Naturalmente, quando hai il collo rotto sei morta, oppure muori se ti muovi. Ecco. Anni prima, in un ospedale aveva visto una bambina con il collo rotto. Ora ricordava. La bambina era legata a un’enorme intelaiatura di alluminio. Ogni tanto un’infermiera muoveva l’intelaiatura per cambiare la posizione della bambina. Lo farete anche a me?
L’uomo aveva ripreso a parlare ma questa volta era più lontano. Jesse affrettò il passo per avvicinarsi e per sentire. E stava dicendo…
«… naturalmente possiamo fare tutto questo, possiamo fare le analisi, naturalmente, ma dovete capire quel che sto dicendo, non ci sono speranze. L’occipite è completamente schiacciato. Si può vedere il cervello. E la lesione cerebrale è enorme. Tra poche ore il cervello comincerà a gonfiarsi, ammesso che ci rimangano quelle ore…»
Bastardo, mi hai ucciso. Mi hai scagliato contro il muro. Se potessi muovere qualcosa… le palpebre, le labbra. Ma sono prigioniera qui dentro. Non ho più un corpo, eppure sono prigioniera qui dentro! Quand’ero piccola pensavo che la morte sarebbe stata così. Sei prigioniero dentro la tua testa, nella tomba, senza occhi per vedere e senza bocca per urlare. E sarebbero passati anni e anni.
Oppure vagavi nel regno del crepuscolo con i pallidi fantasmi, credendo di essere vivo mentre in realtà eri morto. Buon Dio, devo sapere quando sono morta! Devo sapere quando è cominciato!
Le sue labbra. C’era una sensazione vaghissima. Qualcosa di umido e caldo. Qualcosa che le schiudeva le labbra. Ma qui non c’è nessuno, vero? Erano nel corridoio e la stanza era vuota. L’avrebbe saputo, se ci fosse stato qualcuno. Eppure sentiva il sapore del liquido caldo che le fluiva nella bocca.
Che cos’è?
Che cosa mi dai?
Non voglio perdere i sensi.
Dormi, carissima.
Non voglio.
Voglio sentire quando muoio.
Voglio saperlo!
Ma il liquido le riempiva la bocca, e lei inghiottiva. I muscoli della gola erano vivi. Delizioso, quel sapore salato. Lo conosceva! Conosceva quella meravigliosa sensazione formicolante. Succhiò più forte. Sentì la pelle del viso riprendere vita, e l’aria fremere intorno a lei. Sentì la brezza alitare nella stanza. Un tepore magnifico le scorreva lungo la spina dorsale, si diffondeva nelle gambe e nelle braccia, seguiva lo stesso percorso che aveva preso la sofferenza, e gli arti ritrovavano la sensibilità. Dormi, carissima.
Sentiva un formicolio alla nuca, un formicolio che si diffondeva fra le radici dei capelli.
Aveva le ginocchia doloranti, ma le gambe non erano lese: avrebbe potuto camminare di nuovo. E sentiva il lenzuolo sotto la mano. Avrebbe voluto alzare il braccio ma era troppo presto, era troppo presto per muoversi. Poi la sollevavano, la trasportavano.
E adesso era meglio dormire. Perché se quella era la morte… ecco, andava bene così. Udiva appena le voci, gli uomini che discutevano, minacciavano. Ma non aveva importanza. Le sembrava che David la chiamasse. Ma cosa voleva David da lei? Voleva che morisse. Il dottore minacciava di chiamare la polizia. La polizia non poteva far nulla, ormai. Era quasi ridicolo. Scendevano le scale. La deliziosa aria fredda. Il rumore del traffico diventò più forte. Un autobus passò rombando. Quei suoni non le erano mai piaciuti, ma erano come il vento, altrettanto puri. Si sentiva cullare di nuovo, dolcemente. Sentì la macchina partire con uno scossone improvviso, e poi lo slancio fluido. C’era Miriam, e Miriam voleva che Jesse la guardasse, ma ora Jesse era troppo stanca. «Non voglio andare, mamma.»
«Ma Jesse, ti prego. Non è troppo tardi. Puoi ancora venire.»
Sembrava che David la chiamasse. «Jessica.»
