Annuii. Certo, il principio era chiaro, come lo era stato per il bersaglio e l’arma da fuoco.
«È solo una questione di gradi», dissi.
«E di resa, resa intrepida.»
Annuii di nuovo. Per la verità, volevo buttarmi su un letto morbido e dormire. Battei le palpebre di fronte al fuoco ruggente, alla vista dei corpi che annerivano tra le fiamme. Uno non era morto: un braccio si alzava, le dita si contraevano. Adesso era morto. Povero diavolo. Così.
La mano fredda della regina mi toccò la guancia. Mi toccò le labbra, poi mi allisciò i capelli scomposti.
«Non hai mai avuto un maestro, vero?» chiese. «Magnus ti lasciò orfano la stessa notte in cui ti creò. Tuo padre e i tuoi fratelli erano sciocchi. In quanto a tua madre, odiava i suoi figli.»
«Sono sempre stato il maestro di me stesso», dissi in tono serio. «E devo confessare che sono sempre stato anche il mio allievo preferito.»
Una risata.
«Forse era una piccola cospirazione», dissi. «Fra maestro e discepolo. Ma come hai detto, non c’è mai stato nessun altro.»
Mi sorrideva. Il fuoco si rispecchiava guizzando nei suoi occhi. Il volto era luminoso, d’una bellezza terribile.
«Arrenditi», mi disse. «E io t’insegnerò cose che non hai mai sognato. Non hai mai conosciuto la battaglia, la vera battaglia. Non hai mai conosciuto la purezza di una causa virtuosa.»
Non risposi. Mi sentivo stordito, non solo dal lungo volo attraverso l’aria, ma dalla carezza dolce delle sue parole e dal nero senza fondo dei suoi occhi. Gran parte della sua bellezza sembrava costituita dalla dolcezza dell’espressione, dalla serenità, dal modo in cui i suoi occhi restavano immutati anche quando il volto candido cambiava con un sorriso o una lieve smorfia. Sapevo che se l’avessi permesso, avrei provato terrore per ciò che stava accadendo. E anche lei doveva saperlo. Mi prese di nuovo fra le braccia. «Bevi, principe», sussurrò. «Prendi la forza di cui hai bisogno per fare ciò che io voglio.» Non so quanto tempo trascorse. Quando si staccò, mi sentii drogato per un istante: poi come sempre la chiarezza fu soverchiante. La musica monotona del tempio tuonava attraverso i muri.
«Azim! Azim! Azim!»
Mentre la regina mi trascinava con sé, mi parve che il mio corpo non esistesse più se non come una visione. Toccai il mio volto, le ossa sotto la pelle, per sentire quel qualcosa di solido che ero io; ma la pelle, la sensazione… era completamente nuova. Cosa restava di me?
I battenti lignei si aprirono davanti a noi come per magia. Entrammo in silenzio in un lungo corridoio dalle agili colonne di marmo bianco e dagli archi festonati: ma era soltanto la bordura esterna di un’immensa sala centrale. E la sala era piena di adoratori urlanti e frenetici che non percepivano la nostra presenza mentre continuavano a danzare e a cantare e a spiccare balzi nella speranza di scorgere il loro unico dio.
«Rimani al mio fianco, Lestat», disse la regina. La sua voce fendeva il chiasso, come se fossi stato toccato da un guanto di velluto.
La folla si aprì con violenza, spingendosi a destra e a sinistra. Subito le urla presero il posto del canto; la sala era nel caos, e c’era un varco aperto verso il centro. I cembali e i tamburi tacevano, e intorno a noi si alzavano gemiti e grida pietose.
Poi un grande sospiro di meraviglia si levò quando Akasha avanzò e gettò all’indietro il velo.
Al centro della sala stava il dio sanguinario, Azim, con il turbante di seta nera e le vesti gemmate. La sua faccia era sfigurata dal furore mentre guardava Akasha e me.
Le preghiere si levarono dalla folla che ci attorniava. Una voce stridula attaccò un inno alla «Madre eterna».
«Silenzio!» comandò Azim. Non conoscevo quella lingua, ma comprendevo la parola.
Sentivo nella sua voce il suono del sangue umano, lo vedevo scorrere nelle sue vene. In verità non avevo mai visto un vampiro o bevitore di sangue gonfio come quello; era sicuramente antico come Marius, ma la sua pelle aveva un cupo riflesso dorato. Un velo sottile di sudore sanguigno la copriva completamente, copriva persino il dorso delle grosse mani molli.
