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Jesse andava ancora a far visita ai membri della Grande Famiglia, per Natale e per Pasqua. Quando i cugini venivano a Londra, li accompagnava a vedere i monumenti e andava a pranzo con loro. Ma erano contatti brevi e superficiali. Molto presto il Talamasca era diventato la vita di Jesse.

Un mondo s’era rivelato a Jesse negli archivi del Talamasca quando aveva incominciato a tradurre dal latino i documenti relativi a famiglie è a sensitivi, casi di «evidente» stregoneria, di «autentici» maleficia, e infine i verbali, ripetitivi e orribilmente affascinanti, dei processi per stregoneria che riguardavano ogni volta degli innocenti indifesi. Lavorava notte e giorno, traducendo direttamente al computer, e recuperava materiale storico inestimabile dalle pagine di pergamena sciupate.

Ma le si stava aprendo un altro mondo, ancora più seducente. Un anno dopo essere entrata nel Talamasca, Jesse aveva visto infestazioni di poltergeist abbastanza spaventose da mettere in fuga uomini esperti. Aveva visto un bambino telecinetico sollevare un tavolo di quercia e scagliarlo da una finestra. Aveva comunicato in silenzio con lettori del pensiero che ricevevano ogni messaggio da lei inviato. Aveva visto fantasmi più concreti di quanto mai avesse immaginato. Esempi di psicometria, scrittura automatica, levitazione, medianità in trance… aveva assistito a tutto e aveva preso appunti, e ogni volta s’era meravigliata della sua stessa sorpresa.

Si sarebbe mai abituata? L’avrebbe dato per scontato? Anche i membri più anziani del Talamasca confessavano di essere continuamente sconvolti da ciò che vedevano.

E senza dubbio in Jesse la facoltà di «vedere» era eccezionalmente forte. Con l’uso costante l’aveva sviluppata moltissimo. Due anni dopo essere entrata nel Talamasca, Jesse veniva mandata nelle case infestate di tutta Europa e anche negli Stati Uniti. Per ogni giorno che trascorreva nella pace e nel silenzio della biblioteca, c’era una settimana in qualche corridoio tutto spifferi, a osservare le apparizioni intermittenti d’uno spettro silenzioso che aveva spaventato molta gente.

Raramente Jesse perveniva a una conclusione a proposito di quelle apparizioni. Anzi, imparava ciò che sapevano tutti i membri del Talamasca: non esisteva un’unica teoria dell’occulto in grado di abbracciare tutte le cose strane che si vedevano o si udivano. Era un lavoro interessante, ma finiva per frustrare. Jesse era insicura di sé quando si rivolgeva a quelle «entità irrequiete» o spiriti stupidi come una volta li aveva descritti esattamente Mael. Eppure Jesse li esortava a portarsi «su livelli più elevati», a cercare la pace e a lasciare in pace anche i mortali.

Sembrava la sola cosa possibile da fare, anche se la spaventava pensare che forse costringeva quegli spiriti ad abbandonare l’unica vita loro rimasta. E se la morte era la fine, e se le infestazioni avvenivano solo quando le anime tenaci non l’accettavano? Era troppo spaventoso pensare al mondo degli spiriti come a un ultimo riflesso, fioco e caotico, prima della tenebra totale.

In ogni caso, Jesse aveva risolto numerosi casi di infestazioni. Ed era costantemente confortata dal sollievo dei vivi. In lei s’era affermato un senso profondo dell’eccezionaiità della sua vita. Era esaltante: e non l’avrebbe scambiato per nulla al mondo.

O quasi. Dopotutto, se ne sarebbe andata in un minuto se Maharet fosse apparsa e le avesse chiesto di tornare nel complesso di Sonoma a occuparsi della documentazione della Grande Famiglia. O forse… forse no.

Jesse, comunque, con la documentazione del Talamasca aveva avuto un’esperienza che le aveva causato una considerevole confusione personale nei confronti della Grande Famiglia.

