Quindi la visione impallidì e svanì, come una musica in parte udita e in parte ricordata. Era prossima alla morte: il suo corpo non esisteva più, e non c’era più la sofferenza, né il senso di permanenza o di angoscia.
Era nella radura, sotto il sole, e guardava la madre sull’altare. «Nella carne», disse Maharet, «nella carne ha inizio ogni saggezza. Guardati da ciò che non ha carne. Guardati dagli dèi, guardati dal diavolo.»
Poi venne il sangue. Sgorgava in ogni fibra del suo corpo. Adesso aveva di nuovo braccia e gambe mentre il sangue elettrizzava i suoi arti e la pelle formicolava per il calore; e la fame faceva contorcere il suo corpo mentre il sangue cercava di ancorare per sempre la sua anima alla sostanza.
Stavano una fra le braccia dell’altra, lei e Maharet, e la pelle dura di Maharet si riscaldò e si ammorbidi quando divennero una cosa sola, con i capelli frammisti, il viso di Jesse affondato nel collo di Maharet mentre azzannava la sorgente e ondate d’estasi dilagavano in lei.
All’improvviso Maharet si ritrasse e girò il viso di Jesse contro il cuscino. Le coprì gli occhi con la mano e Jesse sentì i denti acuminati lacerarle la pelle; sentì che tutto il suo essere veniva ripreso e ritolto. Come un vento sibilante, la sensazione di venire svuotata e divorata, di non essere nulla!
«Bevi ancora, tesoro.» Jesse aprì gli occhi, lentamente. Vide la gola bianca e i seni bianchi.
Tese le mani e strinse la gola e questa volta fu lei a lacerare la pelle. E quando il primo fiotto di sangue le toccò la lingua, attirò Maharet sotto di sé.
Maharet era docile, con il seno contro il suo seno, le labbra contro il suo viso mentre lei succhiava il sangue, lo succhiava sempre più avidamente.
Sei mia, totalmente e completamente mia.
Le immagini, le voci, le visioni, tutto era scomparso.
Dormirono, o quasi dormirono, strette l’una all’altra. Sembrava che il piacere lasciasse un suo splendore; sembrava che respirare fosse sentirlo di nuovo; toccare le lenzuola di seta o la pelle serica di Maharet era ricominciare.
Il vento profumato alitava nella stanza. Dalla foresta si levò un gran sospiro collettivo.
Niente più Miriam, niente più spiriti del reame del crepuscolo fra la vita e la morte. Aveva trovato il suo posto, il suo posto eterno.
Quando chiuse gli occhi vide la cosa nella giungla fermarsi a guardarla. La cosa dai capelli rossi la vide e vide Maharet fra le sue braccia; vide i capelli rossi, due donne dai capelli rossi. E la cosa deviò dal suo cammino e venne verso di loro.
Khayman
Il silenzio, la pace di Carmel Valley. Erano così felici in quella casa, i componenti della piccola congrega, Lestat, Louis, Gabrielle, così felici d’essere insieme. Lestat s’era sbarazzato degli indumenti macchiati ed era di nuovo risplendente nell’«abbigliamento da vampiro», con il mantello di velluto nero buttato con noncuranza su una spalla. E gli altri, com’erano animati. Gabrielle si scioglieva i capelli biondi con gesti distratti mentre parlava con disinvoltura appassionata. E Louis, l’umano, silenzioso eppure profondamente eccitato dalla presenza degli altri due, come se fosse affascinato dai loro gesti più semplici.
In qualunque altro momento Khayman si sarebbe commosso per tanta felicità. Avrebbe voluto toccare le loro mani, guardarli negli occhi, dir loro chi era e che cosa aveva visto: avrebbe voluto stare con loro.
Ma lei era vicina. E la notte non era finita.
Il cielo impallidiva e il lieve tepore del mattino si insinuava sui campi. Gli esseri cominciavano a muoversi nella luce crescente. Gli alberi ondeggiavano e le loro foglie si schiudevano a poco a poco.
Khayman stava sotto il melo a guardare il colore delle ombre che mutava; ascoltava il mattino. Lei era lì, indubbiamente.
Si nascondeva con la forza e con l’astuzia. Ma non poteva ingannare Khayman. Osservava e attendeva e ascoltava le risate e le conversazioni della piccola congrega.
