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«Sì.» Maharet sospirò. «E lo farò.» Li guardò, uno dopo l’altro, e guardò di nuovo Jesse. «Devo raccontarvi tutta la storia», disse, «perché possiate comprendere ciò che forse non potremo scongiurare. Vedete, non è soltanto la storia del principio, ma forse anche quella della fine.» Sospirò come se la prospettiva fosse troppo opprimente. «Il nostro mondo non ha mai visto un simile sovvertimento», disse guardando Marius. «La musica di Lestat, il risveglio della Madre e tanti morti.»

Per un momento abbassò lo sguardo, come se si concentrasse. Poi guardò Khayman e Jesse, coloro che più amava.

«Non l’ho mai narrata prima d’ora», disse come se chiedesse indulgenza. «Per me ha la cruda purezza della mitologia… i tempi in cui ero viva e potevo ancora vedere il sole. Ma in questa mitologia sono radicate tutte le verità che conosco. E se torniamo al passato possiamo trovare il futuro e il modo di cambiarlo. Come minimo, possiamo cercare di capire.»

Scese il silenzio. Con pazienza rispettosa, tutti attesero che incominciasse.

«All’inizio», disse Maharet, «eravamo streghe, mia sorella e io. Parlavamo agli spiriti e gli spiriti ci amavano. Fino a che lei mandò i soldati nella nostra terra.»

3. LESTAT: LA REGINA DEL PARADISO

Mi lasciò. Subito incominciai a precipitare. Il vento era un rombo nei miei orecchi. Ma la cosa peggiore era l’impossibilità di vedere. La sentii dire: «Sali». Vi fu un momento d’impotenza squisita. Precipitavo verso la terra e niente poteva impedirlo. Poi alzai gli occhi doloranti, vidi le nubi che si chiudevano sopra di me, e ricordai la torre e la sensazione dell’ascesa. Presi la decisione. Sali! La caduta si arrestò.

Fu come se mi avesse afferrato una corrente d’aria. Salii per decine e decine di metri in un istante, poi le nubi furono sotto di me, un luce bianca che stentavo a guardare. Decisi di lasciarmi andare alla deriva. Perché dovevo avere una meta precisa, per il momento? Forse avrei potuto aprire completamente gli occhi e vedere nel vento, se non avessi avuto paura di soffrire.

Lei rideva, chissà dove… nella mia mente e sopra di me, non sapevo. Vieni, mio principe, sali più in alto.

Roteai su me stesso e sfrecciai di nuovo verso l’alto, fino a che la vidi venire verso di me, con gli indumenti che ondeggiavano e le trecce pesanti sollevate dolcemente dal vento.

Mi strinse e mi baciò. Cercai di stabilizzarmi aggrappandomi a lei, di guardare in basso e di vedere qualcosa attraverso gli squarci fra le nuvole. Montagne coperte di neve, abbaglianti nel chiaro di luna, con i grandi fianchi azzurrognoli che sparivano nelle profonde valli innevate.

«Ora sollevami», mi sussurrò all’orecchio la regina. «Portami a nord-ovest.»

«Non conosco la direzione.»

«Sì, la conosci. La conosce il tuo corpo. La conosce la tua mente. Non chiedere loro da che parte sta: di’ loro che è là che vuoi andare. Conosci i principi. Quando alzavi il fucile, guardavi il lupo che correva: non calcolavi la distanza o la velocità della pallottola… sparavi e il lupo cadeva.»

M’innalzai di nuovo con la stessa, incredibile leggerezza; poi mi accorsi che lei era divenuta un grande peso contro il mio braccio. I suoi occhi erano fissi su di me; faceva in modo che fossi io a portarla. Sorrisi. Risi a voce alta, credo. La sollevai e la baciai di nuovo, e continuai l’ascesa senza interruzioni. A nord-ovest. Cioè a destra, e ancora a destra e ancora più in alto. La mia mente lo sapeva; conosceva il percorso. Svoltai e poi svoltai di nuovo. Turbinavo e la stringevo a me, lieto di sentire il peso del suo corpo, la pressione del seno, mentre le sue labbra si chiudevano di nuovo, delicatamente, sulle mie.

Si accostò al mio orecchio. «Lo senti?» chiese.

