Выбрать главу

«Claudia», sussurrò.

Le doleva la testa ma non aveva importanza. La luce delle lampade a petrolio era così rasserenante, così diversa da quella elettrica. Continuò ad accarezzare la bambola come una cieca: i morbidi capelli di seta, l’abitino inamidato. L’orologio suonò di nuovo, e ogni nota echeggiava cupa nella stanza. Non doveva svenire. Doveva alzarsi. Doveva prendere il diario, la bambola e il rosario e andarsene.

Le finestre vuote erano come specchi, con la notte sullo sfondo. Le regole infrante. Chiama David, sì, chiama subito David. Ma il telefono squillava. A quell’ora, figurarsi. Il telefono squillava. E David non aveva il numero perché il telefono… Si sforzò di ignorarlo; ma l’apparecchio continuò a squillare. Bene, rispondi!

Baciò la fronte della bambola. «Torno subito, tesoro», bisbigliò.

Dov’era quel maledetto telefono? In una nicchia nel corridoio, naturalmente. L’aveva quasi raggiunto quando vide che era avvolto nel cavo con l’estremità sfrangiata. Non era collegato. Vedeva che non era collegato. Eppure squillava e lei lo sentiva, e non era un’allucinazione uditiva: l’apparecchio lanciava un trillo dopo l’altro. E le lampade a petrolio! Dio, non c’erano lampade a petrolio in quell’appartamento!

E va bene, hai già visto accadere cose del genere. Non farti prendere dal panico, per amor di Dio. Rifletti! Cosa devi fare? Ma stava per mettersi a urlare. Il telefono non smetteva! Se cedi al panico perderai completamente il controllo. Devi spegnere le lampade e far tacere il telefono. Ma le lampade non possono essere reali. Il palpito del fuoco non è reale. E la persona che si muove, là, chi è? Un uomo? Non guardarlo! Tese la mano e spinse il telefono fuori dalla nicchia, in modo da farlo cadere sul pavimento. Il ricevitore rotolò. Ne uscì una voce esile di donna.

«Jesse?»

Si precipitò in camera da letto in preda al terrore, inciampò in una sedia, cadde contro il tendaggio inamidato di un letto a baldacchino. Non c’era. Non esisteva. Prendi la bambola, il diario, il rosario! Li mise nella borsa di tela, si rialzò e corse fuori dall’appartamento, verso la scala sul retro. Rischiò di scivolare quando i suoi piedi toccarono il ferro sdrucciolevole. Il giardino, la fontana… ma sai che ci sono soltanto erbacce. C’era un cancello di ferro battuto che le bloccava il passo. È un’illusione. Va’, attraversalo! Fuggì!

Era un incubo e lei ne era prigioniera: il rumore dei cavalli e delle carrozze le martellava nelle orecchie mentre correva sul selciato. Ogni gesto goffo si estendeva nell’eternità. Le sue mani cercavano affannosamente di prendere le chiavi della macchina, di aprire la portiera. E la macchina stentò ad avviarsi.

Quando arrivò alla periferia del Quartiere Francese, singhiozzava ed era madida di sudore. Proseguì lungo le vie pittoresche, verso la superstrada. Bloccata sulla rampa d’accesso, girò la testa. Il sedile posteriore era vuoto. Bene, non la seguivano. E aveva sulle ginocchia la borsa di tela; sentiva contro il seno la testa di porcellana della bambola. Corse a tutta velocità fino a Baton Rouge.

Quando arrivò all’albergo, si sentiva male. Riuscì appena ad arrivare al banco. Un’aspirina, un termometro. La prego, mi aiuti a entrare nell’ascensore.

Quando si svegliò, otto ore dopo, era mezzogiorno. La borsa di tela era ancora fra le sue braccia. Aveva la febbre alta. Chiamò David, ma la comunicazione era disturbata. David la richiamò: ma la situazione non era migliore. Jesse, comunque, si sforzò di spiegarsi. Il diario era indubbiamente di Claudia e confermava tutto. E il telefono non era collegato, eppure aveva sentito la voce di donna. Le lampade a petrolio erano accese quando era fuggita dall’appartamento. E l’appartamento era pieno di mobili: c’erano fuochi accesi nei camini. Potevano bruciare l’appartamento, le lampade e i fuochi? David doveva fare qualcosa! E David le rispondeva, ma Jesse sentiva a malapena la voce. Aveva la borsa, gli disse: non doveva preoccuparsi.

Era buio quando aprì gli occhi. L’aveva svegliata il mal di testa. L’orologio digitale sul comodino segnava le dieci e mezzo. Sete, una sete terribile, e il bicchiere sul comodino era vuoto. C’era qualcun altro nella stanza.

