In quanto al vero intento della regina, ah, continuava a sconcertarlo.
Aveva ucciso centinaia di bevitori di sangue in tutto il mondo, ma aveva lasciato illesi altri.
Marius era ancora vivo. Distruggendo il suo sacrario l’aveva punito ma non ucciso, anche se sarebbe stato semplice. Lui chiamava i più vecchi dalla sua prigione di ghiaccio, li metteva in guardia, invocava aiuto. E Khayman sentiva che due immortali si muovevano per rispondere all’appello anche se una, la creatura di Marius, non poteva neppure udirlo. Quella era Pandora. Era solitaria e forte. L’altro, che si chiamava Santino, non aveva il suo potere, ma poteva udire la voce di Marius.
Senza dubbio la regina avrebbe potuto annientarli, se avesse voluto. Eppure continuavano a muoversi, chiaramente visibili, chiaramente udibili e tuttavia indisturbati.
In che modo la regina compiva simili scelte? Sicuramente anche nella sala c’erano alcuni che aveva risparmiato per un suo scopo…
Daniel
Avevano raggiunto la porta; e adesso dovevano spingersi per gli ultimi metri giù per una stretta rampa, nel gigantesco ovale aperto della platea.
La folla si disperdeva come bilie che rotolano in ogni direzione. Daniel si diresse verso il centro, con le dita agganciate alla cintura di Armand per non perderlo, mentre il suo sguardo vagava nel teatro a ferro di cavallo, con le file dei posti che salivano fino al soffitto. Dovunque c’erano mortali che sciamavano sui gradini di cemento o si sporgevano dalle ringhiere di ferro, o mulinavano intorno a lui.
All’improvviso vi fu un movimento, e un suono simile allo stridore sordo di una macchina gigantesca. Ma poi, nel momento della visione deliberatamente distorta, vide gli altri. Vide la semplice, irrefutabile differenza fra i vivi e i morti. Esseri come lui in ogni direzione, nascosti nella foresta dei mortali, e tuttavia splendenti come gli occhi di un gufo in una notte di luna. Né il cerone né gli occhiali scuri, né i capelli informi né i manti con cappuccio avrebbero mai potuto celarli gli uni agli altri. E non era soltanto il fulgore ultraterreno dei volti e delle mani. Era la grazia lenta e agile dei movimenti, come se fossero più spirito che carne.
Ah, miei fratelli e sorelle, finalmente!
Ma sentiva l’odio intorno a sé. Un odio disonesto! Amavano Lestat e nel contempo lo condannavano. Amavano l’atto di odiare e di punire. All’improvviso, incontrò lo sguardo di una creatura massiccia dall’untuoso pelame nero che snudava le zanne in un lampo minaccioso e rivelava il piano con sorprendente completezza. Lontano dagli occhi indiscreti dei mortali, avrebbero fatto a pezzi Lestat, gli avrebbero tagliato la testa, e poi avrebbero arso i resti su un rogo in riva al mare. La fine del mostro e della sua leggenda. Sei con noi o contro di noi?
Daniel rise. «Non l’ucciderete mai», disse. Tuttavia restò a bocca aperta quando vide la falce affilata che l’essere teneva contro il petto. Poi la bestia si voltò e sparì. Daniel alzò lo sguardo nella luce fumosa. Ora sono uno di loro. Conosco tutti i loro segreti! Si sentiva in preda alle vertigini, sull’orlo della follia.
La mano di Armand gli strinse la spalla. Erano arrivati al centro della platea. La folla diventava più numerosa a ogni secondo. Ragazze carine in abiti di seta nera cercavano di farsi largo fra i rudi motociclisti inguauiati in logora pelle nera. Piume morbide gli sfioravano la guancia; vide un diavolo rosso dalle corna gigantesche; un teschio ossuto incorniciato da riccioli dorati trattenuti da pettini di madreperla. Nella semioscurità bluastra si alzavano grida. I motociclisti ululavano come lupi; qualcuno urlò «Lestat» con voce assordante, e altri ripresero subito l’invocazione.
