La vertigine. Stava per cadere? Qualcuno gli parlava, qualcuno gli chiedeva se stava bene. No, naturalmente. Perché dovrei star bene?
Ma una mano s’era posata sulla sua spalla. Daniel. Alzò la testa.
Armand era lì sul marciapiedi.
In un primo momento non riuscì a crederlo: lo desiderava tanto; ma non poteva negare ciò che vedeva. Armand era lì. Lo scrutava muto nel silenzio ultraterreno che sembrava portare con sé, con il viso arrossato sotto un tocco lieve di pallore innaturale. Come sembrava normale, se mai la bellezza è normale. E come appariva stranamente distaccato dalle cose materiali che lo toccavano, la giacca bianca gualcita e i pantaloni che aveva indosso. Dietro di lui attendeva la mole grigia di una Rolls, come una visione ancillare, con le gocce di pioggia che scorrevano sul tettuccio argenteo.
Vieni, Daniel. Questa volta me l’hai reso difficile, non è vero, tanto difficile?
Perché l’urgenza del comando, quando la mano che lo tirava avanti era così forte? Era molto raro vedere Armand veramente in collera. Ah, Daniel amava quella rabbia! Si sentì mancare le ginocchia. Si sentì sollevare. Poi il velluto morbido del sedile posteriore della macchina, sotto di lui. Si puntellò sulle mani. Chiuse gli occhi.
Ma Armand lo sorresse gentilmente. La macchina ondeggiò appena e si mosse. Era così bello, addormentarsi fra le braccia di Armand. Ma c’erano tante cose che doveva dire ad Armand, tante cose sul sogno, sul libro.
«Non credi che lo sappia?» mormorò Armand. Aveva una luce strana negli occhi, no? E appariva indifeso e vulnerabile, come se avesse perduto la compostezza. Prese un bicchiere pieno di cognac e lo mise nella mano di Daniel.
«E tu che sei fuggito lontano da me», disse. «Da Stoccolma a Edimburgo e a Parigi. Come credi che io possa seguirti a una simile velocità lungo tante strade? E il pericolo…»
Le labbra sul viso di Daniel, all’improvviso, ah, così va meglio, mi piacciono i baci. Sì, tienimi stretto. Affondò il viso contro il collo di Armand. Il tuo sangue.
«Non ancora, amor mio.» Armand lo sospinse, gli premette le dita sulle labbra. C’era un sentimento così insolito nella voce bassa e controllata. «Ascolta ciò che ti sto dicendo. In tutto il mondo, quelli della nostra razza vengono annientati.»
Annientati. Daniel si sentì scosso da una corrente di panico, e il suo corpo si tese nonostante lo sfinimento. Si sforzò di concentrare lo sguardo su Armand, ma vide di nuovo le gemelle dai capelli rossi, i soldati, il corpo annerito della madre rovesciato fra le ceneri. Ma il significato, la continuità… Perché?
«Non so dirtelo», mormorò Armand. Quando parlava alludeva al sogno, perché l’aveva avuto anche lui. Accostò il cognac alle labbra di Daniel.
Oh, così caldo, sì. Sarebbe scivolato nell’incoscienza se non avesse resistito. Ora correvano in silenzio sulla superstrada per uscire da Chicago, mentre la pioggia inondava i finestrini, e stavano abbracciati in quel piccolo spazio caldo e vellutato. Ah, la bella pioggia argentea. E Armand s’era distolto come se ascoltasse una musica lontana con le labbra socchiuse, paralizzato sull’orlo della parola.
Sono con te, con te sono al sicuro.
«No, Daniel, non sei al sicuro. Forse neppure per una notte, neppure per un’ora.»
Daniel si sforzò di pensare, di formulare una domanda; ma era troppo debole e assonnato. La macchina era così comoda e il movimento lo cullava. E le gemelle. Le gemelle dai capelli rossi volevano farsi avanti. Chiuse gli occhi per un attimo e si abbandonò contro la spalla di Armand, sentì la mano di Armand sulla schiena.
Sentì la voce come se giungesse da una grande distanza. «Cosa devo fare con te, amor mio? Soprattutto ora, quando anch’io ho tanta paura.»
Di nuovo il buio. Daniel si sforzò di conservare il sapore del cognac nella bocca, la sensazione del contatto della mano di Armand. Ma stava già sognando.