«Tu osi venire nel mio tempio!» disse. Ancora una volta il linguaggio mi sfuggiva, ma il significato aveva una chiarezza telepatica.
«Ora morirai!» disse Akasha, con voce ancora più sommessa. «Tu che hai ingannato questi innocenti disperati, tu che ti sei nutrito delle loro vite e del loro sangue come una sanguisuga.»
I devoti gridarono, invocando misericordia. Ancora una volta Azim ordinò loro di tacere.
«Che diritto hai di condannare il mio culto», gridò puntando l’indice, «tu che sei rimasta in silenzio sul trono fin dall’inizio dei tempi?»
«Il tempo non ha avuto inizio con te», rispose Akasha. «Ero già vecchia quando tu nascesti. E ora mi sono destata per regnare com’era scritto. E tu morirai: la tua morte sarà una lezione per la tua gente. Sei il mio primo grande martire. Ora morirai!»
Azim tentò di avventarsi verso di lei e io tentai di mettermi in mezzo: ma avvenne tutto troppo rapidamente perché fosse possibile vedere. Akasha l’afferrò, invisibilmente, lo spinse indietro facendolo scivolare sul pavimento di marmo, e Azim barcollò, quasi cadde, e poi cercò di raddrizzarsi roteando gli occhi.
Un grido profondo, gorgogliante, si levò da lui. Bruciava. I suoi indumenti bruciavano; poi il fumo si levò da lui, grigio e ondeggiante nell’oscurità, mentre i fedeli terrorizzati prorompevano in urla e gemiti. Azim si contorceva, consumato dal calore; e all’improvviso, piegato in due, si sollevò, la fissò e si avventò con le braccia protese.
Sembrava che stesse per raggiungerla prima che Akasha pensasse a reagire. Ancora una volta cercai di pararmi davanti a lei; con un colpo secco della mano destra mi buttò in mezzo allo sciame umano. Tutto intorno a me c’erano corpi seminudi, che si sforzavano di allontanarsi da me mentre cercavo di riprendere l’equilibrio.
Mi voltai di scatto e vidi Azim a tre passi da lei; ringhiava e cercava di raggiungerla vincendo una forza invisibile e insormontabile.
«Muori, maledetto!» gridò Akasha. Mi tappai gli orecchi con le mani. «Sprofonda nell’abisso della perdizione. Ora lo creo per te.»
La testa di Azim esplose. Fumo e fiamme eruttarono dal cranio fratturato. Gli occhi divennero neri. In un lampo s’incendiò completamente; tuttavia crollò in un atteggiamento umano, con il pugno levato contro di lei, le gambe che si piegavano come se cercassero di riportarlo in piedi. Quindi la sua forma scomparve completamente in una grande vampata arancione.
Il panico discese sulla folla, com’era discesa sui giovani davanti alla sala del concerto quando erano esplose le fiamme e io e Gabrielle e Louis eravamo fuggiti.
Sembrava tuttavia che l’isteria avesse raggiunto una vetta più pericolosa. I corpi urtavano contro le snelle colonne di marmo. Uomini e donne venivano calpestati mentre altri li travolgevano per correre alle porte.
Akasha girò su se stessa, e i suoi indumenti ondeggiarono in un turbine di seta bianca e nera, e dovunque i corpi umani, come afferrati da mani invisibili, furono gettati sul pavimento e sopraffatti dalla confusione. Le donne guardavano le vittime, gemevano e si strappavano i capelli.
Impiegai un momento per comprendere cosa stava accadendo. Akasha uccideva gli uomini. Non era il fuoco. Era un attacco invisibile agli organi vitali. Il sangue usciva dagli orecchi e dagli occhi mentre spiravano. Infuriate, molte donne corsero verso di lei ma incontrarono la stessa sorte. Gli uomini che l’attaccavano venivano sconfitti immediatamente.
Poi udii la voce nella mia niente.
Uccidili, Lestat. Massacra i maschi, fino all’ultimo.
Ero paralizzato. Le stavo accanto perché nessuno le si avvicinasse. Ma non avevano nessuna possibilità. Era qualcosa che trascendeva l’incubo, trascendeva gli stupidi orrori di cui ero stato partecipe durante tutta la mia vita maledetta.