Decisivo? C’era qualcosa di particolarmente decisivo in quel lavoro? Sembrava che fosse il pomeriggio delle sorprese.
David l’aveva condotta in un’ultima camera molto grande, con le pareti rivestite di stagno e illuminate da una fila di lampade.
Jesse aveva visto un quadro enorme, contro la parete di fronte. Era senza dubbio rinascimentale, probabilmente veneziano, ed era realizzato in tempera su legno. Aveva lo splendore meraviglioso di quei quadri, una lucentezza che nessun materiale sintetico poteva riprodurre. Aveva letto il titolo e il nome dell’autore, scritti in minuscoli caratteri romani nell’angolo inferiore destro.
S’era fermata a osservarlo.
Uno splendido coro di angeli dalle ali nere stava intorno a una figura inginocchiata, un ragazzo dai capelli fulvi. Il cielo di cobalto, visto attraverso una serie di arcate, era eseguito meravigliosamente, e c’erano masse di nubi dorate. Il pavimento marmoreo sotto le figure aveva una perfezione fotografica. Si percepiva la freddezza della pietra, si scorgevano le venature.
Ma erano le figure, il vero trionfo del quadro. I volti degli angeli erano modellati in modo squisito, le vesti dai colori pastello e le ali dalle piume nere erano rese con estrema ricchezza di dettagli. E il ragazzo, il ragazzo era vivo! Gli occhi castani scintillavano, la pelle sembrava umida. Pareva sul punto di muoversi o di parlare.
Per la verità, era troppo realistico per essere un dipinto rinascimentale. Le figure erano più dei particolari che simboli ideali. Gli angeli avevano espressioni di vago divertimento, quasi di amarezza. E la stoffa della tunica e delle calze del ragazzo era resa con eccessiva precisione. Jesse poteva vedere persino i rammendi, un minuscolo strappo, la polvere su una manica. C’erano altri dettagli del genere… foglie morte sul pavimento e due pennelli abbandonati in disparte senza una ragione.
«Chi è questo Marius?» aveva sussurrato. Il nome non le diceva nulla. E non aveva mai visto un quadro italiano con tanti elementi inquietanti. Angeli dalle ali nere…
David non aveva risposto. Aveva additato il ragazzo. «È lui che deve osservare. Non è il vero soggetto della sua indagine, ma è un legame molto importante.»
Il soggetto? Un legame… Jesse era troppo affascinata dal quadro. «E guardi, le ossa nell’angolo, ossa umane coperte di polvere come se qualcuno le avesse spazzate via per toglierle di torno. Ma cosa significa?»
«Sì», aveva mormorato David. «Quando s’incontra la parola ‘tentazione’ di solito si vedono i diavoli che circondano un santo.»
«Esattamente», aveva risposto Jesse. «E l’opera è eseguita con abilità eccezionale.» Più fissava il quadro e più si sentiva turbata. «Dove l’avete trovato?»
«L’ordine l’acquistò secoli fa», aveva risposto David. «Il nostro emissario a Venezia lo recuperò in una casa bruciata sul Canai Grande. I vampiri sono sempre associati agli incendi, fra l’altro. È un’arma che sanno usare con efficienza, l’uno contro l’altro. Ci sono sempre incendi. In Intervista con il Vampiro c’erano diversi incendi, ricorda? Louis appiccò il fuoco a una casa di New Orleans quando cercò di annientare il suo creatore e mentore Lestat. E più tardi, lo stesso Louis bruciò il Teatro dei Vampiri a Parigi, dopo la morte di Claudia.»
La morte di Claudia. Quel pensiero aveva fatto scorrere un brivido nelle vene di Jesse.
«Ma guardi con attenzione il ragazzo», aveva detto David. «È di lui che stiamo parlando.»
Amadeo. Colui che ama Dio. Era molto bello, certo. Aveva sedici, forse diciassette anni, con il viso energico e proporzionato e un’espressione stranamente supplichevole.
David aveva messo qualcosa nella mano di Jesse che, con riluttanza, aveva staccato gli occhi dal dipinto. S’era trovata a guardare una fotografia del tardo Ottocento. Dopo un momento aveva sussurrato: «È lo stesso ragazzo».
