Jesse gemette. Aleggiava priva di peso nell’oscurità perlacea. Vide le due figure che ascendevano come in una danza… la Madre e il Figlio. Come santi assurti in cielo sulla volta affrescata di una chiesa. Le sue labbra formarono due parole: «la Madre».
Nella tomba scavata dentro le profondità del ghiaccio, Pandora e Santino dormivano abbracciati. Pandora udì il suono. Udì il grido di Khayman. Vide Lestat con gli occhi chiusi e la testa rovesciata all’indietro che ascendeva nell’abbraccio di Akasha. Vide gli occhi neri di Akasha fissi sul volto del dormiente. Il cuore di Pandora si arrestò per il terrore.
Marius chiuse gli occhi. Non riusciva più a tenerli aperti. Lassù ululavano i lupi; il vento aggrediva il tetto d’acciaio del complesso. Attraverso la tormenta, i raggi fiochi del sole sembravano accendere i vortici di neve, e sentiva il tepore che penetrava attraverso gli strati di ghiaccio fino a intorpidirlo.
Vide la figura addormentata di Lestat fra le braccia di Akasha; la vide ascendere nel cielo. «Guardati da lei, Lestat», mormorò nell’ultimo istante di coscienza. «Pericolo.»
Khayman si sdraiò sul pavimento coperto dai tappeti e nascose il viso contro il braccio. E subito venne il sogno, il sogno vellutato d’una notte d’estate in un luogo incantevole, dove il cielo era immenso sopra le luci della città, ed erano tutti insieme, gli immortali di cui conosceva i nomi e che ora stringeva al cuore.
PARTE TERZA
COM’ERA IN PRINCIPIO, COM’È ORA E COME SARÀ PER SEMPRE
1. LESTAT: FRA LE BRACCIA DELLA DEA
Ho dei ricordi troppo offuscati e non so dire quando mi svegliai, quando ripresi i sensi.
Sapevo che io e lei eravamo stati insieme per lungo tempo, che m’ero nutrito del suo sangue con abbandono animale, che Enkil era stato annientato e che lei sola deteneva il potere primigenio; e mi mostrava e mi diceva cose che mi facevano piangere come un bambino.
Duecento anni prima, quando avevo bevuto da lei nel sacrario, il sangue era muto, stranamente e magnificamente muto. Adesso era un turbine assoluto di immagini che affollava vorticosamente il cervello, allo stesso modo di come dilaniava il corpo; apprendevo tutto ciò che era accaduto; ero presente mentre gli altri morivano a uno a uno in quel modo orribile.
E poi c’erano le voci, le voci che salivano e si abbassavano, in apparenza senza uno scopo, come un coro sussurrante in una caverna.
Sembrava che vi fosse un momento di lucidità in cui connettevo tutto… il concerto rock, la casa in Carmel Valley, il suo volto radioso davanti a me. E la certezza di essere con lei, ora, in quel luogo buio e nevoso. L’avevo destata. O più esattamente le avevo dato la ragione per destarsi, come aveva detto. La ragione per voltarsi a guardare il trono su cui era rimasta tanto a lungo e per allontanarsene con i primi passi incerti.
Sai cosa ha significato sollevare la mano e vederla muoversi nella luce? Sai cos’ha significato sentire il suono della mia voce echeggiare improvvisamente in quella camera marmorea?
Sicuramente avevamo danzato insieme nel bosco buio e coperto di neve, oppure c’eravamo soltanto abbracciati tante e tante volte?
Erano accadute cose terribili. Cose terribili, in tutto il mondo. L’esecuzione di coloro che non avrebbero mai dovuto nascere. Progenie malefica. Il massacro al concerto era stato solo la conclusione.
Eppure ero tra le sue braccia nella tenebra gelida, nell’odore familiare dell’inverno, e il suo sangue era di nuovo mio, e mi asserviva. Quando si staccava da me, soffrivo. Dovevo schiarire i miei pensieri, dovevo sapere se Marius era vivo o no, se Louis e Gabrielle e Armand erano stati risparmiati. Dovevo trovare di nuovo me stesso, in un certo senso.
