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«Ma come? E chi l’aveva stabilito?»

«Chi?» sorrise di nuovo. «Non capisci? Non devi cercare altrove la causa di qualcosa. Io sono il compimento, e da questo istante sarò la causa. Nulla e nessuno, ormai, potrà fermarmi.» Per un secondo il suo viso s’indurì. Poi di nuovo l’esitazione. «Le vecchie maledizioni non significano nulla. Nel silenzio ho raggiunto un tale potere che nessuna forza della natura potrebbe farmi del male. Neppure quelli della mia Prima Stirpe possono farmi del male, anche se complottano contro di me. Era destino che trascorressero quegli anni prima della tua venuta.»

«Come ho cambiato la realtà?»

Si avvicinò d’un passo. Mi cinse con un braccio e per un momento lo sentii morbido, non marmoreo com’era in realtà. Eravamo due esseri vicini, e lei mi appariva indescrivibilmente bella, così pura e ultraterrena. Provai di nuovo, fremendo, il desiderio di sangue. Il desiderio di piegarmi a baciarle la gola, di averla come avevo avuto migliaia di donne mortali: eppure era la dea dai poteri sconfinati. Sentivo il desiderio ingigantire.

Mi posò di nuovo l’indice sulle labbra, come per impormi di tacere.

«Ricordi quand’eri ragazzo, qui?» mi chiese. «Pensa a quando li imploravi di mandarti alla scuola del monastero. Ricordi le cose che t’insegnavano i frati? Le preghiere, gli inni, le ore nella biblioteca, le ore nella cappella quando pregavi in solitudine?»

«Certo, lo ricordo.» Sentii le lacrime che mi salivano di nuovo agli occhi. Vedevo tutto così nitidamente, la biblioteca del monastero e i frati che mi avevano istruito e credevano che avrei potuto diventare prete. Vedevo la piccola, fredda cella con il tavolaccio, vedevo il chiostro e il giardino velato d’ombre rosse; Dio, non volevo pensare a quei tempi. Ma certe cose non si possono mai dimenticare.

«Ricordi la mattina quando andasti nella cappella», continuò la regina, «e t’inginocchiasti sul pavimento di marmo, con le braccia incrociate, e dicesti a Dio che avresti fatto qualunque cosa, se ti avesse reso buono?»

«Sì, buono…» Era la mia voce, ora, a tingersi di amarezza.

«Dicesti che avresti sofferto il martirio, tormenti inenarrabili, per essere buono.»

«Sì, ricordo.» Vedevo i vecchi santi, udivo gli inni che mi avevano spezzato il cuore. Ricordavo la mattina in cui i miei fratelli erano venuti per ricondurmi a casa e li avevo supplicati in ginocchio perché mi permettessero di restare.

«E più tardi, quando avevi perduto l’innocenza, quando partisti per Parigi… volevi la stessa cosa. Quando ballavi e cantavi per le folle dei boulevard, volevi essere buono.»

«Lo ero», dissi esitando. «Era bene rendere felici gli spettatori, e per un po’ fu ciò che feci.»

«Sì, felici», mormorò lei.

«Non riuscii mai a spiegare al mio amico Nicolas, sai, che era così importante… credere nel concetto del bene, anche se eravamo noi stessi a inventarlo. Ma in realtà non lo inventiamo. Esiste, non è vero?»

«Oh, sì, esiste», disse la regina. «Perché siamo noi a farlo esistere.»

Quanta tristezza. Non riuscivo a parlare. Guardavo cadere la neve. Le strinsi la mano e sentii le sue labbra sulla guancia.

«Tu sei nato per me, mio principe», disse. «Sei stato messo alla prova e sei diventato perfetto. E in quei primi anni, quando entrasti nella camera di tua madre e la portasti con te nel mondo dei non-morti, era solo un presagio del fatto che mi avresti destata. Io sono la tua vera Madre, la Madre che non ti abbandonerà mai: e anch’io sono morta e risorta. Tutte le religioni del mondo, mio principe, cantano me e te.»

«Com’era possibile?» chiesi.

