All’improvviso lei mi fu di fronte e mi afferrò le braccia. La voce gelida e sommessa era diventata un suono rombante nel mio cervello.
Mio principe, amor mio. Tu farai questo per me. Massacra i maschi, in modo che la leggenda della loro punizione superi la leggenda del tempio. Sono i servitori del dio sanguinario. Le donne sono impotenti. Punisci i maschi in mio nome.
«Oh, Dio, aiutami! Non chiedermelo», mormorai. «Sono così pateticamente umani.»
La folla sembrava aver perso ogni spirito. Quelli che erano fuggiti nel cortile posteriore erano in trappola. I morti e i dolenti giacevano dovunque intorno a noi, mentre dalla moltitudine ignorante assiepata all’ingresso si levavano le suppliche più pietose.
«Lasciali andare, Akasha, ti prego», dissi. Avevo mai implorato così in tutta la mia vita? Che cosa ci avevano fatto quei poveri esseri?
Mi attirò più vicino. Ora non potevo vedere più nulla se non i suoi occhi neri.
«Amor mio, è una guerra divina. Non è solo l’orrendo predare della vita umana che tu hai compiuto per notti e notti, senza un piano e senza una ragione se non sopravvivere. Ora ucciderai in mio nome e per la mia causa, e io ti darò la libertà più grande che mai sia stata data all’uomo; ti dico che è giusto uccidere il tuo fratello mortale. Usa il potere che ti ho donato. Scegli le vittime a una a una, usa la tua forza invisibile oppure la forza delle tue mani.»
Mi girava la testa. Avevo davvero il potere di far stramazzare morti gli uomini? Girai lo sguardo nella sala fumosa dove l’incenso ascendeva ancora dai turiboli e i corpi stramazzavano uno sull’altro, uomini e donne abbracciati nel terrore, e altri si trascinavano negli angoli come se sperassero di mettersi al sicuro.
«Non vi è più vita per loro», disse Akasha. «Fa’ ciò che comando.»
Mi pareva di scorgere una visione, perché sicuramente non veniva dal mio cuore o dalla mia mente. Vidi una figura emaciata levarsi davanti a me; strinsi i denti mentre la fissavo, concentrando tutta la mia cattiveria come se fosse un laser. Poi vidi la vittima sollevarsi da terra e piombare all’indietro mentre il sangue le usciva dalla bocca. L’uomo cadde senza vita sul pavimento. Era stato come uno spasimo, e tuttavia agevole come gridare, come lanciare la propria voce, invisibile ma potente, attraverso un ampio spazio.
Sì, uccidili. Colpisci gli organi delicati, lacerali, fai scorrere il sangue. Sai che l’hai sempre desiderato. Uccidere come se non fosse nulla, annientare senza scrupoli né rimorsi!
Era vero, così vero; ma era anche proibito, proibito come non è proibito null’altro sulla terra…
Amor mio, è comune come la fame, comune come il tempo. Ora hai il mio potere e il mio comando. Tu e io vi porremo fine con ciò che faremo ora.
Un giovane corse verso di me come un pazzo, con le mani protese per afferrarmi la gola. Uccidilo. Mi maledisse mentre lo scagliavo indietro con la forza invisibile e sentivo lo spasimo nel profondo della gola e del ventre; e poi un’improvvisa pressione sulle tempie… sentii quella forza che lo toccava, la sentii riversarsi da me; la sentivo sicuramente come se avessi insinuato le dita nel cranio e stringessi il cervello. Vederlo sarebbe stato troppo crudo; non c’era bisogno di vedere. Mi bastava scorgere il sangue che gli fiottava dalla bocca e dagli orecchi e scorreva sul petto nudo.
Ah, Akasha aveva ragione: quanto avevo desiderato farlo! Quanto l’avevo sognato nei miei primi anni di mortale! La beatitudine di uccidere, ucciderli sotto tutti i loro nomi che erano un solo nome, nemico… coloro che meritavano d’essere uccisi, coloro che erano nati per essere uccisi, uccidere con piena forza, con il mio corpo trasformato in muscoli compatti, i denti stretti, l’odio e la forza invisibile divenuti una cosa sola.
