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«E perché vuoi essere con Lestat.»

Silenzio.

«Sai che è vero. Vuoi vederlo. Vuoi essere là se avrà bisogno di te. Se vi sarà una battaglia…»

Silenzio.

«E se è Lestat a causare tutto questo, forse potrà anche farlo cessare.»

Armand continuava a non rispondere. Sembrava confuso.

«È molto più semplice», disse finalmente. «Devo andare.»

L’aereo sembrava una cosa sospesa in una spuma di suono. Daniel guardò assonnato il soffitto, la luce che si muoveva.

Vedere Lestat, finalmente. Pensò alla vecchia casa di Lestat a New Orleans, all’orologio d’oro che aveva raccolto sul pavimento polveroso. E adesso c’era il ritorno a San Francisco, il ritorno all’inizio, a Lestat. Dio, come voleva quel bourbon. Perché Armand non glielo dava? Era troppo debole. Sarebbero andati al concerto, avrebbe visto Lestat…

Ma poi la paura lo riassalì, divenne più intensa, la paura ispirata dai sogni. «Non lasciarmi più sognare», mormorò all’improvviso.

Gli parve di sentire Armand che rispondeva «sì».

Adesso Armand era accanto al letto. La sua ombra cadeva su Daniel. Il ventre della balena sembrava più piccolo, nulla più della luce che circondava Armand.

«Guardami, amor mio», disse.

Tenebra. Poi le grandi porte di ferro che si aprivano e la luna inondava il giardino. Cos’è questo luogo?

Oh, doveva essere l’Italia, con l’aria dolce e tiepida e la luna piena che splendeva sugli alberi e sui fiori, e più lontano la Villa dei Misteri, alla periferia dell’antica Pompei.

«Ma come siamo arrivati qui?» Si girò verso Armand che gli stava accanto, abbigliato con strani indumenti antiquati di velluto. Per un momento non poté far altro che fissare Armand e la tunica di velluto nero, i lunghi riccioli fulvi.

«Non siamo veramente qui», disse Armand. «Lo sai.» Si voltò e si avviò nel giardino verso la villa. I suoi passi causavano un suono lieve sulle pietre grigie e consunte.

Ma era reale! Guarda i vecchi muri sgretolati, e i fiori nelle lunghe aiuole, e il sentiero con le orme di Armand! E le stelle in cielo, le stelle! Si voltò, tese la mano verso il limone e ne staccò una foglia fragrante.

Armand si voltò per prendergli il braccio. L’odore della terra appena smossa saliva dalle aiuole. Ah, vorrei morire qui.

«Sì», disse Armand. «E così sarà. Lo sai, non l’avevo mai fatto. Te l’avevo detto ma tu non mi hai mai creduto. Adesso Lestat te l’ha detto nel suo libro. Non l’ho mai fatto. Credi a lui?»

«Naturalmente ti credevo. Il voto che avevi fatto spiegava tutto. Ma, Armand, ecco ciò che voglio sapere: a chi avevi fatto questo voto?»

Una risata.

Le loro voci echeggiavano nel giardino. Le rose e i crisantemi erano enormi. E la luce filtrava dalle porte della Villa dei Misteri. C’era una musica che suonava? Tutto quel luogo in rovina era illuminato fulgidamente sotto il blu incandescente del cielo notturno.

«Dunque vorresti che infrangessi il mio voto. Avresti ciò che credi di volere. Ma guarda bene questo giardino perché quando l’avrò fatto, non leggerai più i miei pensieri e non vedrai più le mie visioni. Scenderà un velo di silenzio.»

«Ma saremo fratelli, non capisci?» chiese Daniel.

Armand gli era così vicino che quasi si baciavano. I fiori erano schiacciati contro di loro, enormi dalie sonnolente e gladioli bianchi, e avevano un profumo delizioso. S’erano fermati sotto un albero morente al quale si attoreigliava un glicine. I grappoli dei fiori delicati fremevano, e le sue grandi braccia erano bianche come ossa. E dalla Villa giungevano le voci. C’era gente che cantava?

«Ma dove siamo in realtà?» chiese Daniel. «Dimmelo!»

«Te l’ho detto. Non è altro che un sogno. Ma se vuoi un nome, lascia che la chiami la porta della vita e della morte. Ti condurrò con me oltre questa soglia. E perché? Perché sono un vigliacco. E ti amo troppo per lasciarti andare.»