«Ah, ma lo sai. Lo sai!» Mi prese la spada ed esaminò la vecchia cintura, la passò sul palmo della mano destra. Poi la lasciò cadere nel mucchio arrugginito… l’ultima reliquia sulla terra della mia vita mortale. E fu come se un vento disperdesse tutto, lentamente, sul pavimento coperto di neve.

«Abbandona le vecchie illusioni», disse. «Le inibizioni. Non sono più utili di queste vecchie armi. Insieme, daremo realtà ai miti del mondo.»

Un brivido diaccio mi scosse, un brivido tenebroso d’incredulità e poi di confusione: ma la sua bellezza lo vinse.

«Volevi diventare un santo quando t’inginocchiasti nella cappella», mi disse. «Ora sarai un dio insieme a me.»

C’erano parole di protesta sulla punta della mia lingua: ero spaventato, una sensazione oscura mi vinceva. Le sue parole… cosa potevano significare?

Ma all’improvviso sentii che mi cingeva con un braccio. E ascendemmo dalla torre passando attraverso il tetto sfondato. Il vento era così forte da ferirmi le palpebre. Mi voltai verso Akasha. Le passai il braccio destro intorno alla cintura e nascosi il viso contro la sua spalla.

La sua voce mi mormorò di dormire. Sarebbero trascorse ore prima che il sole tramontasse sulla terra dove eravamo diretti, il luogo della prima lezione.

La lezione. Ricominciai a piangere stringendomi a lei, e piansi perché ero perduto e lei era la sola cosa cui potevo aggrapparmi. E avevo terrore di ciò che mi avrebbe chiesto.

2. MARIUS: L’INCONTRO

S’incontrarono di nuovo al margine della foresta di sequoie, con gli abiti a brandelli e gli occhi che bruciavano per il vento. Pandora era alla destra di Marius, Santino alla sua sinistra. E dalla casa nella radura, Mael venne verso di loro a lunghi passi sopra l’erba falciata.

Abbracciò Marius in silenzio.

«Vecchio amico», disse Marius. Ma la sua voce non aveva vitalità. Esausto, guardò le finestre illuminate e riconobbe la presenza di una grande dimora nascosta nelle viscere della montagna, dietro la struttura visibile dal tetto spiovente.

Cosa l’attendeva? Che cosa attendeva tutti? Se almeno avesse avuto lo spirito necessario, se avesse potuto ricatturare una minima parte della sua anima.

«Sono stanco», disse a Mael. «Il viaggio mi ha distrutto. Lasciatemi riposare ancora un momento. Poi verrò.»

Marius non disprezzava la facoltà di volare, come sapeva che la disprezzava Pandora; ma lo deprimeva. S’era sentito incapace di difendersene, quella notte: e adesso doveva sentire la terra sotto di lui, aspirare l’odore della foresta e scrutare la casa distante in un momento di quiete ininterrotta. I suoi capelli erano scompigliati dal vento e ancora incrostati di sangue raggrumato. La giacca e i pantaloni di semplice lana grigia che aveva recuperato tra le rovine della sua dimora non lo tenevano caldo. Si strinse nel pesante mantello nero, non perché la notte lo rendesse necessario, ma perché era ancora agghiacciato dal vento.

Mael non sembrava gradire quell’esitazione, ma l’accettò. Guardò sospettoso Pandora che non gli aveva mai ispirato fiducia, quindi fissò con aperta ostilità Santino, intento a spolverarsi l’abito e a pettinarsi i capelli neri ben tagliati. Per un secondo i loro occhi s’incontrarono. Quelli di Santino erano colmi di malizia; Mael distolse lo sguardo.

Marius rimase in ascolto, a riflettere. Sentiva il risanamento che finiva di compiersi nel suo corpo: lo sorprendeva un po’ essere di nuovo indenne. Come i mortali comprendono anno dopo anno di essere più vecchi e più deboli, gli immortali devono imparare a capire d’essere più forti di quanto immaginassero. In quel momento questa idea l’esasperava.

Era trascorsa appena un’ora da quando Pandora e Santino l’avevano aiutato a uscire dall’abisso di ghiaccio; e adesso era come se non fosse mai stato là, schiacciato e impotente, per dieci giorni e dieci notti, visitato continuamente dall’incubo delle gemelle. Tuttavia, nulla poteva più essere come un tempo.