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«E allora? Non posso ridere, soprattutto quando tutto è così divertente?»

Armand era distratto, e stava di nuovo in ascolto. Daniel non riusciva a capire che doveva aver paura. Aveva ottenuto ciò che voleva, adesso. Non siete più miei fratelli e mie sorelle!

Armand gliel’aveva detto. «Ce ne vuole per educarti.» Era durante la caccia, la seduzione, l’uccisione, il flusso del sangue nel suo cuore avido. Ma era diventato naturale nell’essere innaturale, dopo la goffa angoscia della prima uccisione, che l’aveva portato dal rimorso tremante all’estasi in pochi secondi. Boccate di vita. S’era svegliato con la sete.

E mezz’ora prima avevano preso due piccole, squisite vagabonde fra le rovine di una scuola abbandonata vicino al parco, dove i ragazzi vivevano nelle stanze con le finestre chiuse dalle assi, e avevano sacchi a pelo e stracci e scatole di latta per cuocere il cibo che rubavano in Haight-Ashbury. Questa volta non c’erano state proteste. No, solo la sete e il senso crescente della perfezione e dell’inevitabilità, il ricordo sovrannaturale del sapore impeccabile. Presto. Eppure c’era stata una tale arte con Armand, senza la precipitazione della notte precedente, quando il tempo era stato il fattore cruciale.

Armand s’era fermato in silenzio davanti alla costruzione e l’aveva scrutata in attesa di «quelli che volevano morire». A lui piaceva così. Li chiamava in silenzio e quelli uscivano. E la morte era serena. Aveva cercato d’insegnare quel trucco a Louis molto tempo prima, aveva detto; ma Louis l’aveva giudicato disgustoso.

E infatti i cherubini erano apparsi dalla porta laterale, come ipnotizzati dalla musica del Pifferaio Magico. «Sì, siete venuti, sapevamo che sareste venuti…» Voci spente che li salutavano mentre entravano in un salotto formato da coperte militari tese sulle corde. Morire in quel sudiciume, nello sciabolare dei fari delle macchine attraverso le falle nel compensato.

Braccia sporche e calde intorno al collo di Daniel, puzzo di hashish nei capelli. Lo sopportava appena, la danza, i fianchi che si strusciavano contro dì lui… e poi aveva affondato le zanne nella carne. «Tu mi ami, lo sai», aveva detto lei. E Daniel aveva risposto con la coscienza serena. Sarebbe sempre stato così bello? Le aveva stretto il mento con una mano, le aveva spinto la testa all’indietro e poi la morte gli era scesa nella gola come un pugno, era scesa nelle viscere e il calore si era diffuso, inondando l’inguine e il cervello.

L’aveva lasciata cadere. Troppo e troppo poco. Per un momento aveva artigliato la parete pensando che fosse di carne e di sangue, e che quindi potesse essere sua. Poi era stato uno choc, scoprire che non aveva più fame. Era sazio e completo, e la notte attendeva come una cosa di luce pura; e l’altra era morta, raggomitolata come una bambina addormentata sul pavimento lurido, e Armand splendeva nel buio e osservava.

La cosa più difficile era stato sbarazzarsi dei corpi. La notte precedente era stato fatto lontano dalla sua vista, mentre piangeva. La fortuna del principiante. Questa volta Armand aveva detto: «Niente tracce significa niente tracce». Erano andati insieme a seppellirle sotto il pavimento nella vecchia camera della caldaia e avevano rimesso scrupolosamente a posto le pietre. Era un gran lavoro, anche con la loro forza. Era ripugnante toccare il cadavere. Solo per un secondo gli era passato nella mente l’interrogativo: chi erano? Due esseri caduti in una fossa. Non c’era più un presente, un destino. E la ragazza della notte precedente? Qualcuno la stava cercando? S’era messo a piangere. Se n’era accorto e aveva toccato le lacrime che gli scorrevano dagli occhi.

«Cosa credi che sia?» aveva chiesto Armand mentre si faceva aiutare a sistemare le pietre del pavimento. «Un romanzo dell’orrore? Non puoi mangiare se non sei in grado di coprire ciò che hai fatto.»