Ma le voci, la marea crescente delle voci! Mortali, vicini e lontani. La distanza non faceva differenza. La misura era l’intensità. Era il mio udito potenziato un milione di volte, dai tempi in cui potevo soffermarmi in una via cittadina e ascoltare gli abitanti di un edificio buio, ognuno nella sua camera, mentre parlavano e pensavano e pregavano, per tutto il tempo che volevo.
Un silenzio improvviso, quando lei parlò.
«Gabrielle e Louis sono salvi. Te l’ho detto. Credi che farei del male a coloro che ami? Ora guardami negli occhi e ascolta soltanto ciò che dico. Ne ho risparmiati assai più di quanti sia necessario. E l’ho fatto per te non meno che per me, per potermi rispecchiare in occhi immortali e sentire la voce dei miei figli che mi parlano. Ma ho scelto coloro che ami, coloro che vorresti rivedere. Non potrei sottraiti questo conforto. Ma ora sei con me, e devi vedere e conoscere ciò che ti viene rivelato. Devi avere un coraggio degno del mio.»
Non sopportavo le visioni che mi comunicava… quella piccola, orrida Baby Jenks negli ultimi istanti; era stato un sogno disperato nel momento della sua morte, una catena di immagini che balenavano nel cervello morente? Non lo sopportavo. E Laurent, il mio vecchio compagno Laurent, che inceneriva tra le fiamme sul marciapiedi; e dall’altra parte del mondo Felix, che avevo egualmente conosciuto nel Teatro dei Vampiri e che ruggiva bruciando in un vicolo di Napoli e si buttava in mare. E gli altri, tanti altri in tutto il mondo; piangevo per loro; piangevo per tutto. Una sofferenza senza significato.
«Una vita come quella», dissi piangendo a proposito di Baby Jenks.
«Perciò ti ho mostrato tutto», rispose lei. «Perciò è finita. I Figli delle Tenebre non esistono più. Ora avremo soltanto gli angeli.»
«Ma gli altri?» chiesi. «Che ne è stato di Armand?» E le voci ricominciarono, il brusio sommesso che poteva ingigantire e diventare un rombo assordante.
«Vieni, mio principe», sussurrò lei. Di nuovo silenzio. Mi prese il viso tra le mani. Gli occhi neri divennero più grandi, il volto bianco quasi tenero. «Se devi vedere, ti mostrerò coloro che ancora vivono, coloro i cui nomi diventeranno leggenda come il tuo e il mio.»
Leggenda?
Girò leggermente la testa; sembrò un miracolo quando chiuse gli occhi perché la vita visibile l’abbandonò completamente. Una cosa morta e perfetta, con le ciglia nere squisitamente incurvate. Le guardai la gola; il celeste dell’arteria sotto la pelle, improvvisamente visibile come se volesse mostrarmela. Il desiderio che provavo era insopportabile. La dea, mia! La strinsi bruscamente con una forza che avrebbe fatto soffrire un mortale. La pelle gelida sembrava assolutamente impenetrabile; poi i miei denti la lacerarono e la fonte ardente rombò di nuovo in me.
Vennero le voci, ma si spensero al mio comando. E poi non vi fu altro che lo scorrere del sangue e il suo cuore che batteva lento contro il mio.
Tenebra. Una cantina di mattoni. Una bara di quercia, levigata e lustra. Serrature d’oro. Il momento magico: le serrature si aprirono, come se una chiave invisibile le avesse fatte scattare. Il coperchio si sollevò rivelando il rivestimento di raso. C’era un lieve sentore di profumo orientale. Vidi Armand sui cuscini di raso bianco, un serafino dai lunghi capelli fulvi; la testa reclinata, gli occhi vacui come se il risveglio fosse sempre sconcertante. Lo vidi alzarsi dalla bara con gesti lenti, eleganti; i nostri gesti, perché noi siamo i soli che si alzano abitualmente dalle bare. Lo vidi chiudere il coperchio. Si avviò sul pavimento di mattoni verso un’altra bara. L’aprì con reverenza, come se fosse uno scrigno contenente un raro tesoro. All’interno dormiva un giovane: era senza vita, ma sognava. Sognava una giungla dove camminava una donna dai capelli rossi, una donna che non vedevo chiaramente. E poi una scena bizzarra, qualcosa che avevo giù veduto, ma dove? Due donne inginocchiate accanto a un altare. O almeno, pensavo che fosse un altare…