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Lei si tese. Si mosse come una statua della Vergine pronta a schiacciarmi. Svenni; credetti di sentirla pronunciare il mio nome. Ma il sangue giunse in un altro fiotto, e il mio corpo riprese a palpitare di piacere. Non c’era più la terra, non c’era più la forza di gravita.

Di nuovo la cantina. Un’ombra sul corpo del giovane. Un altro era entrato e aveva posato una mano sulla spalla di Armand. Armand lo conosceva. Si chiamava Mael. Venite.

Ma dove li sta conducendo?

La sera violacea nella foresta di sequoie. Gabrielle camminava con quel suo passo noncurante e inarrestabile, i suoi occhi erano come frammenti di vetro e non restituivano nulla a ciò che vedeva intorno a sé; accanto a lei c’era Louis che si sforzava di reggere la sua andatura. Louis appariva così civilizzato in quel luogo selvaggio, così disperatamente fuori posto. Aveva abbandonato il travestimento da vampiro della sera precedente; eppure sembrava ancor più un gentiluomo con quei vecchi indumenti logori, un gentiluomo in difficoltà. Con lei è fuori posto, e lei lo sa? Avrà cura di Louis? Ma entrambi hanno paura, paura per me!

Il cielo minuscolo, lassù, si stava trasformando in porcellana lucida; gli alberi sembravano attirare la luce lungo i tronchi massicci, fin quasi alle radici. Sentivo un ruscello scorrere nell’ombra. Poi lo vidi. Gabrielle avanzò nell’acqua con gli stivali. Ma dove vanno? E chi era il terzo con loro, colui che appariva solo quando Gabrielle si voltava a guardarlo? Mio Dio, che volto, e così placido. Antico, potente… e tuttavia lasciava che i due giovani lo precedessero. Tra gli alberi scorsi una radura, una casa. Su un’alta veranda di pietra c’era una donna dai capelli rossi: la donna che avevo visto nella giungla? Un volto che era una maschera antica e inespressiva, come il volto del maschio nella foresta che la guardava; un volto come il volto della mia regina.

Lascia che s’incontrino. Sospirai mentre il sangue scorreva in me. Tutto sarà più semplice. Ma chi erano quegli antichi, quegli esseri dai lineamenti purificati come i suoi?

La visione cambiò. Questa volta le voci erano una ghirlanda intorno a noi, e bisbigliavano e piangevano. Per un momento desiderai ascoltare, distaccare dal coro mostruoso un fuggevole canto mortale. Immaginai… voci che provenivano da ogni luogo, dalle montagne dell’India, dalle vie di Alessandria, da minuscoli villaggi vicini e lontani.

Ma stava giungendo un’altra visione.

Marius. Marius saliva da un abisso insanguinato di ghiaccio, e Pandora e Santino l’aiutavano. Erano riusciti a raggiungere il pavimento di un sotterraneo. Il sangue coagulato era una crosta che copriva metà del viso di Marius: appariva incollerito, amareggiato, con gli occhi vacui, i lunghi capelli biondi insanguinati. Salì zoppicando una scala di ferro a spirale, seguito da Pandora e Santino. Sembrava che salissero attraverso un tubo. Quando Pandora cercò di aiutarlo, la scostò con un gesto brusco.

Vento. Freddo e pungente. La casa di Marius era aperta agli elementi come se l’avesse schiantata un terremoto. I vetri erano spezzati in frammenti pericolosi; pesci tropicali rari e bellissimi erano congelati sul fondo sabbioso di un grande acquario distrutto. La neve copriva i mobili e si ammucchiava contro gli scaffali, le statue, le raccolte di dischi e di nastri. Gli uccelli erano morti nelle gabbie. Le piante verdi grondavano di ghiaccioli. Marius guardava i pesci morti nel margine di ghiaccio torbido in fondo alla vasca, guardava gli steli morti delle alghe sparsi fra le schegge di vetro.