La vecchia scuola era piena di umani che non s’erano accorti di nulla quando avevano rubato gli abiti che indossavano adesso, le uniformi dei giovani, ed erano usciti da una porta sfondata, in un vicolo. Non sono più i miei fratelli e le mie sorelle. I boschi sono sempre stati popolati da questi teneri esseri dagli occhi di cerbiatto, e dai cuori che battono per la freccia, la pallottola, la lancia. E ora, finalmente, mi rallegro della mia identità segreta: sono sempre stato il cacciatore.

«Va bene, come sono adesso?» aveva chiesto ad Armand. «Sei felice?» Haight Street, le sette e trentacinque. File di macchine, drogati che urlavano all’angolo. Perché non andavano al concerto? Le porte erano già aperte. Non reggeva più l’attesa.

Ma la casa della congrega era vicina, aveva spiegato Armand, una grande casa fatiscente a un isolato dal parco, e alcuni di loro erano ancora là a tramare la rovina di Lestat. Armand voleva passarci vicino, solo per un momento, per sapere cosa succedeva.

«Cerchi qualcuno?» aveva chiesto Daniel. «Rispondimi, sei soddisfatto di me o no?»

Che cosa aveva visto sul volto di Armand? Un lampo improvviso di gaiezza, di desiderio? Armand l’aveva trascinato lungo i marciapiedi sporchi, davanti ai bar, i caffè, i negozi pieni di vecchi abiti puzzolenti, i club con le lettere dorate sulle vetrate bisunte e i ventilatori che smuovevano i fumi con le pale di legno dorato, mentre le felci in vaso morivano d’una morte lenta nel caldo e nella semioscurità. In mezzo ai bambini, «O la borsa o la vita!», dai costumi di taffetà e di lustrini.

Armand s’era fermato, era stato circondato subito da faccette coperte dalle maschere acquistate nei grandi magazzini, fantasmi e streghe di plastica; un’incantevole luce calda gli aveva colmato gli occhi scuri. Con entrambe le mani aveva gettato i dollari d’argento nei sacchetti protesi, quindi aveva preso Daniel per il braccio e l’aveva condotto oltre.

«Mi piace come sei diventato», aveva sussurrato con un sorriso irresistibile. «Sei il mio primogenito», aveva detto. C’era un singulto nella sua gola, e s’era guardato improvvisamente intorno come se si trovasse con le spalle al muro. «Sii paziente. Ho paura per entrambi, ricordi?»

Oh, giungeremo insieme alle stelle! Nulla potrà fermarci. Tutti gli spettri che si aggirano per queste strade sono mortali!

Poi la casa della congrega era esplosa.

Aveva sentito lo scoppio prima di vederlo… e un pennacchio ondeggiante di fiamme e di fumo, accompagnato da un suono stridulo che prima non avrebbe mai percepito; urla sovrannaturali come carta d’argento che si aggriccia nel calore. Un accorrere di umani dai capelli spettinati, curiosi di vedere l’incendio.

Armand aveva spinto Daniel lontano dalla strada, all’interno di un bar. Luce biliosa, sudore e puzzo di tabacco; mortali, ignari dell’incendio vicino, che leggevano le riviste per uomini. Armand lo aveva spinto in fondo al piccolo corridoio. C’era una vecchia che davanti a un frigorifero sistemava un cartone di latte e alcune scatole di cibo per gatti. Non c’erano vie d’uscita.

Ma com’era possibile nascondersi dalla cosa che stava passando, dal suono assordante che gli umani non riuscivano neppure a udire? S’era portato le mani alle orecchie; ma era un gesto sciocco, inutile. Là fuori, nei vicoli, c’era la morte. Cose come lui fuggivano tra i rifiuti nei cortili, e bruciavano. Lo vedeva in lampi crepitanti. Poi più nulla. Un silenzio echeggiante. Il clangore delle campane e lo stridore dei pneumatici del mondo mortale.

Eppure era ancora troppo affascinato per avere paura. Ogni secondo era eterno, il ghiaccio sullo sportello del frigorifero era bellissimo. La vecchia con il latte in mano, gli occhi simili a due gemme di cobalto.

Il volto di Armand era diventato inespressivo sotto la maschera degli occhiali scuri, le mani s’erano infilate nelle tasche dei pantaloni. Il campanello della porta aveva tintinnato quando un giovane era entrato, aveva comprato una bottiglia di birra tedesca ed era uscito di nuovo.