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Non era impossibile, naturalmente. Se ne rendeva conto. Circa trecento antenati stavano tra quella donna del ventesimo secolo e il lontano pomeriggio in cui aveva messo al collo il medaglione del re ed era sceso dal podio per commettere lo stupro reale. Forse anche meno. Una modesta frazione di quella folla, per metterlo più chiaramente in prospettiva.

Ma era sorprendente il fatto che Maharet conoscesse i suoi discendenti. E Maharet conosceva quella donna. La mente del bevitore di sangue rivelò subito la verità.

Scrutò il nordico. Maharet, viva. Maharet, custode della sua famiglia mortale. Maharet, incarnazione della forza e della volontà senza limiti. Maharet che non aveva dato a quel servitore biondo alcuna spiegazione dei sogni delle gemelle, e invece l’aveva mandato a compiere il suo comando: salvare Jessica.

Ah, ma è viva, pensò Khayman. È viva, e se è viva allora vivono entrambe, le sorelle dai capelli rossi!

Studiò l’essere ancora più attentamente, sondando a profondità ancora maggiore. Ma al momento percepiva soltanto la protezione ardente. Salvare Jesse, non solo dal pericolo rappresentato dalla Madre, ma da quel luogo, dove gli occhi di Jesse avrebbero visto ciò che nessuno avrebbe mai potuto spiegare.

E come odiava la Madre, quell’essere alto e biondo dal portamento del guerriero e del sacerdote. L’odiava perché la Madre aveva spezzato la serenità di un’esistenza eterna e malinconica, perché il suo amore dolce e triste per quella donna, Jessica, esacerbava l’allarme che provava per sé. Anche lui conosceva la vastità della distruzione, sapeva che ogni bevitore di sangue, da un capo di quel continente all’altro, era stato annientato, eccettuati pochi che si trovavano quasi tutti sotto quel tetto e non immaginavano il fato che li attendeva. Sapeva anche dei sogni delle gemelle, ma non li comprendeva. Dopotutto non aveva mai conosciuto due sorelle dai capelli rossi: solo una bellezza fulva dominava la sua vita.

Ancora una volta Khayman scorse il viso di Maharet, l’immagine vagabonda degli stanchi occhi umani che scrutavano da una maschera di porcellana: Mael, non chiedermi altro e fai ciò che ti dico.

Silenzio. Il bevitore di sangue si accorse all’improvviso d’essere osservato. Con uno scatto della testa girò lo sguardo nella sala, cercando di individuare l’intruso.

Era stato il nome, come accade spesso. L’essere si era sentito riconosciuto. E Khayman aveva identificato subito il nome, l’aveva collegato al Mael del racconto di Lestat. Senza dubbio era lo stesso essere… era il druido che aveva attirato Marius nel bosco sacro dove il dio del sangue l’aveva fatto diventare uno dei suoi e l’aveva mandato in Egitto in cerca della Madre e del Padre.

Sì, era lo stesso Mael. E l’essere si sentiva riconosciuto, e detestava quell’idea.

Dopo lo spasimo iniziale di rabbia, i pensieri e le emozioni svanirono. Una manifestazione di forza piuttosto sensazionale, Khayman doveva ammetterlo. Si rilassò. Ma l’essere non poteva trovarlo. Aveva individuato tra la folla due dozzine di altre facce bianche, ma non lui.

Intanto l’intrepida Jessica era arrivata a destinazione. Era passata fra i forzuti motociclisti che reclamavano lo spazio davanti al palcoscenico, e s’era aggrappata al bordo della piattaforma di legno.

Un lampo del braccialetto d’argento nella luce. E quella doveva essere stata una pugnalata per lo scudo mentale di Mael, perché in un istante fluido il suo amore e i suoi pensieri ridiventarono interamente visibili.

Morirà se non diventa più saggio, pensò Khayman. Era stato istruito da Maharet, senza dubbio, e forse nutrito del suo sangue potente; tuttavia aveva il cuore indisciplinato e il temperamento incontrollabile.

Poi, qualche passo più indietro di Jesse, nel turbine del chiasso e dei colori, Khayman scorse un’altra figura affascinante, molto più giovane e tuttavia potente quasi quanto il druido Mael.