Fuggivano in tutte le direzioni, ma questo serviva solo a infiammarmi ancora di più. Li respingevo, e il potere li scagliava contro i muri. Miravo al cuore con quella lingua invisibile, e udivo il cuore scoppiare. Giravo su me stesso, mirando con precisione ma fulmineamente a questo e a quello e poi a un altro ancora mentre fuggiva oltre la soglia, un altro che si precipitava nel corridoio, e uno che strappava una lampada dalle catene e la lanciava stupidamente contro di me.
Li inseguivo nelle stanze interne del tempio con facilità esaltante, tra i mucchi d’oro e d’argento, li scagliavo riversi con lunghe dita invisibili, poi stringevo quelle dita invisibili sulle loro arterie fino a che il sangue sgorgava attraverso la pelle scoppiata.
Le donne s’erano radunate e piangevano; altre fuggivano. Sentivo le ossa spezzarsi mentre camminavo sui corpi. E poi mi accorsi che anche lei uccideva; agivamo insieme e la grande sala era ormai piena di mutilati e di morti. Un cupo odore di sangue permeava ogni cosa; il vento freddo non bastava a disperderlo, e l’aria echeggiava di grida sommesse e disperate.
Un uomo gigantesco corse verso di me con gli occhi stralunati, cercò di fermarmi con una grande spada ricurva. Gli strappai l’arma e gli tranciai il collo. La lama penetrò nell’osso e si spezzò, e la testa e la spada spezzata caddero ai miei piedi.
Scostai il corpo con un calcio. Andai in cortile e guardai coloro che, in preda al terrore, indietreggiavano davanti a me. Non avevo più razionalità o coscienza. Era un gioco folle inseguirli, bloccarli in un angolo, spingere da parte le donne dietro cui si nascondevano, o che si sforzavano pateticamente di ripararli, e mirare con la forza al punto giusto, scagliarla contro quel punto vulnerabile fino a che restavamo immobili.
La porta d’entrata! Lei mi chiamava. Gli uomini nel cortile erano morti. Le donne si strappavano i capelli e singhiozzavano. Attraversai il tempio in rovina, passando fra le dolenti e i morti. Alla porta, i pellegrini erano inginocchiati nella neve, ignari di ciò che era accaduto all’interno, e levavano le voci imploranti.
Ammettimi, ammettimi alla vista e alla sete del nostro signore.
Quando videro Akasha, le grida divennero più alte. Si stendevano per toccarle le vesti mentre le serrature si spezzavano e i battenti si aprivano. Il vento ululava dal valico. La campana della torre emetteva un suono fievole e cavernoso.
Li scagliai a terra, lacerando cervelli e cuori e arterie. Vedevo le braccia magre protese sulla neve. Persino il vento puzzava di sangue. La voce di Akasha risuonava più forte delle urla orrende, e domandava alle donne di indietreggiare per salvarsi.
Ormai uccidevo così rapidamente che neppure lo vedevo. I maschi. I maschi dovevano morire. Avevo fretta di compiere la missione: ogni maschio che si muoveva o gemeva doveva morire.
Discesi come un angelo il sentiero tortuoso, armato d’una spada invisibile. E alla fine, lungo il percorso fino alla base dello strapiombo, caddero in ginocchio e attesero la morte, accettandola con spaventosa passività.
All’improvviso sentii che Akasha mi stringeva, sebbene non fosse vicina a me. Sentii la sua voce nella mia mente.
Ben fatto, mio principe.
Non potevo fermarmi. La forza invisibile era una delle mie membra. Non potevo richiamarla in me stesso. Era come se fossi sul punto di respirare, e se non avessi respirato sarei morto. Ma lei mi teneva immobile: una grande calma discendeva in me, come se una droga mi dilagasse nelle vene. Finalmente rimasi immobile, e la forza si concentrò dentro di me, divenne parte di me… nulla di più.
Mi voltai lentamente. Guardai le vette nevose, il perfetto cielo nero, la lunga fila di corpi scuri che giacevano sul sentiero fino alla porta del tempio. Le donne si aggrappavano l’una all’altra e singhiozzavano incredule o emettevano gemiti soffocati e terribili. Sentivo l’odore della morte come non mi era mai accaduto. Abbassai lo sguardo sul sangue e sui frammenti di carne che sporcavano i miei indumenti. Ma le mie mani! Le mie mani erano così bianche e pulite. Dio, non sono stato io! No. Non sono stato io. Le mie mani sono pulite!