Armand aveva di nuovo l’espressione smarrita, l’espressione della concentrazione profonda, come se ciò che vedeva non avesse significato.
«Forse trenta», sussurrò all’orecchio di Daniel. «Non di più. E uno o due sono così vecchi che potrebbero annientarci tutti in un istante.»
«Dove? Dimmi dove sono!»
«Ascolta», disse Armand. «E vedrai tu stesso. È impossibile nascondersi a loro.»
Khayman
La figlia di Maharet. Jessica. Il pensiero colpì Khayman inaspettatamente. Proteggi la figlia di Maharet. Vattene da qui.
Si scosse. Aveva ascoltato di nuovo Marius; Marius che cercava di arrivare all’orecchio non sintonizzato del vampiro Lestat, mentre Lestat si pavoneggiava dietro il palcoscenico di fronte a uno specchio rotto. Cosa poteva significare? La figlia di Maharet, Jessica, quando i pensieri si riferivano senza dubbio a una donna mortale?
E ritornò la comunicazione inaspettata di una mente forte e svelata: Abbi cura di Jesse. Ferma la Madre… Ma in realtà non erano parole: non era altro che una visione splendente dell’anima di un altro, un traboccare scintillante.
Lo sguardo di Khayman passò lentamente sulle gallerie di fronte, sulla pktea affollata. Lontano, in un angolo remoto della città, vagava qualcuno molto vecchio che temeva la regina e tuttavia desiderava vederne il volto. Era venuto lì per morire, ma per conoscere il volto di lei nell’ultimo istante.
Khayman chiuse gli occhi.
Poi l’udì di nuovo, all’improvviso. Jessica, mia Jessica. E dietro l’invocazione trepida, la sapienza di Maharet! La visione di Maharet, circonfusa d’amore, e antica e bianca quanto era lui stesso. Fu un momento di sofferenza atroce. Si abbandonò sul sedile di legno e piegò leggermente la testa. Poi guardò di nuovo le travi d’acciaio, i grovigli sgraziati di cavi neri e di riflettori cilindrici arrugginiti. Dove sei?
Là, lontano contro la parete di fronte, vide la figura che emanava quei pensieri. Ah, era il più vecchio che avesse visto finora. Un gigantesco bevitore di sangue, un nordico antico e astuto, vestito di rozzi indumenti di pelle scamosciata, con i capelli color paglia, la fronte massiccia e gli occhi piccoli e profondamente incassati, che gli davano un’espressione cupa e pensosa.
L’essere seguiva una piccola donna mortale che si faceva largo tra la folla della platea. Jesse, la figlia mortale di Maharet.
Stravolto, incredulo, Khayman si concentrò sulla donna. Sentì le lacrime salirgli agli occhi quando vide la somiglianzà sbalorditiva. I lunghi capelli rossi di Maharet, folti e ricci, e la stessa figura alta e snella, gli stessi occhi verdi curiosi e intelligenti che scrutavano la scena mentre la donna si lasciava trasportare dalla folla che le premeva intorno.
Il profilo di Maharet. La carnagione di Maharet, così pallida e quasi luminosa in vita, così simile al rivestimento interno d’una conchiglia marina.
In un ricordo vivido, scorse la pelle di Maharet attraverso l’intreccio delle sue dita scure. Quando le aveva girato il viso da una parte durante lo stupro, aveva toccato con le dita le pieghe delicate della pelle sopra gli occhi. Solo un anno dopo le avevano strappato gli occhi, e lui era presente, e aveva ricordato quel momento, quel contatto. Era avvenuto prima che lui raccogliesse gli occhi e…
Rabbrividì. Sentì una fitta di dolore nei polmoni. La memoria non l’avrebbe abbandonato. Non sarebbe sfuggito a quel momento, il buffone felice che non ricordava nulla.
La figlia di Maharet, sì. Ma come? Attraverso quante generazioni le caratteristiche erano sopravvissute fino a rifiorire in quella femmina che cercava di farsi largo verso il palcoscenico in fondo all’auditorium?