Выбрать главу

Persino Eric, sbiancato dai secoli e vagamente luminoso, conservava come Maharet un’aria di grande sentimento umano, resa ancora più avvincente da una grazia androgina.

Marius non aveva mai visto una simile assemblea, un’accolta di immortali di ogni età, da quelli appena nati ai più antichi, ognuno dotato di poteri e di debolezze incommensurabili, fino al giovane delirante che Armand aveva abilmente creato con tutta la virtù intatta del suo sangue vergine. Marius dubitava che fosse mai esistita in passato una simile «congrega».

E lui, come s’inseriva nel quadro, lui che era stato il più vecchio del suo universo meticolosamente controllato, in cui gli antichi erano divinità silenziose? I venti l’avevano mondato dalle incrostazioni di sangue che aderivano al viso e ai lunghi capelli. Il manto nero era bagnato dalle nevi. E mentre si accostava al tavolo, mentre attendeva con aria bellicosa che Maharet gli permettesse di sedere, pensò che sembrava un mostro esattamente come gli altri: i suoi occhi azzurri erano sicuramente raggelati dall’animosità che lo bruciava dentro.

«Prego», disse garbatamente Maharet. Indicò la sedia vuota, che evidentemente era un posto d’onore, in fondo al tavolo… se il posto dove stava lei era il capotavola.

La sedia era comoda, diversa dalla maggior parte dei mobili moderni. Lo schienale curvo sembrava adattarsi alla sua persona; e c’erano i braccioli per appoggiare le mani. Armand sedette nel posto vuoto alla sua destra.

Maharet sedette senza far rumore. Posò le mani intrecciate sul piano di legno. Chinò la testa come se raccogliesse i pensieri per incominciare.

«Siamo rimasti noi soli?» chiese Marius. «Oltre alla regina e al principino e…» S’interruppe.

Fra gli altri passò un’ondata di confusione silenziosa. La gemella muta, dov’era? Qual era il mistero?

«Sì», rispose sobriamente Maharet. «Oltre alla regina e al principino e a mia sorella. Sì, siamo i soli rimasti. O i soli rimasti che abbiano importanza.»

Fece una pausa, come per lasciare che le sue parole facessero effetto. Girò gentilmente lo sguardo sull’assemblea.

«Molto lontano», riprese, «possono esserci altri… vecchi che hanno preferito restare in disparte. E coloro cui lei dà ancora la caccia, e che sono spacciati. Ma noi siamo quelli rimasti in termini di destino o di decisione. O d’intento.»

«E mio figlio», disse Gabrielle. La sua voce era limpida, piena d’emozione e di sottile disprezzo per i presenti. «Nessuno di voi vuol dirmi che cos’ha fatto di lui la regina, e dov’è?» Girò lo sguardo dalla donna a Marius, intrepida e disperata. «Sicuramente avete il potere di conoscere dov’è mio figlio.»

La rassomiglianza con Lestat commosse Marius. Era da lei che Lestat, indubbiamente, aveva attinto la sua forza. Ma aveva una freddezza che Lestat non avrebbe mai compreso.

Gabrielle non lo credeva, ovviamente. Era animata da un rifiuto, un desiderio di andarsene, di restare sola. Niente avrebbe potuto costringere gli altri a staccarsi dal tavolo. Ma lei non sentiva lo stesso impegno, era chiaro.

«Permettetemi di spiegarlo», disse Maharet, «perché è della massima importanza. La Madre, naturalmente, è esperta nel proteggersi. Ma noi dei primi secoli non siamo mai riusciti a comunicare silenziosamente con la Madre e il Padre, e neppure tra noi. Siamo troppo vicini alla sorgente del potere che fa di noi ciò che siamo. Siamo ciechi e sordi l’uno alla mente dell’altro, così come tra voi lo sono maestro e novizio. Solo via via che il tempo passava e che venivano creati altri bevitori di sangue, questi acquisirono il potere di comunicare silenziosamente tra loro, così come noi abbiamo sempre fatto con i mortali.»

«Dunque Akasha non poteva trovarti», disse Marius. «Né te né Khayman… se non eravate con noi.»

«È così. Deve vederci attraverso le vostre menti, oppure non ci vede affatto. E anche noi dobbiamo vederla tramite le menti di altri. Eccettuato, naturalmente, un certo suono che udiamo ogni tanto all’avvicinarsi dei potenti, un suono legato a una grande energia, al respiro e al sangue.»

«Sì, il suono», mormorò Daniel. «Quel suono spaventoso, implacabile.»