Daniel
A un certo punto, Daniel comprese. I fratelli e le sorelle dai volti bianchi avrebbero girato gli uni intorno agli altri, si sarebbero osservati e minacciati durante l’intero concerto, ma nessuno avrebbe fatto qualcosa. La legge era troppo imperativa: non lasciate le prove di ciò che siamo… niente vittime e neppure una cellula dei nostri tessuti di vampiri.
Lestat doveva essere l’unico ucciso, ed era necessario farlo con circospezione. I mortali non dovevano vedere le falci a meno che fosse inevitabile. Bisognava catturare quel bastardo mentre cercava di andarsene, quello era il piano, e smembrarlo alla presenza dei soli iniziati. A meno che opponesse resistenza, perché in quel caso avrebbe dovuto morire di fronte ai suoi fan, e il corpo avrebbe dovuto essere distrutto completamente.
Daniel rideva e rideva. Immagina Lestat che permette una cosa simile!
Daniel rideva in faccia a tutti. Pallide come orchidee, quelle anime malvagie riempivano la sala con il loro coraggio fremente, la loro invidia e la loro avidità. C’era da pensare che odiassero Lestat per un’unica ragione, la sua fiammeggiante bellezza.
Daniel si era staccato finalmente da Armand. Perché no?
Nessuno poteva fargli del male, neppure la fulgida figura di pietra che aveva visto nell’ombra, così dura e antica da sembrare il Golem della leggenda. Era così strano, l’essere di pietra che guardava la donna mortale dal collo spezzato, la donna con i capelli rossi come le gemelle del sogno. E probabilmente era stato uno stupido mortale a spezzarle il collo. E il vampiro biondo vestito di pelle di daino che si faceva largo per arrivare sulla scena… anche lui era uno spettacolo impressionante, con le vene dure turgide sul collo e sul dorso delle mani, quando aveva raggiunto la vittima. Armand aveva osservato gli uomini che portavano via la donna dai capelli rossi, aveva osservato con un’espressione insolita sul viso, come se dovesse intervenire; o forse, più semplicemente, quella specie di Golem che assisteva inerte lo induceva a diffidare. Alla fine aveva spinto di nuovo Daniel tra la folla che cantava. Ma non c’era motivo di aver paura. Era un rifugio per loro, quel luogo, quella cattedrale di suoni e di luci.
E adesso Lestat era Cristo sulla croce della cattedrale. Come descrivere la sua autorità irrazionale e travolgente? Il suo volto sarebbe apparso crudele se non avesse avuto quell’espressione puerile di estasi e di esuberanza. Agitava il pugno in aria, gridava, implorava, ruggiva contro le potenze dell’aldilà mentre cantava la propria caduta… Lelio, l’attore boulevardier trasformato in una creatura della notte contro la sua volontà!
La voce tenorile pareva abbandonare completamente il suo corpo mentre narrava le sue sconfitte, le sue resurrezioni, la sete che aveva dentro e che nessuna quantità di sangue avrebbe mai potuto placare. «Non sono forse il diavolo che c’è in voi tutti?» gridava, e non si rivolgeva ai mostri notturni sparsi tra la folla, bensì ai mortali che l’adoravano.
Persino Daniel urlava e muggiva e saltava e gridava la sua approvazione, sebbene in fondo le parole non significassero nulla: era semplicemente la forza bruta della sfida di Lestat. Lestat malediceva il cielo in nome di tutti coloro che erano sempre stati reietti, di tutti coloro che avevano conosciuto la violenza e, in preda al rimorso e alla malvagità, s’erano scagliati contro i loro simili.
A Daniel, nei momenti supremi, era parso esistesse il presagio che avrebbe trovato l’immortalità alla vigilia di quella grande Messa. Il vampiro Lestat era Dio, o almeno la cosa più simile a Dio che avesse mai conosciuto. Il gigante sul teleschermo impartiva la sua benedizione a tutto ciò che Daniel aveva desiderato.
Com’era possibile che gli altri resistessero? Sicuramente l’ardore della vittima designata la rendeva ancora più invitante. Il messaggio finale alla base dei versi di Lestat era semplice: Lestat aveva il dono che era stato promesso a tutti loro; Lestat non si poteva uccidere. Divorava la sofferenza che gli veniva imposta e ne emergeva più fotte. Unirsi a lui significava vivere in eterno: