«È finita, vero?»
«Per ora», aveva risposto Armand.
Non aveva più parlato fino a quando erano saliti sul tassi.
«Sapeva che eravamo lì. Ci ha sentiti.»
«E allora perché non…?»
«Non lo so. So soltanto che sapeva che eravamo lì. Lo sapeva prima che trovassimo un rifugio.»
E adesso avanzavano a spintoni nell’atrio; e gli piaceva, mentre la folla li portava sempre più vicini alle porte interne. Non poteva neppure alzare le braccia perché la ressa era troppo fitta; eppure i giovani, maschi e femmine, si facevano largo a gomitate, lo investivano con choc deliziosi; rise di nuovo quando vide i poster con Lestat a grandezza naturale affissi alle pareti.
Sentì le dita di Armand contro la schiena; sentì un cambiamento sottile compiersi in tutto il corpo di Armand. Una donna dai capelli rossi, più avanti, s’era voltata e stava girata verso di loro mentre procedeva verso la porta aperta.
Un’ondata di choc scosse Daniel. «Armand, i capelli rossi.» Era così simile alle gemelle del sogno! Sembrava che gli occhi verdi fossero fissi nei suoi mentre mormorava: «Armand, le gemelle!»
Poi il volto della donna svanì, quando tornò a voltarsi e sparì all’interno della sala.
«No», mormorò Armand. Scosse lievemente la testa. Era in preda a un furore silenzioso, Daniel lo sentiva. Aveva lo sguardo vitreo che aveva sempre quand’era offeso profondamente. «Talamasca», mormorò, con una smorfia inconsueta.
«Talamasca.» All’improvviso, quella parola parve bellissima a Daniel. Talamasca. La scompose dal latino e ne comprese le parti. E affiorò dalla banca della sua memoria: maschera animale. Un’antica parola che significava strega o sciamano.
«Ma che cosa significa esattamente?» chiese.
«Significa che Lestat è un pazzo», disse Armand, con un guizzo di dolore profondo negli occhi. «Ma ormai non fa nessuna differenza.»
Khayman
Khayman osservava dall’arcata mentre la macchina del vampiro Lestat entrava nel parcheggio. Khayman era quasi invisibile, anche grazie al giubbotto e ai pantaloni scuri che aveva rubato al manichino d’un negozio. Non aveva bisogno degli occhiali d’argento che gli coprivano gli occhi. La carnagione splendente non aveva importanza. Dovunque guardasse vedeva maschere e cerone, porporine e veli e costumi coperti di lustrini.
Si avvicinò a Lestat come se nuotasse in mezzo ai corpi frementi dei giovani che assaltavano la macchina. Finalmente scorse prima i capelli biondi, poi gli occhi di ghiaccio e poi vide il sorriso quando gettò baci ai suoi adoratori. Il diavolo ha un immenso fascino. Guidava lui stesso la macchina: faceva rombare il motore e spingeva con il paraurti i piccoli, teneri umani, mentre flirtava, ammiccava, seduceva come se non ci fosse un intimo legame tra lui e il piede premuto sull’acceleratore.
Euforia. Trionfo. Era ciò che Lestat conosceva e provava in quel momento. E anche il suo compagno reticente, il bruno Louis, che era seduto in macchina accanto a lui e guardava con timidezza i giovani urlanti come se fossero uccelli del paradiso, non capiva cosa accadeva in realtà.
Nessuno dei due sapeva che la regina si era destata. Nessuno dei due conosceva i sogni delle gemelle. La loro ignoranza era sorprendente. E le loro menti giovani erano così facili da scrutare. Apparentemente il vampiro Lestat, che si era nascosto molto bene fino a quella notte, adesso era pronto a battersi con tutti. Ostentava i pensieri e le intenzioni come una medaglia al valore.
«Dateci la prova!» Era ciò che diceva a voce alta ai suoi fans, anche se non l’udivano. «Uccideteci. Siamo malefici. Siamo malvagi. Ora va benissimo applaudire e cantare con noi. Ma quando capirete, be’, allora comincerete a fare sul serio. E ricorderete che non vi ho mai mentito.»
Per un istante i suoi occhi e gli occhi di Khayman s’incontrarono. Io voglio essere buono! Morirei per questo! Ma non c’era il riconoscimento di chi riceveva il messaggio.
