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La vide chiudere gli occhi e premere le dita sulle palpebre come per scacciare il dolore, ma senza riuscirvi.

«Maharet», disse con un sospiro sincero, «siamo in guerra e stiamo sul campo di battaglia a scambiarci parole dure. Io sono il peggior colpevole. Ma desidero soltanto comprendere.» Lei lo guardò, con la testa china, la mano protesa davanti al volto. Era uno sguardo ardente, quasi maligno. Tuttavia Marius si sorprese a guardare insensatamente la curva delicata delle dita, le unghie dorate e gli anelli con i rubini e gli smeraldi che balenavano come illuminati dalla luce elettrica.

Lo colpì un pensiero sperduto e terribile: se non avesse smesso d’essere così stupido non avrebbe più rivisto Armand. Lei avrebbe potuto scacciarlo o peggio… E prima che tutto finisse, voleva vedere Armand.

«Entra, Marius», disse Maharet con voce cortese, tollerante. «Vieni con te, e riunisciti alla tua creatura: poi ci troveremo con gli altri che hanno gli stessi interrogativi. E incominceremo.»

«Sì, la mia creatura…» mormorò Marius. Sentiva il desiderio di Armand come una musica, come il fraseggiare dei violini di Bartók in un luogo remoto e sicuro dove aveva a disposizione, per ascoltare, tutto il tempo del mondo. Eppure la odiava. Li odiava tutti. Odiava se stesso. L’altra gemella, dov’era l’altra gemella? Visioni di una giungla. Visioni di liane strappate, di virgulti che si spezzavano sotto i piedi. Si sforzò di ragionare, ma senza riuscirvi. L’odio l’avvelenava.

Molte volte aveva assistito a quella nera negazione della vita nei mortali. Aveva udito i più saggi tra loro dire: «La vita non vale la pena». E non aveva mai compreso; ebbene, adesso comprendeva.

Si accorse vagamente che la donna s’era rivolta agli altri, e invitava Pandora e Santino a entrare in casa.

Come in una trance, la vide voltarsi per precederli. I capelli le scendevano fino alla cintura in una grande massa di riccioli rossi. Provava l’impulso di toccarli per accertare se erano davvero morbidi come parevano. Era straordinario che si lasciasse distrarre da qualcosa di bello in quel momento, qualcosa d’impersonale che gli dava un senso di benessere, come se nulla fosse accaduto, come se nel mondo regnasse il bene. Rivedeva il sacrario intatto, il sacrario al centro del suo mondo. Ah, lo stupido cervello umano, pensò… come si afferra a ciò che capita. E pensare che Armand attendeva, così vicino…

La donna li precedette attraverso una serie di grandi stanze arredate sobriamente. Quel luogo aveva l’aria di una cittadella. Le travi del soffitto erano enormi; i camini, dove ardevano fuochi ruggenti, non erano altro che focolari di pietra aperti.

Era così simile ai vecchi luoghi di ritrovo dell’Europa medievale, quando le strade romane erano andate in rovina, la lingua latina era stata dimenticata e le vecchie tribù guerriere erano di nuovo insorte. Alla fine i celti avevano trionfato. Erano stati loro a conquistare l’Europa; i castelli feudali non erano altro che accampamenti celtici; e persino negli stati moderni sopravviveva la superstizione celtica, più della ragione romana.

Ma quel luogo ricordava tempi ancora più antichi. Uomini e donne erano vissuti in città costruite così, prima dell’invenzione della scrittura, in stanze di intonaco e di legno, fra oggetti intessuti o martellati a mano.

Gli piaceva; ah, di nuovo la mente idiota, pensò… come poteva piacergli qualcosa in un momento simile? Ma i luoghi costruiti dagli immortali lo affascinavano sempre. E quello era un posto da studiare lentamente, da imparare a conoscere in un lungo periodo di tempo.

Varcarono una porta d’acciaio e penetrarono nell’interno della montagna. L’odore della terra lo circondò. Tuttavia camminavano in corridoi nuovi di metallo, con le pareti di lamiera. Sentiva i generatori, i computer, tutti i sommessi ronzii elettronici che gli avevano dato un grande senso di sicurezza nella sua casa.