Sulla soglia della casa, Lestat abbracciò la madre che si congedava da lui. Gabrielle uscì nel mattino grigio, con passo scattante nel polveroso abito color kaki, i folti capelli biondi pettinati all’indietro: era l’immagine della vagabonda spensierata. E accanto a lei c’era Louis dai capelli neri.
Khayman li guardò incamminarsi sull’erba. La femmina avanzò sul prato, verso il bosco dove intendeva dormire sottoterra, mentre il maschio entrava nell’oscurità fresca di una piccola costruzione. Aveva qualcosa di raffinato, mentre si infilava sotto l’assito, mentre si sdraiava come se fosse in una tomba… qualcosa nel modo in cui componeva le membra e subito precipitava nel buio assoluto.
E la donna: con sorprendente forza, si fece un nascondiglio profondo e segreto, e le foglie si riassettarono come se lei non ci fosse. La terra racchiudeva le sue braccia protese, la sua testa china. Sprofondò nel sogno delle gemelle, tra le immagini della giungla e del fiume che non avrebbe mai ricordato.
Così andava bene. Khayman non voleva vederli morire bruciati. Esausto, stava appoggiato al melo, e la fragranza verde e pungente dei frutti lo avvolgeva.
Perché lei era lì? E dove si nascondeva? Quando si protese, sentì il sommesso suono radiante della sua presenza, piuttosto simile a un motore del mondo moderno, che emanava il sussurro irresistibile d’un potere letale.
Finalmente Lestat uscì dalla casa e si avviò verso il covo che si era preparato sotto le acacie, sul fianco della collina. Discese passando per una botola, giù per una scala di terra, ed entrò in una camera umida.
Dunque era la pace, per tutti, la pace fino a quella sera, quando Khayman avrebbe recato le tristi notizie.
Il sole si avvicinò di più all’orizzonte. Apparvero i primi raggi deflessi, che offuscavano sempre la vista di Khayman. Si concentrò sui colori del frutteto che diventavano più intensi mentre il resto del mondo perdeva i contorni e le forme. Chiuse gli occhi per un momento, e si rese conto che doveva entrare nella casa e trovare un luogo fresco e buio dove era improbabile che i mortali venissero a disturbarlo.
E al tramonto del sole li avrebbe attesi, al risveglio. Avrebbe detto loro ciò che sapeva; avrebbe parlato degli altri. Con una fitta improvvisa di sofferenza pensò a Mael e a Jesse che non riusciva a trovare, come se la terra li avesse inghiottiti.
Pensò a Maharet e provò l’impulso di piangere. Ma si avviò verso la casa. Il sole era caldo sulle sue spalle, e aveva le membra appesantite. Domani sera, qualunque cosa accadesse, non sarebbe stato solo. Avrebbe avuto la compagnia di Lestat e dei suoi seguaci; e se l’avessero scacciato, sarebbe andato in cerca di Armand. Sarebbe andato a nord, da Marius.
Ma poi, per prima cosa udì il suono… un rombo foltissimo, crepitante. Si voltò e si schermò gli occhi per ripararli dal sole che sorgeva. Un grande zampillo di terra eruppe dal fondo della foresta. Le acacie ondeggiavano come squassate da un uragano, con i rami che si spezzavano, le radici strappate dal suolo, i tronchi che cadevano da ogni parte.
In un turbine scuro d’indumenti agitati dal vento, la regina ascese con una rapidità feroce. Il corpo inerte di Lestat giaceva fra le sue braccia mentre sfrecciava verso il cielo occidentale, lontano dal sole.
Khayman proruppe in un grido prima di potersi trattenere. Il grido echeggiò nel silenzio della valle. Dunque la regina aveva portato via il suo amante.
Oh, povero amante, oh, povero bel principe biondo…
Ma non c’era tempo per pensare e per agire e per conoscere i propri sentimenti. Khayman si girò verso il rifugio, la casa. Il sole aveva colpito le nubi e l’orizzonte era divenuto un inferno.
Daniel fremette nell’oscurità. Il sonno parve sollevarsi come una coperta che stava per schiacciarlo. Vide il lampo nell’occhio di Armand, sentì il suo sussurro: «Lei l’ha portato via».