Ogni tanto uscivano a ballare nella radura, sotto la luna. Non era una danza organizzata. Si muovevano in cerchio e guardavano il cielo. Mael canticchiava, oppure Maharet cantava canzoni nella lingua sconosciuta.
Cosa aveva pensato mentre faceva quelle cose per ore e ore? E perché non s’era mai chiesta perché Mael portava i guanti persino in casa e andava in giro al buio con gli occhiali da sole?
Poi una mattina, prima dell’alba, Jesse era andata a letto ubriaca e aveva fatto un sogno terribile. Mael e Maharet litigavano. Mael continuava a ripetere: «E se morisse? Se qualcòsa la uccidesse, se la investisse una macchina? E se, e se, e se…» Era diventato un rombo assordante.
Poi, qualche notte più tardi, era incominciata la catastrofe terribile e definitiva. Mael se n’era andato per un po’, ma poi era tornato. Lei aveva bevuto Borgogna per tutta la serata, e stava sulla terrazza con lui. Mael l’aveva baciata, e lei aveva perso conoscenza; tuttavia sapeva cosa stava succedendo. Mael la teneva fra le braccia e le baciava il seno, ma lei sprofondava in una tenebra senza fondo. Poi era riapparsa la ragazza, l’adolescente che era venuta a lei quella volta a New York. Mael, però, non poteva vederla, e Jesse sapeva chi era, sua madre Miriam, e sapeva che Miriam era impaurita. All’improvviso Mael l’aveva lasciata.
«Dov’è?» aveva gridato rabbiosamente.
Jesse aveva aperto gli occhi. C’era Maharet. Aveva colpito Mael così forte da farlo volare oltre la ringhiera della terrazza. Jesse aveva urlato e aveva spinto in disparte la ragazza, Miriam, per accorrere a guardare.
Là sotto, nella radura, Mael era in piedi, illeso. Impossibile, eppure era vero. Era di nuovo in piedi; e aveva rivolto a Maharet un inchino cerimonioso. Era investito della luce che usciva dalle finestre… e aveva lanciato un bacio a Maharet. Maharet sembrava triste, ma sorrideva. Aveva detto qualcosa sottovoce e aveva fatto a Mael un piccolo cenno, come per spiegare che non era in collera.
Jesse aveva il terrore che Maharet fosse arrabbiata con lei; ma quando l’aveva guardata negli occhi aveva compreso che non aveva motivo di preoccuparsi. Poi aveva abbassato lo sguardo e aveva visto che aveva l’abito strappato. Sentiva un dolore acuto dove l’aveva baciata Mael; e quando s’era girata verso Maharet, s’era sentita disorientata, incapace di ascoltare le proprie parole.
Era seduta sul suo letto, appoggiata ai cuscini, ed era avvolta in una lunga vestaglia di flanella. Stava raccontando a Maharet che sua madre era ritornata; l’aveva vista sulla terrazza. Ma era solo una parte di ciò che aveva detto, perché lei e Maharet avevano parlato per ore dell’accaduto. Ma cosa era accaduto? Maharet le aveva detto che avrebbe dimenticato.
Oh, Dio, come s’era sforzata di ricordare, più tardi! Tanti pensieri frammentari l’avevano tormentata per anni. Maharet aveva i capelli sciolti, lunghissimi. S’erano mosse insieme nella casa buia, lei e Maharet, come fantasmi. Maharet la teneva stretta e ogni tanto si fermava a baciarla, e lei abbracciava Maharet. Il corpo di Maharet sembrava una statua che respirasse.
Erano all’interno della montagna in una stanza segreta. C’erano computer, con le bobine e le spie rosse, ed emettevano un sordo ronzio elettronico. E su un immenso schermo rettangolare che si estendeva per metri e metri, spiccava un enorme albero genealogico disegnato dalle luci. Era la Grande Famiglia, e si estendeva nel passato attraverso i millenni. Ah, sì, l’unica radice! Era una discendenza matrilineare, com’era sempre stato presso i popoli antichi, sì, presso gli egizi, sì, la discendenza attraverso le principesse della casa regnante. E in un certo senso, era così anche per le tribù ebraiche fino ai tempi moderni.
In quel momento tutti i dettagli erano apparsi chiari a Jesse… nomi antichi, luoghi, l’inizio… Dio, aveva conosciuto persino l’inizio?… La sconvolgente realtà di centinaia di generazioni tracciata davanti ai suoi occhi. Aveva visto l’avanzata della famiglia negli antichi paesi dell’Asia Minore e della Macedonia e dell’Italia, e poi in tutta l’Europa e nel Nuovo Mondo! E quello poteva essere l’albero genealogico di una qualunque famiglia.