Mentre trascriveva i documenti aveva scoperto che il Talamasca aveva seguito per secoli alcune «famiglie di streghe», le cui sorti sembravano influenzate da interventi sovrannaturali di un tipo verificabile e prevedibile. Il Talamasca teneva d’occhio tuttora un certo numero di quelle stesse famiglie! Di solito c’era una «strega» in ogni generazione e, secondo i dati raccolti, poteva attrarre e manipolare le forze sovrannaturali in modo da assicurare alla famiglia l’accumulazione costante della ricchezza e altri successi negli affari umani. Il potere sembrava ereditario, quindi aveva una base fisica: ma nessuno lo sapeva con certezza. Alcuni degli eredi di tali famiglie erano ormai del tutto ignari della loro storia, e non capivano le «streghe» che si erano manifestate nel secolo ventesimo. E sebbene il Talamasca tentasse regolarmente di mettersi in contatto con quella gente, spesso incontrava un rifiuto, o constatava che il lavoro era troppo «pericoloso» per proseguirlo. Dopotutto, le streghe erano in grado di operare autentici maleficia.

Turbata e incredula, dopo questa scoperta Jesse non aveva fatto nulla per diverse settimane. Ma non riusciva a togliersi dalla mente quello schema. Era troppo simile allo schema di Maharet e della Grande Famiglia.

Poi aveva fatto l’unica cosa che poteva fare senza venir meno alla lealtà promessa a tutti gli altri: aveva riesaminato con attenzione i documenti d’ogni famiglia di streghe nell’archivio del Talamasca; aveva controllato e ricontrollato, era tornata a consultare i documenti più antichi e li aveva passati minuziosamente in rassegna.

Non si parlava di una Maharet. Non si accennava a qualcuno collegato a un ramo della Grande Famiglia, a uno dei tanti cognomi che Jesse conosceva. Non c’era nessun accenno a qualcosa di vagamente sospetto.

Aveva provato un sollievo immenso. Ma alla fine non era sorpresa. L’istinto le aveva detto che era sulla pista sbagliata. Maharet non era una strega. Almeno, non in quel senso. C’era qualcosa di più.

Ma per la verità Jesse non aveva mai cercato di chiarire tutto. Resisteva alle teorie a proposito di quanto era accaduto, come resisteva a ogni altra teoria. E più di una volta aveva pensato che forse aveva cercato inconsciamente il Talamasca per smarrire il suo mistero personale in una selva di altri misteri. Circondata da fantasmi e poltergeist e bambini indemoniati, pensava sempre meno a Maharet e alla Grande Famiglia.

Quando Jesse era diventata membro di pieno diritto del Talamasca, era ormai esperta nelle regole dell’ordine, nelle procedure, nei modi per documentare le indagini, aiutare la polizia nel caso di delitti, evitando i contatti con la stampa. E aveva compreso che il Talamasca non era un’organizzazione dogmatica. Non imponeva ai suoi membri di credere in qualcosa; chiedeva solo di essere onesti e scrupolosi nei confronti di tutti i fenomeni che osservavano.

Schemi, similarità, ripetizioni… tutto questo affascinava il Talamasca. I termini abbondavano ma non c’era un vocabolario rigido. Le schede erano semplicemente collegate tra loro in dozzine di modi diversi.

E molte volte Jesse pensava al consiglio di Maharet. Ciò che le aveva detto era vero. Spettri, apparizioni, sensitivi capaci di leggere nelle menti altrui e di muovere gli oggetti telecineticamente… era tutto affascinante per chi vi assisteva. Ma, in genere, per la razza umana tutto questo significava assai poco. Non c’era, e non ci sarebbe mai stata, una grande scoperta che dall’occulto avesse potuto modificare la storia dell’umanità.

Ma Jesse non si stancava mai del suo lavoro. S’era assuefatta all’eccitazione e alla segretezza. Era nel grembo del Talamasca, e sebbene si fosse abituata all’eleganza di ciò che la circondava, i pizzi antichi e i letti a colonne e l’argenteria, le macchine con autista e la servitù, era diventata ancora più semplice e riservata.

A trent’anni era una donna dalla carnagione chiara e l’aria fragile, con i capelli rossi e ricciuti divisi in mezzo e tenuti lunghi in modo che le ricadessero dietro le spalle senza darle fastidio. Non usava cosmetici, profumi o gioielli, a parte il braccialetto celtico. Il suo capo preferito era un blazer di cashmere con i pantaloni di flanella, o i jeans se era in America. Eppure era piacente, e attirava l’attenzione degli uomini un po’ più di quanto ritenesse opportuno. Aveva relazioni amorose, ma erano sempre brevi. E di rado erano importanti.