Salirono una scala di ferro che si avvolgeva su se stessa, via via che Maharet li guidava sempre più in alto. Le pareti rozze rivelavano le viscere della montagna, dalle venature profonde di argilla colorata e di roccia. Vi crescevano felci minuscole; ma da dove giungeva la luce? Un lucernario, lassù in alto. Una minuscola porta del cielo. Alzò lo sguardo con sollievo verso il barlume di chiarore azzurro.

Finalmente arrivarono su un ampio ballatoio ed entrarono in una stanzetta buia. C’era una porta, aperta su una camera assai più grande dove attendevano gli altri; ma per il momento Marius scorse soltanto il bagliore di un fuoco lontano che lo costrinse a distogliere lo sguardo.

Qualcuno lo attendeva in quella stanzetta, qualcuno di cui non era riuscito a percepire la presenza se non con i mezzi più ordinari. Era qualcuno che adesso gli stava alle spalle. E mentre Maharet entrava nel locale più grande e conduceva con sé Pandora, Santino e Mael, comprese ciò che stava per accadere. Per prepararsi trasse un respiro lento e chiuse gli occhi.

Come sembrava banale tutta la sua amarezza. Pensò all’essere la cui esistenza era stata per secoli sofferenza ininterrotta, la cui gioventù in tutte le sue esigenze era stata resa veramente eterna; l’essere che non aveva potuto salvare o perfezionare. Quante volte, nel corso degli anni, aveva sognato di ritrovarlo, senza mai averne il coraggio; e adesso dovevano rivedersi finalmente su quel campo di battaglia, in quel tempo di rovina.

«Amor mio», sussurrò. All’improvviso si sentì intimidito, come era avvenuto prima, quando s’era involato sopra le distese innevate, oltre il regno delle nubi indifferenti. Non aveva mai pronunciato parole più sentite e sincere. «Mio bellissimo Amadeo», disse.

Si tese e sentì il tocco della mano di Armand.

La carne innaturale era ancora morbida, morbida come se fosse umana, e fresca e delicata. Non seppe trattenersi. Pianse. Aprì gli occhi e vide la figura di adolescente che gli stava davanti. Oh, quell’espressione. Così arrendevole e piena di accettazione. Poi spalancò le braccia.

Secoli prima, in un palazzo veneziano, aveva cercato di catturare la qualità di quell’amore. Qual era stata la lezione? In tutto il mondo non esistono due anime che racchiudano lo stesso segreto, lo stesso dono di dedizione e di abbandono; in un ragazzo comune, un ragazzo ferito, aveva trovato un miscuglio di tristezza e di semplice grazia che gli avrebbe spezzato il cuore per sempre? Costui lo aveva compreso! Costui l’aveva amato come non l’aveva mai amato nessun altro.

Tra le lacrime non vide alcuna recriminazione per il grandioso esperimento sbagliato. Vide la faccia che aveva dipinto, ora leggermente oscurata da ciò che ingenuamente chiamiamo saggezza; e vide lo stesso amore sul quale aveva contato in modo così totale in quelle notti perdute.

Se vi fosse stato il tempo, il tempo di cercare la quiete della foresta, un luogo caldo e isolato fra le sequoie svettanti, per parlare insieme ore e ore, senza fretta, per notti e notti! Ma gli altri attendevano; perciò quei momenti erano tanto più preziosi e tanto più tristi.

Strinse a sé Armand. Gli baciò le labbra e i lunghi capelli scomposti. Gli passò avidamente una mano sulle spalle, guardò la mano bianca che teneva nella sua. Aveva cercato di conservare perennemente ogni dettaglio sulla tela: e sicuramente aveva conservato ogni dettaglio nella morte.

«Ci attendono, vero?» chiese. «Non ci concederanno più di qualche attimo.»

Armand annuì. Con voce così bassa che si udiva appena, disse: «È abbastanza. Ho sempre saputo che ci saremmo incontrati di nuovo». Oh, i ricordi evocati dal timbro della voce. Il palazzo con i soffitti a cassettoni, i letti con i drappi di velluto rosso. Quel ragazzo che saliva correndo la scalinata di marmo, con il viso avvampato dal vento invernale dell’Adriatico, gli occhi scuri ardenti come braci. «Persino nei momenti di maggior pericolo», continuò la voce, «sapevo che ci saremmo incontrati prima che fossi libero di morire.»

«Libero di morire?» ribattè Marius. «Siamo sempre liberi di morire, no? Ora dobbiamo avere il coraggio di farlo, se è davvero giusto.»