Выбрать главу

Aveva stretto nella mano il braccialetto e aveva sentito la sua presenza. Aveva ricordato la notte di tanto tempo prima, quando avevano parlato degli spettri stupidi. Aveva sorriso. Era come se Mael fosse presente, la stringesse e la baciasse. Quando aveva scritto a Maharet, aveva parlato del dono. E aveva sempre portato il braccialetto.

Jesse teneva un diario in cui annotava i ricordi man mano che riaffioravano. Trascriveva i sogni, i frammenti che scorgeva a tratti. Ma non ne parlava nelle lettere a Maharet.

Durante la permanenza a Londra aveva avuto una relazione amorosa. Era finita male, e lei si sentiva sola. Era stato a quell’epoca che il Talamasca s’era messo in contatto con lei e il corso della sua vita era cambiato per sempre.

Jesse aveva vissuto ih una vecchia casa a Chelsea, non lontano da dove un tempo aveva abitato Oscar Wilde. E in quella zona aveva vissuto James McNeill Whistler, e anche Bram Stoker, il famoso autore di Dracula. Era un quartiere che Jesse amava. Ma senza saperlo, la casa dove aveva preso in affitto l’appartamento era infestata da molti anni. Durante i primi mesi aveva visto diverse cose strane. C’erano fievoli apparizioni del tipo che si scorgono di frequente in quei luoghi: echi, come li aveva chiamati Maharet, di persone che erano state lì anni prima. Jesse li ignorava.

Tuttavia, quando un pomeriggio un giornalista l’aveva fermata e le aveva spiegato che stava preparando un servizio sulla casa infestata, gli aveva parlato delle cose che aveva visto. Erano spettri piuttosto comuni per Londra… una vecchia che usciva dalla dispensa con una brocca, un uomo in frac e cilindro che appariva sulla scala per un secondo o poco più.

L’articolo era risultato piuttosto melodrammatico. Jesse aveva parlato troppo, ovviamente. Veniva presentata come una «sensitiva» o «medium naturale» che vedeva di continuo quel genere di cose. Uno dei Reeves dello Yorkshire le aveva telefonato prendendola un po’ in giro. Anche Jesse trovava tutto ciò divertente. Ma non vi attribuiva molta importanza. Era troppo presa dagli studi al British Museum. Non aveva importanza, davvero.

Poi era entrato in scena il Talamasca. Avevano letto l’articolo.

Aaron Lightner, un gentiluomo all’antica dai capelli bianchi e i modi tranquilli, aveva invitato Jesse a pranzo. Con una Rolls Royce vecchia ma perfettamente tenuta, l’aveva accompagnata in un piccolo, elegante club privato.

Era stato uno degli incontri più strani della sua vita. Anzi, a Jesse ricordava quell’estate lontana: non perché vi fosse qualche rassomiglianza, ma perché entrambe le esperienze erano così diverse da tutto il resto, da quanto normalmente le accadeva. Lightner era garbato e impeccabile. I capelli bianchi erano folti e ben curati, e l’abito di tweed era d’un taglio perfetto. Era l’unico uomo che Jesse avesse visto con un bastone da passeggio d’argento.

Le aveva spiegato in fretta e cortesemente la situazione, e si era definito un «investigatore psichico» che lavorava per «un ordine segreto chiamato Talamasca», il cui unico scopo era quello di raccogliere dati sulle «esperienze paranormali» e conservare la documentazione per lo studio di tali fenomeni. Il Talamasca tendeva la mano alle persone dotate di facoltà paranormali: e a coloro che avevano doti eccezionali, ogni tanto offriva di intraprendere la carriera dell’«investigazione psichica», che in realtà era più esattamente una vocazione, poiché il Talamasca chiedeva devozione completa, lealtà e obbedienza alle regole.

Per poco, Jesse non era scoppiata a ridere. Ma Lightner sembrava preparato al suo scetticismo. Aveva certi «trucchi» che usava sempre in quegli incontri preliminari. E con estremo sbalordimento di Jesse, era riuscito a far muovere diversi oggetti sul tavolo, senza toccarli. Era un potere molto semplice, aveva detto, che gli serviva da «biglietto da visita».

