Oh, ma ero stato io. E che cosa sono, se ho potuto fare ciò? Mi è piaciuto, mi è piaciuto irragionevolmente, mi è piaciuto come è sempre piaciuto agli uomini, nell’assoluta libertà morale della guerra…
Sembrava che fosse disceso il silenzio.
Se le donne gridavano ancora, non le sentivo. E non sentivo neppure il vento. Mi muovevo anche se non sapevo perché. Ero caduto in ginocchio e protendevo le mani verso l’ultimo uomo che avevo ucciso e che giaceva sulla neve come un fascio di rami spezzati. Posai le dita nel sangue sulla sua bocca, me lo spalmai sulle mani e le premetti sulla faccia.
In duecento anni non avevo mai ucciso senza assaporare il sangue e senza assorbirlo in me insieme alla vita. Ed era mostruoso. Ma in quei pochi momenti terribili erano morti assai più di quanti avessi mandato alla tomba prematuramente. E l’avevo fatto con la disinvoltura del pensiero e del respiro. Oh, questo non potrà mai essere espiato, non potrà mai essere giustificato!
Rimasi a fissare la neve tra le dita insanguinate; piangevo e tuttavia odiavo quel pianto. Quindi mi accorsi, gradualmente, che tra le donne s’era operato un cambiamento. Qualcosa avveniva attorno a me. Sembrava che l’aria fredda si fosse riscaldata, che il vento avesse lasciato indisturbato il pendio scosceso.
Poi il cambiamento parve entrare in me, placare la mia angoscia e rallentare i battiti del mio cuore.
I pianti erano cessati. Ora le donne scendevano a due o a tre il sentiero come se fossero in trance, e scavalcavano i morti. Sembrava che suonasse una musica dolce, e che la terra avesse fatto sbocciare fiori primaverili d’ogni colore e d’ogni specie, e l’aria fosse satura di profumi.
Eppure tutto ciò non accadeva veramente, no? In una foschia di colori smorzati, le donne mi passavano accanto, avvolte in stracci e sete e mantelli scuri. Tremavo. Dovevo riflettere chiaramente! Non dovevo lasciarmi disorientare. Il potere e i cadaveri non erano un sogno e non potevo, non potevo assolutamente cedere a quel senso irresistibile di benessere e di pace.
«Akasha!» sussurrai.
Poi alzai gli occhi, non perché lo volevo ma perché dovevo farlo, e la vidi su un promontorio lontano. E le donne, giovani e vecchie, muovevano verso di lei: alcune erano così indebolite dal freddo e dalla fame che le altre dovevano sostenerle.
Su ogni cosa era disceso il silenzio.
Incominciò a parlare senza parole a coloro che erano radunate davanti a lei. Sembrava che parlasse nella loro lingua, o che si esprimesse in un modo che trascendeva il linguaggio specifico… non lo sapevo.
Stordito, la vidi tendere le braccia. I capelli neri si sparsero sulle spalle candide, le pieghe della veste si mossero appena nel vento silenzioso. Pensai che in tutta la mia vita non avevo mai visto nulla di così bello: e non era soltanto la somma degli attributi fisici, era la pura serenità, l’essenza che percepivo con l’anima. Mentre parlava, un’euforia meravigliosa s’impadronì di me.
Non abbiate paura, diceva. Il regno sanguinario del vostro dio è finito e ora potete ritornare alla verità.
Inni sommessi si levarono dalle gole delle adoratrici. Alcune piegavano la fronte a terra davanti a lei. E sembrava che questo le facesse piacere o, almeno, che le sembrasse ammissibile.
Ora dovete tornare ai vostri villaggi, disse Akasha. Dovete dire a quanti lo conoscevano che il dio sanguinario è morto. La Regina del Paradiso l’ha annientato. La regina annienterà tutti i maschi che credono ancora in lui. La Regina del Paradiso porterà un nuovo regno di pace sulla terra. Vi sarà la morte per i maschi che vi hanno oppresso, ma dovrete attendere il mio segno.
Tacque e gli inni s’innalzarono di nuovo. La Regina del Paradiso, la Dea, la Buona Madre… la vecchia litania cantata in mille lingue e in tutto il mondo ora trovava una nuova forma.