«Sì. Ed è il frutto di un esperimento», aveva detto David. «Con ogni probabilità fu fatta poco dopo il tramonto in condizioni di luce quasi impossibili, che con un altro soggetto non avrebbe funzionato. Noterà che non c’è molto di visibile, a parte la faccia.»
Era vero: tuttavia si vedeva che il taglio dei capelli era caratteristico di quel periodo.
«Guardi anche questo», aveva detto David. Questa volta le aveva dato una vecchia rivista ottocentesca, con le strette colonne di stampa a caratteri minuscoli e le illustrazioni al tratto. Anche lì c’era lo stesso ragazzo che scendeva da un veicolo a cavalli… un schizzo frettoloso, anche se il ragazzo sorrideva.
«L’articolo parla di lui e del suo Teatro dei Vampiri. Ecco un giornale inglese del 1789: risale a ottant’anni prima, credo. Ma vi troverà un’altra descrizione dettagliata del teatro e dello stesso giovane.»
«Il Teatro dei Vampiri…» Jesse aveva alzato gli occhi verso il ragazzo dai capelli rossi inginocchiato nel quadro. «Ma è Armand, il personaggio del romanzo.»
«Precisamente. Sembra che quel nome gli piaccia. Forse in Italia si chiamava Amadeo, ma nell’Ottocento diventò Armand, e da allora si è sempre fatto chiamare così.»
«Un momento, la prego», aveva detto Jesse. «Esiste una documentazione sul Teatro dei Vampiri? Una documentazione raccolta dai nostri?»
«Una documentazione meticolosa e monumentale. Vi sono innumerevoli promemoria che descrivono il teatro. Abbiamo anche gli atti di proprietà. E qui viene un altro legame tra i nostri archivi e il romanzo Intervista con il Vampiro. Il proprietario del teatro era Lestat de Lioncourt che l’acquistò nel 1789. E nella Parigi moderna, la proprietà è sempre nelle mani di un uomo che porta lo stesso nome.»
«È stato accertato?»
«C’è tutto nel dossier», aveva risposto David. «Fotocopie dei vecchi documenti e di quelli recenti. Se vuole, può studiare la firma di Lestat… che fa tutto in grande… anche quando firma: copre metà della pagina con i suoi svolazzi. Abbiamo le fotocopie di diversi esempi. Vogliamo che li porti con sé a New Orleans. C’è una notizia di giornale dell’incendio che distrusse il teatro, esattamente come lo ha descritto Louis. La data corrisponde. Deve esaminare tutto, naturalmente. E rilegga il romanzo.»
Alla fine della settimana Jesse prese un aereo per New Orleans. Doveva annotare e documentare il romanzo per quanto era possibile, cercare titoli di proprietà, trasferimenti, vecchi giornali, diari… tutto ciò che poteva trovare a sostegno della teoria secondo cui i personaggi e gli avvenimenti erano reali.
Ma ancora non lo credeva. Senza dubbio «c’era qualcosa»: ma doveva esserci un trucco. Probabilmente il trucco stava nel fatto che un romanziere ingegnoso s’era imbattuto in una ricerca interessante e l’aveva usata come base per una vicenda di fantasia. Dopotutto i biglietti del teatro, gli atti di proprietà, i programmi e altre cose del genere non provavano l’esistenza d’immortali succhiatori di sangue.
In quanto alle regole che doveva rispettare, Jesse le riteneva assurde.
Non doveva restare a New Orleans se non fra l’aurora e le quattro del pomeriggio. Alle quattro doveva dirigersi a nord, raggiungere la città di Baton Rouge e passare la notte al sicuro in una stanza al sedicesimo piano di un hotel moderno. Se avesse avuto la più lontana sensazione che qualcuno la spiasse o la seguisse, doveva mettersi al sicuro in mezzo a una folla numerosa. E da un luogo ben illuminato e pieno di gente doveva chiamare immediatamente il Talamasca a Londra.
In nessun caso doveva tentare un «avvistamento» d’uno dei vampiri. I parametri del potere vampiresco non erano noti al Talamasca. Ma una cosa era certa: quegli esseri potevano leggere i pensieri. Inoltre, potevano creare confusione mentale negli esseri umani. E c’erano indizi attendibili della loro forza eccezionale. Senza il minimo dubbio erano in grado di uccidere.