Ascoltai. Il vento sembrava devastante; tuttavia veniva dalla terra un coro sordo, il salmodiare di voci umane; alcune intonate, altre no, voci che pregavano in una lingua asiatica. Le sentivo lontane e poi vicine. Era importante distinguere i due suoni. Prima c’era una lunga processione di devoti che salivano fra i valichi montani e lungo gli strapiombi, e cantavano per restare vivi mentre avanzavano nonostante la stanchezza e il freddo. E in un edificio risuonava un lungo coro estatico, un salmodiare ardente fra il clangore dei cembali e il rullo dei tamburi.

Accostai la testa alla testa di Akasha e guardai in basso: ma le nubi erano diventate una distesa compatta di candore. Tuttavia vedevo attraverso le menti dei devoti la visione fulgida di un cortile e di un tempio d’archi marmorei e di grandi sale dipinte. La processione si snodava verso quel tempio.

«Voglio vedere!» dissi. Lei non rispose ma non mi trattenne mentre discendevo e mi protendevo nell’aria come un uccello in volo. Continuai la discesa fino a che fummo in mezzo alle nubi. Lei era ridiventata leggera, come priva di sostanza.

E mentre abbandonavamo il mare di candore, vidi il tempio risplendere sotto di me, come un minuscolo modello d’argilla, e il terreno che s’increspava qua e là sotto le mura tortuose. Il lezzo dei cadaveri che bruciavano s’innalzava dai roghi accesi. E uomini e donne salivano verso il gruppo di tetti e di torri, seguendo sentieri pericolosi, a perdita d’occhio.

«Dimmi chi è là dentro, mio principe», disse la regina. «Dimmi chi è il dio di questo tempio.»

Guarda! Avvicinati! Era il vecchio trucco; ma all’improvviso incominciai a precipitare. Gettai un grido terribile. Lei mi trattenne.

«Prudenza, mio principe», disse.

Pensai che il mio cuore stesse per scoppiare.

«Non puoi uscire dal tuo corpo per guardare nel tempio e volare nello stesso istante. Guarda attraverso gli occhi dei mortali, come hai fatto prima.»

Io tremavo ancora e mi tenevo avvinghiato a lei.

«Ti lascerò cadere di nuovo, se non ti calmi», disse lei, gentilmente. «Di’ al tuo cuore di fare ciò che tu vuoi.»

Proruppi in un gran sospiro. All’improvviso il mio corpo sentì la sofferenza dell’aggressione del vento. E i miei occhi bruciavano di nuovo. Non vedevo nulla. Ma credevo di dominare quelle piccole sofferenze o meglio di ignorarle come se non esistessero. La strinsi con energia e incominciai la discesa, dicendomi di procedere lentamente; poi cercai di nuovo le menti dei mortali per vedere ciò che esse vedevano.

Muri dorati, archi a punta, ogni superficie splendente di decorazioni, volute d’incenso che si mescolavano all’odore del sangue fresco. Confusamente, vidi «il dio del tempio».

«Un vampiro», mormorai. «Un diavolo succhiatore di sangue. Li chiama a sé e li massacra a suo capriccio. Questo posto puzza di morte.»

«Perciò vi sarà ancora morte», sussurrò la regina, e mi baciò di nuovo, con tenerezza. «Su, rapidamente, così rapidamente che gli occhi mortali non possano vederci. Portaci giù nel cortile, accanto al rogo funebre.»

Avrei potuto giurare che avvenne prima ancora che l’avessi deciso; non avevo fatto altro che prendere in considerazione l’idea! Poi caddi contro un rozzo muro intonacato e sentii sotto i piedi la durezza delle pietre. Tremavo e mi girava la testa, e i miei visceri si torcevano per il dolore. Il mio corpo voleva continuare a sprofondare attraverso la roccia compatta.

Mi accasciai contro il muro e sentii il canto ancor prima di riuscire a vedere qualcosa. Sentii l’odore del fuoco, dei corpi che bruciavano; poi scorsi le fiamme.

«E stata una manovra molto goffa, mio principe», disse sommessamente la regina. «Per poco non abbiamo urtato il muro.»

«Non so come sia accaduto, esattamente.»

«Ah, ma questa è la chiave», disse lei. «La parola ‘esattamente’. Lo spirito che è in te obbedisce con prontezza e in modo completo. Rifletti: tu non smetti di vedere e di udire quando discendi; accade più rapidamente di quanto ti renda conto. Conosci la meccanica pura del gesto di schioccare le dita? No, non la conosci. Eppure puoi farlo. Può farlo anche un bambino mortale.»