Louis, l’osservatore paziente, era lì per amore. Si erano ritrovati appena la notte precedente, e la loro era stata una riunione straordinaria. Louis sarebbe andato dove lo guidava Lestat. Louis sarebbe perito se Lestat fosse perito. Ma le loro paure e le speranze per quella notte erano dolorosamente umane.
Non intuivano neppure che la collera della regina era prossima, che entro un’ora avrebbe bruciato la congrega di San Francisco. O che l’infame taverna dei vampiri in Castro Street stava bruciando in quel momento, mentre la regina inseguiva coloro che ne fuggivano.
Ma neppure i tanti bevitori di sangue sparsi in quella folla conoscevano la semplice realtà. Erano troppo giovani per captare i moniti dei vecchi, per udire le urla di coloro che perivano. I sogni delle gemelle li avevano confusi. Guardavano minacciosamente Lestat, dominati dall’odio o dal fervore religioso. Volevano annientarlo o fare di lui un dio. Non indovinavano il pericolo che li attendeva.
Ma le gemelle? Qual era il significato dei sogni?
Khayman guardò la macchina che avanzava, si apriva a forza un varco verso il retro dell’auditorium. Alzò lo sguardo verso le stelle, i minuscoli punti di luce dietro la nebbia che aleggiava sulla città. Aveva la sensazione di percepire la vicinanza della sua vecchia sovrana.
Si girò di nuovo verso l’auditorium e si fece largo cautamente in mezzo alla calca. Sarebbe stato un disastro dimenticare la sua forza in una simile folla. Avrebbe sfracellato persone e spezzato le loro ossa senza neppure accorgersene.
Diede un’ultima occhiata al cielo ed entrò, disorientando facilmente la maschera quando passò oltre il cancelletto girevole e si avviò verso la sala.
L’auditorium era quasi pieno. Si guardò intorno pensosamente, assaporando quel momento come assaporava ogni cosa. La sala in sé non era nulla, un guscio per contenere luci e suoni… assolutamente moderna e irreparabilmente brutta.
Ma i mortali, com’erano graziosi, splendenti di salute, con le tasche piene d’oro, corpi solidi nei quali nessun organo era roso dai vermi dell’infermità e nessun osso s’era mai spezzato.
In realtà, il benessere asettico dell’intera città sbalordiva Khayman. In Europa, certo, aveva visto ricchezze quali non avrebbe mai potuto immaginare, ma nulla eguagliava la superfìcie impeccabile di quel luogo piccolo e sovrappopolato, inclusi i contadini di San Francisco, le cui casette di stucco erano piene di lussi d’ogni genere. Lì i vialetti erano occupati da belle automobili. I poveri prelevavano il denaro con magiche tesserine di plastica dalle macchine delle banche. Non c’erano baraccopoli. La città aveva grandi torri e alberghi favolosi; una quantità di ville maestose; eppure, cinta com’era dal mare e dai monti e dalle acque lucenti della Baia, non sembrava una capitale ma piuttosto un luogo di villeggiatura, un rifugio dalla sofferenza e dalle brutture del mondo.
Non c’era da sorprendersi che Lestat avesse scelto quel posto per lanciare la sfida. Nel complesso, quei ragazzini viziati erano buoni. La privazione non li aveva mai feriti o indeboliti. Potevano rivelarsi combattenti ideali per il male vero. Cioè, quando avrebbero compreso che il simbolo e la realtà erano identici. Svegliatevi e fiutate il sangue, o giovani.
Ma ci sarebbe stato il tempo, ormai?
Il grande piano di Lestat, quale che fosse, poteva fallire. Perché sicuramente anche la regina aveva un suo piano, e Lestat non ne sapeva nulla.
Khayman si avviò nella sala, verso l’ultima fila di sedili di legno, dov’era stato già prima. Sedette nello stesso posto, scostando i due libri «di vampiri» che stavano ancora sul pavimento, ignorati da tutti.
Aveva divorato quei testi. Il testamento di Louis: «Ecco il vuoto». E la storia di Lestat: «E questo e questo e questo non significa nulla». Gli avevano chiarito molte cose. E ciò che aveva intuito delle intenzioni di Lestat aveva trovato una conferma completa. Ma del mistero delle gemelle, ovviamente, il libro non diceva nulla.