Si girò sul dorso. Una luce entrava dalle sottili tende bianche. Sì, là. Una bambina. Seduta su una sedia contro la parete.

Jesse riusciva a scorgere la figura, i lunghi capelli biondi, l’abito dalle maniche a sbuffo, i piedini che non toccavano il pavimento. Si sforzò di mettere a fuoco lo sguardo. Una bambina… non era possibile. Un’apparizione. No, qualcosa che occupava lo spazio. Qualcosa di malevolo. Una minaccia. E la bambina la guardava.

Claudia.

Si buttò dal letto e per poco non cadde, continuando a stringere la borsa fra le braccia mentre indietreggiava. La bambina si alzò. Si sentì il suono inconfondibile dei passi sul tappeto. Il senso di minaccia divenne più intenso. La bambina avanzò nella luce che entrava dalla finestra e venne verso Jesse. Il chiarore investiva gli occhi azzurri, le guance tonde, le tenere braccia nude.

Jesse urlò. Strinse la borsa e si precipitò verso la porta, afferrò la catena senza osare guardarsi alle spalle. Le urla uscivano incontrollabili dalla sua gola. Qualcuno chiamava dall’altra parte. Finalmente aprì la porta e uscì barcollando nel corridoio.

C’era gente, intorno a lei: ma non poteva impedirle di allontanarsi. Poi qualcuno l’aiutò ad alzarsi: evidentemente era caduta di nuovo. Qualcun altro aveva portato una sedia. Jesse gridava, cercava di calmarsi ma non riusciva a smettere, e teneva con entrambe le mani la borsa con la bambola e il diario.

Quando arrivò l’ambulanza, rifiutò di lasciare che le portassero via la borsa. All’ospedale le diedero, tra antibiotici e sedativi, abbastanza medicinali da far impazzire chiunque. Jesse se ne stava raggomitolata come una bambina, con la borsa sotto le coperte. Se l’infermiera si azzardava a toccarla, Jesse si svegliava immediatamente.

Quando arrivò Aaron due giorni dopo, la consegnò a lui. Stava ancora male quando salì sull’aereo per Londra. Aaron teneva la borsa sulle ginocchia; era premuroso e aveva cura di lei, e Jesse dormì a intermittenza durante il lungo volo di ritorno. Poco prima dell’atterraggio si accorse di aver perduto il braccialetto, il suo bel braccialetto d’argento. Pianse sommessamente a occhi chiusi. Il braccialetto di Mael era scomparso.

Le tolsero l’incarico.

Jesse lo sapeva ancor prima che glielo dicessero. Era troppo giovane per quel lavoro, dissero, e troppo inesperta. Avevano sbagliato a mandarla. Era troppo pericoloso per lei. Naturalmente ciò che aveva fatto aveva «un valore immenso». E l’infestazione s’era rivelata di una potenza insolita. Lo spirito d’un vampiro morto? Era possibile. E il telefono che squillava, ecco, c’erano molte segnalazioni di casi identici… le entità usavano vari mezzi per «comunicare» o incutere paura. Adesso era meglio che riposasse e cercasse di non pensarci. Altri avrebbero continuato l’indagine.

In quanto al diario conteneva poche altre annotazioni, non più significative di quelle che lei aveva letto. Gli psicometristi che avevano esaminato il rosario e la bambola non avevano scoperto nulla. Gli oggetti sarebbero stati conservati con la massima cura. Ma non doveva più pensarci.

Jesse non cedette. Chiese di poter tornare a New Orleans. Finì per fare una scenata. Ma era come parlare con il Vaticano. Un giorno, fra dieci anni o forse venti, avrebbe potuto addentrarsi di nuovo in quel campo. Nessuno escludeva tale possibilità, ma per il momento la risposta era no. Jesse doveva riposare, riprendersi e dimenticare l’accaduto.

Dimenticare l’accaduto…

Stette male per settimane. Tutto il giorno stava avvolta in vestaglie di flanella bianca e beveva una gran quantità di tè caldo. Stava seduta accanto alla finestra della sua stanza. Guardava il verde del parco, le vecchie querce massicce. Guardava le macchine che andavano e venivano, minuscoli frammenti di colore silenzioso che passavano sulla strada lontana. Quella quiete era bellissima. Le portavano cose deliziose da mangiare e da bere. David veniva a trovarla e le parlava di tante cose ma non dei vampiri. Aaron le riempiva la stanza di fiori. Gli altri venivano a trovarla.