Armand parve riflettere per un momento. E l’espressione remota che apparve sul suo volto fece rinascere in Marius la tristezza. «Sì, è vero.»
«Ti amo», mormorò Marius all’improvviso, appassionatamente come un mortale. «Ti ho sempre amato. Vorrei poter credere in qualcosa di diverso dall’amore in questo momento, ma non posso.»
Un suono li interruppe. Maharet era apparsa sulla soglia.
Marius passò il braccio intorno alle spalle di Armand. Vi fu un ultimo attimo di silenzio e d’intesa fra loro. Poi seguirono la donna nell’immensa sala in cima alla montagna.
Era tutta di vetro, a parte il muro dietro di lui e il comignolo di ferro sospeso nel soffitto sopra al fuoco scoppiettante. Non c’era altra luce oltre alle fiamme, e tutto intorno le cime delle sequoie mostruose, e il cielo blando del Pacifico con le nubi vaporose e le minuscole stelle pavide.
Ma era comunque bellissimo, no? Anche se non era il cielo sopra la baia di Napoli, o sopra il fianco dell’Annapurna o un vascello alla deriva sul mare buio. Era bellissimo nella sua immensità: e pensare che pochi attimi prima era lassù, librato nella tenebra, visto solo dai compagni di viaggio e dalle stelle. La gioia tornò a lui come nell’attimo in cui aveva guardato i capelli rossi di Maharet. Non c’era sofferenza come quando pensava ad Armand al suo fianco: era soltanto gioia, impersonale e trascendente. Una ragione per restare vivo.
All’improvviso ricordò che l’amarezza e il rimpianto non erano sentimenti molto adatti a lui, che non aveva l’energia adeguata: e se doveva recuperare la dignità, doveva farlo in fretta.
Sentì una risatina, discreta e amichevole, forse un po’ ebbra, la risata di un novizio privo di buonsenso. Sorrise e lanciò un’occhiata a quell’essere, Daniel, il «ragazzo» anonimo dell’Intervista con il Vampiro. Ricordò di colpo che era il figlio di Armand, l’unico figlio che Armand avesse mai creato. Era avviato bene sulla Strada del Diavolo, quell’essere esuberante e inebriato, fortificato da tutto ciò che Armand aveva da donare.
Scrutò in fretta gli altri che s’erano radunati intorno al tavolo ovale.
Alla sua destra, un po’ lontana, c’era Gabrielle con i capelli biondi raccolti in una treccia e gli occhi colmi di angoscia; e accanto a lei Louis, passivo come sempre, fissava Marius con attenzione scientifica o venerazione, o forse l’una e l’altra; e poi c’era l’amata Pandora, con i capelli bruni e ondulati sciolti sulle spalle e ancora costellati dalle minuscole gocce di ghiaccio disciolto. Infine c’era Santino alla sua destra, di nuovo composto e con gli indumenti di velluto nero liberi dalla polvere.
Alla sua sinistra stava Khayman, un altro essere antico che aveva rivelato il proprio nome in silenzio e senza reticenze; un essere agghiacciante, con un viso ancora più levigato di quello di Maharet. Marius si accorse che era faticoso distogliere gli occhi da lui. I volti della Madre o del Padre non l’avevano mai così sorpreso, sebbene anche loro avessero gli stessi occhi neri, gli stessi capelli di giaietto. Era il sorriso, no? L’espressione aperta e affabile, fissa nonostante il tempo che si sforzava di cancellarla. L’essere sembrava un mistico o un santo, tuttavia era un assassino spietato. I recenti banchetti di sangue umano avevano ammorbidito un poco la sua pelle e conferito un lieve rossore alle guance.
Mael, irsuto come sempre, aveva preso posto alla sinistra di Khayman, e dopo di lui veniva un altro vecchio, Eric, che secondo il calcolo di Marius aveva più di tremila anni, ed era magro e ingannevolmente fragile d’aspetto: doveva aver avuto una trentina d’anni quando era morto. Gli occhi castani osservavano pensosamente Marius. Gli indumenti confezionati a mano erano squisite repliche dei capi che portavano attualmente gli uomini d’affari.
E cos’era l’altro essere che sedeva alla destra di Maharet, direttamente di fronte a Marius? Era davvero sconvolgente. In un primo istante pensò all’altra gemella, quando vide gli occhi verdi e i capelli di rame.