Le gemelle camminavano nel deserto. Il sole era alto. Bruciava le loro braccia bianche, i loro volti. Le labbra erano gonfie, screpolate dalla sete. Le loro vesti erano macchiate di sangue.
«Fate cadere la pioggia», mormorò Daniel. «Voi potete farlo. Fate piovere.» Una delle gemelle cadde in ginocchio, e la sorella si chinò e la cinse con le braccia. Capelli rossi e capelli rossi.
Da lontano, Daniel udì di nuovo la voce di Armand. Armand diceva che s’erano addentrate troppo nel deserto. Neppure i loro spiriti potevano far piovere in un luogo simile.
Ma perché? Gli spiriti non potevano fare qualunque cosa?
Sentì che Armand lo baciava di nuovo, gentilmente.
Ora le gemelle sono entrate in un basso valico montano. Ma non c’è ombra perché il sole è a perpendicolo sopra di loro, e i pendii rocciosi sono troppo infidi per salire. Continuano a camminare. Nessuno può aiutarle? Inciampano e cadono quasi a ogni passo, ormai. Le rocce sembrano troppo roventi per toccarle. Finché una di loro stramazza bocconi sulla sabbia e l’altra le si sdraia sopra, riparandola con la chioma.
Oh, se almeno venisse la sera con i suoi venti freddi.
All’improvviso la gemella che protegge l’altra alza il viso. Un movimento sui dirupi. Poi di nuovo l’immobilità. Cade una pietra, echeggia con un suono nitido. E Daniel vede gli uomini che si muovono sui precipizi: abitanti del deserto, come sono sempre apparsi per millenni, con la carnagione scura e le pesanti vesti bianche.
Le gemelle si sollevano sulle ginocchia all’avvicinarsi degli uomini. Gli uomini offrono loro acqua, ne versano loro addosso per rinfrescarle. All’improvviso le gemelle ridono e parlano istericamente per il sollievo, ma gli uomini non comprendono. Poi vengono i gesti, semplici ed eloquenti: una delle gemelle indica il ventre dell’altra, e piega le braccia in quel gesto universale di chi culla un bambino. Ah, sì. Gli uomini sollevano la donna incinta. E tutti si avviano verso l’oasi circondata dalle tende.
Finalmente, alla luce d’un fuoco acceso davanti alla tenda, le gemelle dormono, al sicuro fra gli abitanti del deserto, i beduini. Possibile che i beduini siano tanto antichi, che la loro storia risalga a migliaia e migliaia di anni addietro? All’alba una delle gemelle si alza, quella che non aspetta un bambino. Solleva le braccia, e in un primo momento sembra che si limiti a salutare il sole. Gli altri si sono svegliati: si avvicinano per vedere. Poi si alza un vento che agita dolcemente i rami degli ulivi. E incomincia a cadere la pioggia, la pioggia dolce e leggera.
Daniel aprì gli occhi. Era sull’aereo.
Riconobbe subito la piccola stanza da letto, dalle pareti di plastica bianca e dalla luce gialla smorzata. Era tutto sintetico, duro e lucente come le grandi costole delle creature preistoriche. Il cerchio s’era chiuso? La tecnologia aveva ricreato la prigione di Giona nel ventre della balena.
Era steso sul letto che non aveva testata né piedi né intelaiatura. Qualcuno gli aveva lavato le mani e la faccia, l’aveva rasato. Ah, era così piacevole. E il rombo dei motori era un silenzio immane, il respiro della balena che fendeva il mare. Poteva vedere chiaramente ciò che gli stava intorno. Una bottiglia. Bourbon. Lo voleva. Ma era troppo sfinito per muoversi. E c’era qualcosa che non andava, qualcosa… Si toccò il collo. L’amuleto non c’era più. Ma non aveva importanza. Era con Armand.
Armand sedeva al tavolino all’altezza dell’occhio della balena, con la palpebra di plastica bianca abbassata completamente. S’era tagliato i capelli. Ed era vestito di lana nera, adesso, in perfetto ordine, come una salma preparata per il funerale, fino alle scarpe nere lucide. Era molto macabro. Ora qualcuno leggerà il Salmo Ventitré. Dove sono finiti gli abiti bianchi?