Mentre lo guardavo, lo vidi risanare; i lividi parvero dileguarsi dal suo viso, che ritrovò la forma naturale. La gamba migliorava: ora poteva tenersi quasi eretto. Fissava furioso i minuscoli pesci azzurri e argentei. Alzava gli occhi verso il cielo, verso il vento bianco che cancellava completamente le stelle. E faceva cadere dalla faccia e dai capelli le scaglie di sangue raggrumato.

Il vento aveva sparpagliato migliaia di pagine… pagine di pergamena, di vecchia carta fragile. La neve turbinante scendeva leggera nel salotto in rovina. Marius prese l’attizzatoio di bronzo per usarlo come bastone e attraverso il muro sfondato guardò i lupi affamati che ululavano nel recinto. Non avevano avuto cibo da quando lui, il padrone, era rimasto sepolto. Ah, l’ululato dei lupi! Sentii Santino parlare a Marius e cercare di dirgli che dovevano andare perché erano attesi: una donna li attendeva nella foresta di sequoie, una donna antica come la Madre, e la riunione non poteva iniziare prima del loro arrivo. Un brivido d’allarme mi scosse. Cos’era quella riunione? Marius comprendeva, ma non dava risposta. Ascoltava i lupi. I lupi…

La neve e i lupi. Sognavo i lupi. Sentivo di tornare indietro con il pensiero, nei sogni e nei ricordi. Vedevo un branco di lupi che correva sulla neve appena caduta.

Vedevo me stesso, giovane, mentre lottavo contro il branco di lupi venuti nell’inverno a depredare il villaggio di mio padre, duecento anni prima. Vedevo me stesso mortale, così vicino alla morte da sentirne l’odore. Ma avevo abbattuto i lupi, a uno a uno. Ah, quel rozzo vigore giovanile, il puro lusso della vita spensierata e irresistibile! O almeno così sembrava. A quel tempo era stata una sofferenza, no? La valle ghiacciata, il mio cavallo e i miei cani uccisi. Ma ora potevo solo ricordare e vedere la neve che copriva le montagne, le mie montagne, la terra di mio padre.

Aprii gli occhi. Lei mi aveva lasciato, mi aveva costretto a indietreggiare d’un passo. Per la prima volta compresi dov’eravamo in realtà. Non in una notte astratta, ma in un luogo reale, un luogo che un tempo era stato mio.

«Sì», bisbigliò. «Guardati intorno.»

Riconoscevo il luogo dall’aria e dall’odore dell’inverno. La mia vista tornò a schiarirsi. Vidi i bastioni diroccati e la torre.

«È la casa di mio padre!» mormorai. «È il castello dove sono nato.»

Silenzio. La neve bianca sull’antico pavimento. Quella era stata la grande sala. Dio, vederla in rovina, sapere che era desolata da tanto tempo. Le vecchie pietre sembravano soffici come la terra; e lì c’era stata la tavola, la grande tavola fabbricata al tempo delle Crociate, e là c’era stato il focolare, e là la porta.

La neve non cadeva più. Alzai la testa e vidi le stelle. La torre aveva conservato la forma rotonda e svettava al di sopra del tetto sfondato, anche se tutto il resto era un guscio infranto. La casa di mio padre…

La regina si scostò da me, si mosse sul candore lucente del pavimento. Girò in cerchio, adagio, con la testa rovesciata all’indietro, come se danzasse.

Muoversi, toccare le cose solide, passare dal mondo dei sogni al mondo reale: prima aveva parlato di tutte quelle gioie. Guardarla mi faceva mancare il respiro. I suoi indumenti erano senza tempo: un manto di seta nera, una veste dalle pieghe morbide che ondeggiavano dolcemente intorno alla figura snella. Fin dagli albori della storia le donne si sono abbigliate così, e si vestono ancora così nelle sale da ballo di tutto il mondo. Volevo abbracciarla di nuovo; ma me lo vietò con un gesto. Che cosa aveva detto? Lo immagini? Quando ho scoperto che non poteva più trattenermi. Stavo davanti al trono e lui non si era mosso, non aveva reagito in alcun modo.