«Ma non vi è un luogo dove noi possiamo nasconderei a lei?» chiese Eric. «Quelli che può vedere e udire?» Era la voce di un giovane, naturalmente, dall’accento pesante e indefinibile, e ogni parola era intonata in modo splendido.

«Sai che non esiste», rispose Maharet con esplicita pazienza. «Ma perdiamo tempo parlando di nasconderei. Voi siete qui perché lei non può uccidervi o ha deciso di non farlo. Così sia. Dobbiamo andare avanti.»

«Forse non ha ancora finito», disse Eric con una smorfia di disgusto. «Non ha ancora deciso chi dovrà morire e chi dovrà vivere!»

«Io credo che qui siate al sicuro», disse Khayman. «Ha avuto la possibilità di annientare tutti i presenti, non è così?»

Ma si trattava proprio di quello, pensò Marius. Non era chiaro se la Madre aveva avuto una possibilità con Eric, lui che apparentemente viaggiava in compagnia di Maharet. Eric teneva gli occhi fissi su di lei. Vi fu un rapido scambio silenzioso, ma non telepatico. Marius comprese che era stata Maharet a creare Eric; e nessuno dei due sapeva con certezza se ora Eric fosse troppo forte per la Madre. Maharet stava invitando alla calma.

«Ma Lestat… puoi leggere la sua mente, no?» chiese Gabrielle. «Non puoi scoprirli entrambi per suo mezzo?»

«Neppure io posso sempre coprire una distanza pura ed enorme», rispose Maharet. «Se fossero rimasti altri bevitori di sangue in grado di captare i pensieri di Lestat e di trasmetterli a me, naturalmente potrei trovarlo in un istante. Ma i bevitori di sangue sono stati annientati quasi tutti. E Lestat è sempre stato abile nel mascherare la propria presenza: gli viene naturalmente. Avviene sempre così con i più forti, autosufficienti e aggressivi. Dovunque sia in questo momento, ci esclude per istinto.»

«Lei lo ha preso», disse Khayman, tendendosi per posare la mano sulla mano di Gabrielle. «E quando sarà pronta, ci rivelerà tutto. E se nel frattempo deciderà di fare del male a Lestat, non c’è nulla che noi potremo fare.»

Per poco Marius non rise. Sembrava che per gli antichi l’affermazione delle verità assolute fosse un conforto: erano una bizzarra combinazione di vitalità e di passività. Era stato così agli albori della storia documentata? Quando qualcuno percepiva l’inevitabile, restava inerte e si rassegnava? Per lui era troppo difficile comprenderlo.

«La Madre non farà del male a Lestat», disse a Gabrielle, a tutti. «Lo ama. E in fondo è un amore comune. Non gli farà del male perché non vuol far male a se stessa. E conosce tutti i suoi trucchi, scommetto, come noi li conosciamo. Lestat non potrà provocarla anche se con ogni probabilità sarà abbastanza sciocco da tentarlo.»

Gabrielle annuì e sorrise vagamente. Era convinta che Lestat fosse capace di provocare chiunque, alla fine, se ne avesse avuto il tempo e l’occasione; ma non disse nulla.

Non era né consolata né rassegnata. Stava eretta sulla sedia e non li guardava, come se non esistessero più. Non provava senso di devozione per il gruppo; non provava nulla per nessuno, eccettuato Lestat.

«Sta bene, allora», disse freddamente. «Rispondi all’interrogativo cruciale. Se annienterò il mostro che ha preso mio figlio, moriremo tutti?»

«E come conti di annientarlo?» chiese sbalordito Daniel. Eric fece una smorfia.

Gabrielle lanciò a Daniel uno sguardo noncurante e ignorò Eric. Fissò Maharet. «Dunque, il vecchio mito è vero? Se io elimino quella carogna, elimino tutti noi?»

Qualcuno rise. Marius scosse la testa. Maharet accennò un sorriso e annuì.

«Sì. È stato tentato, anticamente. È stato tentato da molti pazzi che non lo credevano. Lo spirito che abita in lei ci anima tutti. Se annienti l’ospite, annienti il potere. I giovani muoiono per primi; i vecchi si consumano lentamente; forse i più antichi se ne vanno per ultimi. Ma lei è la Regina dei Dannati, e i dannati non possono vivere senza di lei. Enkil era soltanto il suo consorte, perciò non ha importanza il fatto che lei lo abbia ucciso e abbia bevuto il suo sangue fino all’ultima goccia.»