Mentre Jesse guardava la saliera che danzava avanti e indietro, era troppo sbalordita per parlare. Ma la vera sorpresa era venuta quando Lightner aveva confessato di sapere tutto di lei. Sapeva da dove veniva, dove aveva studiato. Sapeva che vedeva i fantasmi fin da quando era bambina. Aveva attirato l’attenzione dell’ordine anni prima tramite «i soliti canali»; e adesso c’era un intero dossier a suo nome. Non doveva offendersi, ma era così.

Doveva tenere presente che il Talamasca svolgeva le sue indagini nel massimo rispetto per l’individuo. Il dossier conteneva solo rapporti di cose che la stessa Jesse aveva raccontato ai conoscenti, agli insegnanti e ai compagni di studio. E lei avrebbe potuto vedere il fascicolo quando avesse voluto. Era il modo di procedere del Talamasca. I contatti venivano sempre stabiliti con i soggetti in osservazione, prima o poi; e venivano fornite loro le informazioni che altrimenti restavano riservate.

Jesse aveva interrogato Lightner con molta insistenza. E s’era resa conto che sapeva parecchie cose di lei, ma non sapeva nulla di Maharet e della Grande Famiglia.

Quella combinazione di conoscenza e d’ignoranza aveva attratto Jesse. Sarebbe bastato un accenno a Maharet perché voltasse per sempre le spalle al Talamasca, perché era indefettibilmente devota alla Grande Famiglia. Ma al Talamasca interessavano soltanto le facoltà di Jesse. E nonostante i consigli di Maharet, anche a lei erano sempre interessate.

E la storia del Talamasca era affascinante. Quell’uomo diceva la verità? Un ordine segreto che risaliva all’anno 758, un ordine che teneva una documentazione su streghe, maghi, medium e veggenti fin da quel periodo antichissimo? Era sbalordita, come l’aveva sbalordita l’archivio della Grande Famiglia.

Lightner aveva sopportato con buona grazia altre domande incalzanti. Era chiaro che conosceva bene la storia e la geografia. Parlava con disinvolta esattezza delle persecuzioni contro i catari, della soppressione dei templari, dell’esecuzione di Grandier e di dozzine di altri eventi ormai storici. Jesse non era riuscita a coglierlo in errore. Al contrario, le aveva parlato di antichi maghi e di stregoni che lei non aveva mai sentito nominare.

Quella sera, quand’erano arrivati alla Casa Madre nei pressi di Londra, il destino di Jesse era praticamente segnato. Non aveva lasciato la Casa Madre per una settimana; e quando l’aveva fatto, aveva chiuso l’appartamento di Chelsea ed era tornata al Talamasca.

La Casa Madre era una colossale costruzione di pietra che risaliva al Cinquecento e che il Talamasca aveva acquistato «solo» duecento anni prima. Anche se le biblioteche e i salotti lussuosi erano stati creati nel secolo decimottavo e abbelliti di fregi, la sala da pranzo e molte delle camere da letto erano rimaste ferme all’epoca elisabettiana.

Jesse aveva amato subito quell’atmosfera, l’arredamento dignitoso, i camini di pietra e i pavimenti lucidi. Anche i membri dell’ordine erano simpatici: la salutavano cordialmente, e poi tornavano a discutere o a leggere i giornali della sera nelle grandi sale comuni. La ricchezza della sede era sorprendente, e dava sostanza alle affermazioni di Lightner. E quel luogo irradiava sensazioni gradevoli. Fisicamente. Lì la gente era ciò che diceva di essere.

Ma erano state le biblioteche che l’avevano più colpita e l’avevano ricondotta all’estate tragica, quando un’altra biblioteca con i suoi antichi tesori le era stata chiusa, forse per sempre. Lì c’erano innumerevoli volumi con le cronache di processi alle streghe, infestazioni e indagini su poltergeist, casi di possessione, psicocinesi, reincarnazione e via via all’infinito. Nei sotterranei c’erano i musei, sale piene di oggetti misteriosi collegati a eventi paranormali. C’erano cripte in cui venivano ammessi solo i membri più anziani dell’ordine. Era deliziosa, la prospettiva dei segreti rivelati solo dopo un certo periodo di tempo.