Più tardi non era mai riuscita a rievocare i dettagli di quella mappa elettronica. No, Maharet le aveva detto che l’avrebbe dimenticata. Era miracoloso che ricordasse qualcosa.
Ma che altro era accaduto? Qual era stato il vero orientamento della lunga conversazione?
Maharet che piangeva… questo lo rammentava. Maharet che piangeva con i singhiozzi sommessi d’una ragazzina. Maharet non era mai apparsa tanto incantevole; il suo viso era addolcito e luminoso, segnato da poche linee delicate. Ma c’era poca luce, e Jesse non vedeva chiaramente. Ricordava la faccia che splendeva come una brace bianca nell’oscurità, gli occhi verdi appannati e vibranti, le ciglia bionde che splendevano come se fossero spennellate d’oro.
Le candele accese nella sua stanza. La foresta al di là della finestra. Jesse aveva implorato e protestato. Ma in nome di Dio, perché la discussione?
Lo dimenticherai. Non ricorderai nulla.
Quando aveva aperto gli occhi nella luce del sole aveva compreso che era finita; se n’erano andati. In quei primi istanti non aveva ricordato nulla, se non il fatto che era stato detto qualcosa d’irrevocabile.
Poi aveva trovato la lettera sul comodino.
Mia cara,
non è bene che tu stia con noi. Temo che ci siamo troppo innamorati di te e che vorremmo portarti via, lontana dalle cose che hai deciso di fare. Perdonaci per averti lasciata così all’improvviso. Sono certa che sarà meglio per te. Ho dato disposizioni perché la macchina ti accompagni all’aeroporto. Il tuo aereo parte alle quattro. I tuoi cugini Maria e Matthew verranno a prenderti a New York.
Stai certa che ti amo più di quanto possano esprimere le parole. La mia lettera ti attenderà quando arriverai a casa. Una notte, fra molti anni, discuteremo di nuovo la storia della famiglia. Potrai aiutarmi con quella documentazione, se lo vorrai ancora. Ma per ora questo non deve prenderti troppo. Non deve allontanarti dalla vita.
Sempre tua
con amore indiscusso
Jesse non aveva più rivisto Maharet.
Le sue lettere arrivavano con la regolarità di un tempo, piene d’affetto, di premura, di consigli. Ma non c’erano state altre visite.
Jesse, da quella volta, non era più stata invitata nella casa nella foresta di Sonoma.
Nei mesi seguenti, Jesse aveva ricevuto molti regali: una bella, vecchia casa in Washington Square nel Greenwich Village, una macchina nuova, un aumento vertiginoso della sua rendita e i soliti biglietti d’aereo per andare a trovare i membri della famiglia sparsi per il mondo. Alla fine, Maharet aveva finanziato una parte del lavoro archeologico di Jesse a Gerico. Anzi, con il passare degli anni aveva dato a Jesse tutto ciò che poteva desiderare.
Tuttavia Jesse era rimasta ferita dagli avvenimenti di quell’estate. Una volta, a Damasco, aveva sognato Mael e s’era svegliata in lacrime.
Era a Londra e lavorava al British Museum, quando i ricordi avevano cominciato a ritornare in forze. Non aveva mai saputo cosa li avesse fatti scattare. Forse l’effetto del comando di Maharet, «Dimenticherai», s’era semplicemente esaurito. Ma poteva esserci un’altra ragione. Una sera, in Trafalgar Square, aveva visto Mael o un uomo che gli somigliava moltissimo. L’uomo si trovava piuttosto lontano, e la stava fissando quando i loro occhi s’erano incrociati. Tuttavia appena l’aveva salutato con un cenno, le aveva voltato le spalle e s’era allontanato senza mostrare di averla riconosciuta. L’aveva rincorso per cercare di raggiungerlo, ma era scomparso come se non fosse mai esistito.
Era rimasta delusa e ferita. Eppure tre giorni dopo aveva ricevuto un regalo anonimo, un bracciale d’argento. Era un’antica reliquia celtica, come aveva scoperto, e probabilmente era di inestimabile valore. Era possibile che fosse stato Mael a inviarle quell’oggetto bellissimo e prezioso? Avrebbe desiderato crederlo.