Khayman cercò il nome, ma la mente dell’essere era vuota, e non lasciava sfuggire neppure un barlume di personalità. Era un ragazzo quando era morto, con i capelli fulvi e gli occhi un po’ troppo grandi per il viso. Ma poi fu facile strappare il nome a Daniel, il nuovo nato che gli stava accanto. Armand. E il novizio, Daniel, era morto da poco. Tutte le minuscole molecole del suo corpo danzavano della chimica invisibile del demonio.

Armand attrasse immediatamente Khayman. Senza dubbio era lo stesso Armand del quale avevano scritto Louis e Lestat, l’immortale dalla forma di giovinetto. E ciò significava che non aveva più di cinquecento anni, tuttavia si velava completamente. Sembrava astuto e freddo, ma senza bagliori: un atteggiamento che non aveva bisogno di spazio per rivelarsi. E ora, intuendo infallibilmente che era osservato, girò i grandi occhi scuri verso l’alto e li fissò sulla figura lontana di Khayman.

«Non intendo far male a te o al tuo giovane compagno», mormorò Khayman in modo che le sue labbra potessero modellare e controllare i pensieri. «Non sono amico della Madre.»

Armand udì ma non rispose. Mascherava completamente il terrore che doveva provare alla presenza di qualcuno tanto vecchio. Sembrava guardasse il muro dietro la testa di Khayman e la folla di giovani ridenti e schiamazzanti che scendevano dalla scalinata.

E inevitabilmente, l’affascinante essere vecchio di mezzo millennio fissò gli occhi su Mael mentre questi era assalito da un’altra ondata irresistibile di preoccupazione per la fragile Jessica.

Khayman comprendeva Armand. Sentiva di comprenderlo e di apprezzarlo. Quando i loro occhi s’incontrarono di nuovo, tutto ciò che era stato scritto su quell’essere nei due romanzi apparve bilanciato dalla sua innata semplicità. La solitudine che Khayman aveva sentito ad Atene era fortissima, adesso.

«Non sei diverso dalla mia anima semplice», mormorò Khayman. «Sei smarrito in tutto questo perché conosci troppo bene il terreno. E per quanto tu vada lontano, ritorni alle stesse montagne, alla stessa valle.»

Nessuna risposta. Naturalmente. Khayman scrollò le spalle e sorrise. Avrebbe dato tutto ciò che poteva e, senza secondi fini, lo faceva sapere ad Armand.

Adesso il problema era aiutare quei due perché avessero qualche speranza di dormire il sonno immortale fino a un altro tramonto. E la cosa più importante era il modo per raggiungere Maharet, cui era indefettibilmente devoto l’ardente e diffidente Mael.

Khayman disse ad Armand con un leggero movimento delle labbra: «Non sono amico della Madre, te l’ho detto. E resta con la folla dei mortali. Lei ti individuerà quando te ne separerai. È molto semplice.»

Il volto di Armand non cambiò. Accanto a lui il novizio Daniel era felice in mezzo alla folla che l’attorniava. Non aveva paura, non aveva piani né sogni. E perché no? Aveva quell’essere potentissimo che si prendeva cura di lui. Era molto più fortunato degli altri.

Khayman si alzò. Era la solitudine, più di ogni altra cosa. Voleva essere vicino a quei due, Armand o Mael. Era ciò che aveva desiderato ad Atene quando aveva incominciato a ricordare. Essere vicino a un altro come lui. Parlare, toccare… qualcosa.

Si avviò lungo la corsia più in alto che cingeva l’intera sala, a parte un tratto sul fondo, dietro il palcoscenico, dove stava il gigantesco schermo video.

Si mosse con lenta eleganza umana, attento a non schiacciare i mortali che gli premevano addosso. E voleva muoversi adagio perché doveva dare a Mael la possibilità di vederlo.

Sapeva istintivamente che se si fosse avvicinato in modo furtivo a quell’essere fiero e litigioso, l’insulto non gli sarebbe stato perdonato. Perciò procedette, e accelerò il passo solo quando vide che Mael s’era accorto che si stava avvicinando.

Mael non sapeva nascondere la paura come faceva Armand. Non aveva mai visto un bevitore di sangue antico come Khayman, eccettuata Maharet: e ora guardava un nemico potenziale. Khayman gli lanciò lo stesso saluto caloroso che aveva lanciato ad Armand, che nel frattempo stava a osservare, ma l’atteggiamento del vecchio guerriero non cambiò.