Ma senza dubbio quell’essere era stato vivo ancora ieri. E non riusciva a trovare una spiegazione per la sua forza, il suo pallore frigido; il modo penetrante con cui lo fissava, e lo schiacciante potere telepatico che emanava da lei, una cascata di immagini buie e finemente delineate che sembrava incapace di controllare. In quel momento vedeva con bizzarra esattezza il quadro che lui aveva dipinto secoli prima, in cui era ritratto il suo Amadeo circondato da angeli dalle ali nere mentre stava inginocchiato a pregare. Un brivido scosse Marius.
«Nella cripta del Talamasca?» mormorò. «Il mio quadro?» Rise, velenosamente. «Dunque è là!»
La creatura era impaurita; non aveva avuto intenzione di rivelare i propri pensieri. Si chiuse in se stessa; desiderava proteggere il Talamasca, ed era disperatamente confusa. Sembrò rimpicciolire e nel contempo raddoppiare il proprio potere. Un mostro. Un mostro dagli occhi verdi e dalle ossa delicate. Nata ieri, sì, esattamente come aveva immaginato; c’erano tessuti vivi in lei. E all’improvviso comprese la verità. Quella Jesse era stata creata da Maharet. Era un’autentica discendente umana della donna, e adesso era diventata la novizia della madre antica. La realtà lo sbalordiva e un poco lo spaventava. Il sangue che scorreva nelle vene della giovane aveva una potenza che per Marius era inimmaginabile. Era assolutamente priva di sete; e tuttavia non era neppure veramente morta.
Ma doveva interrompere quell’osservazione spietata e indiscreta. Dopotutto lo stavano aspettando. Tuttavia non poteva fare a meno di chiedersi dove erano, in nome di Dio, i suoi discendenti mortali, la progenie dei nipoti e delle nipoti che aveva tanto amato in vita. Per qualche secolo, sì, aveva seguito i loro progressi; ma alla fine non era più stato in grado di riconoscerli, come non poteva più riconoscere Roma. E aveva lasciato che tutto piombasse nell’oscurità, come Roma era caduta nella tenebra. Tuttavia c’erano ancora sulla terra, oggi, alcuni uomini che avevano nelle vene il sangue dell’antica famiglia.
Continuò a fissare la giovane dai capelli rossi. Come somigliava alla madre: alta e tuttavia fragile, bella eppure severa. C’è un grande segreto, qualcosa che è legato alla discendenza, alla famiglia… La donna indossava un abito scuro, piuttosto simile a quello dell’antenata; le mani erano immacolate, e non portava profumi né trucco.
Erano tutti magnifici, ognuno a suo modo. Santino, alto e massiccio, era elegante nel nero sacerdotale, con i lustri occhi scuri e la bocca sensuale. Persino Mael aveva una presenza selvaggia e imponente, mentre fissava la donna antica con un misto inequivocabile di amore e di odio. Il viso angelico di Armand era indescrivibile; e il giovane Daniel era una visione, con i capelli biondocenere e gli splendenti occhi viola.
L’immortalità veniva mai donata a chi era brutto? Oppure la magia tenebrosa ricavava la bellezza da ogni sacrificio gettato tra le fiamme? Ma sicuramente Gabrielle era stata incantevole anche in vita, con tutto il coraggio del figlio ma senza la sua impetuosità; e Louis, ah, Louis era stato scelto, naturalmente, per l’ossatura squisita del volto e la profondità degli occhi verdi. Era stato scelto per l’inveterato atteggiamento di seria concentrazione che rivelava in quel momento. Sembrava un essere umano sperduto fra gli altri, con il volto addolcito dal colore e dal sentimento, e il corpo curiosamente indifeso, gli occhi assorti e tristi. Persino Khayman aveva una perfezione innegabile nel volto e nella figura, per quanto fosse orrendo l’effetto complessivo.
In quanto a Pandora, quando la guardava la vedeva viva e mortale, vedeva la donna innocente che era venuta a lui tanti secoli prima nelle buie strade di Antiochia e l’aveva implorato di renderla immortale, non l’essere remoto e malinconico che, avvolto nelle semplici vesti bibliche, ora stava muto e guardava attraverso la parete di vetro la galassia semiscomparsa dietro l’addensarsi delle nuvole.