato fra le mani come per scaldarlo. Era strano, assistere al rituale. E ancora più strano vedere l’oggetto con la lettera A incisa e, all’interno, la minuscola boccetta con il sangue di Armand.

«Ecco, aprila se quelli si avvicinano. Aprila immediatamente: sentiranno il potere che ti protegge. Non oseranno…»

«Ah, tu lascerai che mi uccidano. Lo sai», aveva detto freddamente Daniel. «Dammi il potere di battermi per me stesso.»

Ma da allora aveva sempre portato il medaglione. Alla luce della lampada aveva esaminato la A e le complesse incisioni, e aveva scoperto che erano minuscole figure umane contorte, alcune mutilate, altre stravolte dalla sofferenza, altre morte. In realtà era un oggetto orrido. Aveva lasciato cadere la catena all’interno della camicia: il medaglione era freddo contro il suo petto, ma almeno era nascosto.

Tuttavia Daniel non avrebbe mai veduto o percepito la presenza di un altro essere sovrannaturale. Ricordava Louis come un’allucinazione incontrata in una febbre. Armand era il suo unico oracolo, il suo dio-demone spietato e affettuoso.

La sua amarezza era ingigantita. La vita con Armand l’infiammava, lo esasperava. Da anni Daniel non pensava più alla famiglia, agli amici di un tempo. Si assicurava che partissero gli assegni per i parenti, ma erano soltanto nomi su un elenco.

«Tu non morirai mai, eppure mi guardi e mi vedi morire, notte dopo notte.»

Litigi rabbiosi, terribili, e Armand che crollava, con gli occhi vitrei per la rabbia, e poi piangeva sommessamente ma irrefrenabilmente come se avesse riscoperto un’emozione perduta che minacciava di dilaniarlo. «Non lo farò. Non posso. Chiedimi di ucciderti: sarebbe più facile. Non sai che cosa chiedi, non capisci? È sempre stato un maledetto errore. Non comprendi che ognuno di noi vi rinuncerebbe pur di vivere una normale esistenza umana?»

«Rinunciare all’immortalità per vivere una sola vita? Non ti credo. È la prima volta che mi dici una spudorata menzogna.»

«Come ti permetti?»

«Non picchiarmi. Potresti uccidermi. Sei troppo forte.»

«Io rinuncerei. Se non fossi un vigliacco, se dopo cinquecento anni nel turbine non avessi ancora terrore della morte.»

«No, no. La paura non c’entra affatto. Immagina una vita, ai tempi in cui sei nato. E perdere tutto questo? Il futuro nel quale hai conosciuto un potere e un lusso mai sognati neppure da Genghis Khan? Ma dimentica i miracoli tecnici. Accetteresti di ignorare il destino del mondo? Ah, non dirmi che saresti disposto.»

Non giungeva mai una soluzione a parole. Finiva tutto con un abbraccio, il bacio, il sangue che lo sferzava, il sudario dei sogni che l’avvolgeva come una grande rete, e il desiderio! Ti amo! Di più! Sì, dammi di più. Ma non era mai abbastanza.

Era inutile.

Che cosa avevano fatto quelle trasfusioni al suo corpo e alla sua anima? Gli avevano permesso di vedere più dettagliatamente i particolari della vita? Armand non aveva comunque intenzione di donargli l’immortalità!

Armand avrebbe voluto vedere Daniel andarsene spesso e avventurarsi fra i terrori del mondo quotidiano: avrebbe corso quel rischio, piuttosto. Non c’era nulla che Daniel potesse fare, non c’era nulla che potesse dare.

Ed erano incominciati i vagabondaggi, le fughe, e Armand non l’aveva seguito. Attendeva ogni volta fino a che Daniel implorava di ritornare. O fino a quando non aveva più la forza di chiamare, fino a quando era sull’orlo della morte. Allora e soltanto allora Armand lo riportava indietro.

La pioggia batteva sull’ampio marciapiedi di Michigan Avenue. La libreria era deserta, le luci s’erano spente. Chissà dove, un orologio battè le nove. Daniel restò accanto alla vetrina e guardò il traffico che scorreva davanti a lui. Non sapeva dove andare. Bevi la goccia di sangue racchiusa nel medaglione. Perché no?

E Lestat era in California, era già a caccia e forse in quel momento pedinava una vittima. E stavano preparando la sala per il concerto, no? I mortali sistemavano le luci, i microfoni, i chioschetti, ignari dei codici segreti, del pubblico sinistro che si sarebbe mimetizzato tra la folla umana, indifferente e inevitabilmente isterica. Ah, forse Daniel aveva commesso un orribile errore di calcolo. Forse Armand era là!

In un primo momento gli sembrò impossibile; poi divenne una certezza. Perché non l’aveva compreso prima?

Senza dubbio Armand era andato là! Se c’era qualcosa di vero in ciò che aveva scritto Lestat, Armand sarebbe andato alla resa dei conti, per assistere, forse per cercare coloro che aveva perso di vista nei secoli e che adesso erano attratti verso Lestat dallo stesso richiamo.

E che importanza avrebbe avuto, allora, un amante mortale, un umano che per un decennio non era stato altro che un giocattolo? No, Armand era andato senza di lui. E questa volta nessuno l’avrebbe recuperato.

Si sentiva piccolo e infreddolito. Spaventosamente solo. Non aveva importanza… le sue premonizioni, il sogno delle gemelle che discendeva su di lui e lo colmava di presentimenti. Erano cose che lo sfioravano appena come grandi ali nere. E mentre passavano, sentiva il vento indifferente. Armand s’era avviato senza di lui verso un destino che Daniel non avrebbe mai compreso.

Lo colmava d’orrore, di tristezza. Le porte sbarrate. L’ansia destata dal sogno, frammista a una paura sorda, nauseante. Era arrivato alla fine. Che cosa avrebbe fatto? Stancamente, immaginò Night Island chiusa e inaccessibile. Vedeva la villa dietro i muri bianchi, alta sopra la spiaggia, impossibile da raggiungere. Immaginava il suo passato perduto come il suo futuro. La morte era la comprensione del presente immediato: non esiste niente altro.

Proseguì per qualche passo. Aveva le mani intirizzite. La pioggia gli aveva infradiciato la maglietta. Voleva sdraiarsi sul marciapiedi e lasciare che ricomparissero le gemelle. E le frasi di Lestat gli echeggiavano nella testa. Chiamava «il Trucco tenebroso» il momento della rinascita. Chiamava «il Giardino Selvaggio» il mondo che poteva accogliere quei mostri squisiti, ah, sì.

Ma lascia che sia un amante nel Giardino Selvaggio, con te, e allora la luce che ha abbandonato la vita ritornerà in un grande sprazzo di fulgore. Dalla carne mortale, io passerei all’eternità. Sarei uno di voi.