Daniel provava una grande gioia, un freddo, splendido trionfo. Quello era il suo momento, e non era più perduto nella spaventosa caduta libera del tempo. Non era più uno dei milioni di esseri destinati a dormire in quella terra umida, sotto i fiori avvizziti, senza nome né conoscenza, perduta ogni visione.

«Non ti prometto nulla. Come posso? Ti ho detto che cosa ti attende.»

«Non importa. L’affronterò con te.»

Gli occhi di Armand erano arrossati, vecchi e stanchi. I suoi indumenti erano delicati, cuciti a mano, polverosi come le vesti d’un fantasma.

«Non piangere! Non è giusto», disse Daniel. «Questa è la mia rinascita. Come puoi piangere? Non sai cosa significa? È possibile che non l’abbia mai saputo?» Alzò la testa per vedere l’intero paesaggio incantato, la Villa lontana, il terreno ondulato. Poi levò il volto verso l’alto e il cielo lo sbalordì. Non aveva mai visto tante stelle.

Sembrava che il cielo si tendesse verso l’infinito, con tante stelle così fulgide da far smarrire le costellazioni. Non c’era un disegno. Non c’era un significato. Soltanto la vittoria dell’energia e della materia. Ma poi vide le Pleiadi… la costellazione amata dalle gemelle del sogno… e sorrise. Vide le gemelle insieme, sulla vetta di una montagna. Erano felici, e questo lo rallegrava.

«Comanda, amore mio», disse Armand. «E lo farò. Saremo insieme all’inferno, dopotutto.»

«Ma non capisci?» disse Daniel. «Tutte le decisioni umane si prendono così. Credi che la madre sappia cosa sarà del figlio che porta in grembo? Dio, siamo perduti, ti dico. Che t’importa se mi fai il dono ed è sbagliato? L’errore non esiste! C’è soltanto la disperazione, e io la voglio. Voglio vivere in eterno con te.»

Aprì gli occhi. Il soffitto della cabina dell’aereo, le luci gialle soffuse e riflesse sulle pareti rivestite di pannelli di legno, e intorno a lui il giardino, il profumo, la vista dei fiori che quasi si staccavano dagli steli.

Erano sotto l’albero morto avvolto dagli aerei tralci violetti del glicine. E i fiori gli accarezzavano il viso, i grappoli di petali cerulei. Ritrovò qualcosa, qualcosa che aveva conosciuto molto tempo prima… nel linguaggio di un popolo antico la parola che significava fiori era la stessa che indicava il sangue. Sentì la fitta acuta dei denti nel collo.

Il suo cuore venne afferrato all’improvviso in una stretta possente. La pressione era insopportabile. Eppure poteva guardare al di sopra della spalla di Armand, e la notte scorreva intorno a lui, le stelle ingrandivano come quei fiori umidi e fragranti. Stavano ascendendo nel cielo!

Per una frazione di secondo vide il vampiro Lestat che si avventava nella notte al volante della lunga macchina nera. Sembrava un leone, con la criniera ributtata indietro dal vento, gli occhi colmi di gaiezza folle e di euforia. Poi si voltava a guardare Daniel, e dalla sua gola usciva una risata sommessa.

C’era anche Louis. Louis era in una stanza di Divisadero Street, e guardava dalla finestra in attesa, e poi diceva: «Sì, Daniel, vieni, se è ciò che deve accadere».

Ma non sapevano degli incendi delle case delle congreghe! Non sapevano delle gemelle, e del grido d’allarme.

Erano tutti in una camera affollata all’interno della Villa, e Louis era in frac e stava appoggiato alla mensola di un camino. C’erano tutti! Persino le gemelle. «Grazie a Dio, siete venute!» disse Daniel. Baciò Louis prima su una guancia e poi sull’altra, decorosamente. «Oh, la mia carnagione è pallida come la tua!»

All’improvviso gettò un grido quando il suo cuore cedette, e l’aria gli riempì i polmoni. Di nuovo il giardino. L’erba era intorno a lui. Il giardino cresceva sopra la sua testa. Non lasciarmi qui, qui contro la terra.

«Bevi, Daniel», disse il prete in latino mentre gli versava tra le labbra il vino della comunione. Le gemelle dai capelli rossi presero i piatti sacri… il cuore, il cervello. «Questi, il cervello e il cuore di mia madre, io li divoro con tutto il rispetto per il suo spirito…»