Rabbrividii. Volutamente. Dovevo penetrare quell’incantesimo. Era un trucco del potere, come lo era stato uccidere… qualcosa di definibile e di misurabile. Tuttavia ero come drogato dalla vista di lei e dagli inni. Dall’abbraccio morbido della sensazione… tutto va bene, tutto è come deve essere, siamo tutti al sicuro.
Dai recessi assolati della mia memoria di mortale riemerse un giorno, un giorno come molti che l’avevano preceduto, quando nel mese di maggio avevamo incoronato la Vergine tra i fiori profumati e avevamo cantato inni squisiti. Ah, la meraviglia di quel momento, quando la corona di gigli candidi era stata sollevata verso la testa velata della Vergine. La sera ero tornato a casa cantando quegli inni. In un vecchio libro di preghiere avevo trovato l’immagine della Vergine, e mi aveva colmato di un incanto e di un fervore religioso come quello che provavo ora.
E da qualcosa di ancora più profondo, dove il sole non era mai penetrato, venne la rivelazione: se credevo in lei e in ciò che stava dicendo, allora la cosa indicibile, il massacro che avevo commesso contro i mortali fragili e indifesi avrebbe trovato redenzione.
Ora ucciderai in mio nome per la mia causa, e io ti darò la libertà più grande mai data all’uomo: io ti dico che è giusto uccidere tuo fratello.
«Andate», disse Akasha a voce alta. «Lasciate per sempre questo tempio. Lasciate i morti alla neve e ai venti. Ditelo alla gente. Sta giungendo una nuova era in cui i maschi che glorificano la morte e le uccisioni avranno la giusta ricompensa, e l’era della pace sarà vostra. Io tornerò a voi. Vi mostrerò la via. Attendete la mia venuta. E io vi dirò ciò che dovete fare. Per ora, credete in me e in ciò che avete visto qui. E dite agli altri che devono credere. Lasciate che gli uomini vengano a vedere cosa li aspetta. Attendete un mio segno.»
Si mossero all’unisono per obbedire al suo comando; scesero il sentiero di montagna verso i fedeli lontani che erano sfuggiti al massacro. Le loro grida si levarono esili ed estatiche nel vuoto nevoso.
Il vento soffiava a raffiche nella valle; in alto sul colle, la campana del tempio fece udire un altro tocco sordo. Il vento agitava gli indumenti succinti dei morti. La neve aveva incominciato a cadere sempre più fitta, e copriva le gambe e le braccia brune e le facce, le facce dagli occhi sbarrati.
La sensazione di benessere s’era dissipata, e tutti gli aspetti più crudi del momento erano di nuovo chiari e ineluttabili. Le donne, l’apparizione… I cadaveri nella neve! Manifestazioni innegabili di un potere devastatore e soverchiante.
Poi un suono fioco ruppe il silenzio: oggetti che andavano in pezzi lassù nel tempio, oggetti che cadevano e si frantumavano.
Mi voltai a guardarla. Stava immobile sul piccolo promontorio, con il manto sciolto sulle spalle, la carnagione bianca come la neve che cadeva. I suoi occhi erano fissi sul tempio. E mentre i suoni continuavano, compresi ciò che accadeva là dentro.
Orci d’olio che si spezzavano, bracieri che cadevano. Il fruscio delle stoffe che esplodevano in fiamme. Finalmente il fumo s’innalzò, denso e nero, dalla torre campanaria e dal muro posteriore.
Il campanile tremò; un gran rumore echeggiò contro le vette lontane, quindi le pietre si staccarono e la torre crollò. Precipitò nella valle e la campana, con un ultimo tocco, scomparve nell’abisso bianco.
Il tempio era consumato dal fuoco.
Lo guardai, con gli occhi lacrimanti per il fumo che soffiava sul sentiero e portava con sé ceneri e fuliggine.
Ero vagamente consapevole di non avere freddo nonostante la neve. Non ero stanco per la fatica di uccidere. La mia pelle era più bianca che mai. E i miei polmoni aspiravano l’aria con tanta efficienza che non udivo il mio respiro; persino il mio cuore era più regolare. Soltanto la mia anima era ferita e dolorante.