«Il messaggero disse che i suoi sovrani, Akasha ed Enkil, avevano saputo del nostro grande potere e sarebbero stati lieti se ci fossimo recate alla loro corte. Avevano inviato una scorta per accompagnarci a Kemet; e poi ci avrebbero rimandate a casa con ricchi doni.
«Tutte e tre diffidavamo del messaggero. Diceva la verità per quanto la conosceva: ma forse non era tutto.
«Perciò nostra madre prese nelle mani la tavoletta. Subito percepì qualcosa, qualcosa che le passò nelle dita e le diede una grande angoscia. All’inizio non volle dirci cosa aveva veduto; quindi ci prese in disparte e ci disse che il re e la regina di Kemet erano malvagi e sanguinari e disprezzavano la fede altrui; e un male terribile ci avrebbe colpite a causa di quell’uomo e di quella donna, qualunque cosa dicesse il messaggio.
«Poi anch’io e Mekare toccammo la tavoletta e sentimmo il presagio nefasto. Ma c’era un mistero, un intrigo tenebroso, e al male era frammisto un elemento di coraggio e di bene. Insomma, non era un semplice complotto per derubarci dei nostri poteri: c’erano anche curiosità e rispetto sinceri.
«Alla fine interpellammo gli spiriti, i due che io e Mekare amavamo più di tutti. Si avvicinarono e lessero la tavoletta: per loro era molto facile. Dissero che il messaggero non aveva mentito. Ma un pericolo terribile ci avrebbe colpite se ci fossimo recate dal re e dalla regina di Kemet.
«Chiedemmo il perché.
«‘Perché il re e la regina vi faranno molte domande’, dissero gli spiriti. ‘E se risponderete sinceramente, come siamo certi che farete, il re e la regina si adireranno con voi e vi annienteranno.’
«Naturalmente, non saremmo andate comunque in Egitto. Non volevamo lasciare la nostra montagna; e ora sapevamo che non dovevamo farlo. Dicemmo rispettosamente al messaggero che non potevamo lasciare il luogo della nostra nascita, che nessuna strega della nostra famiglia l’aveva mai abbandonato; e lo pregammo di riferire le nostre parole al re e alla regina.
«Quindi il messaggero ripartì, e la vita riprese il suo andamento normale.
«Diverse sere dopo, tuttavia, venne a noi uno spirito malefico che chiamavamo Amel. Enorme, potente e colmo di rancore, danzò nella radura davanti alla nostra grotta per fare in modo che io e Mekare lo notassimo, e ci disse che presto avremmo avuto bisogno del suo aiuto.
«Eravamo abituate da tempo alle blandizie degli spiriti maligni; s’infuriavano perché non volevamo parlare con loro come facevano invece altre streghe e stregoni. Ma sapevamo che erano entità infide e incontrollabili; non ci eravamo mai lasciate indurre a servirci di loro e pensavamo che non l’avremmo mai fatto.
«Amel, in particolare, era infuriato perché lo ‘trascuravamo’, e affermava ripetutamente di essere Amel il potente, Amel l’invincibile, e che quindi dovevamo mostrargli rispetto perché in futuro avremmo potuto avere un gran bisogno di lui; infatti avremmo avuto bisogno di lui più di quanto immaginassimo, perché ci attendevano grandi sventure.
«A questo punto nostra madre uscì dalla grotta e chiese allo spirito quali erano le sventure che prevedeva.
«Restammo sconvolte perché ci aveva sempre proibito di parlare con gli spiriti malefici, e quando lei lo faceva era per maledirli o scacciarli, oppure per confonderli con enigmi e domande-tranello in modo che desistessero dai loro tentativi.
«Amel il terribile, il malefico, l’onnipotente, come si vantava di essere, dichiarò soltanto che si prospettavano grandi sventure e che se fossimo state sagge gli avremmo tributato il rispetto dovuto. Quindi si vantò di tutto il male che aveva compiuto per i maghi di Ninive; poteva tormentare la gente e invasarla, e punzecchiarla come uno sciame di moscerini. Dichiarò che poteva trarre sangue dagli umani e che ne apprezzava il sapore; e l’avrebbe fatto anche per noi.
«Mia madre rise e gli chiese: ‘Come puoi fare una cosa simile? Sei uno spirito, non hai corpo, non puoi sentire i sapori’. Era quel genere di linguaggio che infuriava sempre gli spiriti perché, come ho detto, ci invidiavano il possesso di un corpo fisico.
«Ebbene quello spirito, per dare una dimostrazione della sua potenza, si avventò su nostra madre come una bufera; e subito gli spiriti buoni lo contrastarono e vi fu un terribile scontro sopra la radura: ma quando tutto finì e Amel fu messo in fuga dai nostri due spiriti custodi, vedemmo che sulla mano di nostra madre c’erano minuscole trafitture. Amel il malefico aveva preso sangue da lei, esattamente come aveva minacciato di fare… come se uno sciame di moscerini l’avesse tormentata.
«Mia madre osservò quelle ferite minuscole; gli spiriti buoni si sdegnarono nel vederla trattata in modo tanto irrispettoso, ma lei li invitò ad acquietarsi. Rifletté in silenzio e si chiese com’era possibile che lo spirito assaporasse il sangue.
«Allora Mekare ci spiegò che gli spiriti avevano, al centro dei loro grandi corpi invisibili, nuclei infinitesimali di materia, e forse era tramite quel nucleo che potevano assaporare il sangue. Immaginate, disse Mekare, lo stoppino di una lampada, una cosa minuscola con una fiamma. Lo stoppino intingeva dal liquido dove era immerso: e lo stesso avveniva con lo spirito, che sembrava tutto fiamma ma aveva un suo minuscolo stoppino.
«Nostra madre aveva un atteggiamento sprezzante; ma quella situazione non le piaceva. Disse ironicamente che il mondo era già abbastanza pieno di stranezze anche senza bisogno di spiriti malefici amanti del sangue. ‘Vattene, Amel’, disse, e lanciò maledizioni contro di lui, disse che era privo d’importanza e che non contava nulla, e che avrebbe fatto meglio a sparire. In altre parole, erano le stesse cose che diceva sempre per sbarazzarsi degli spiriti fastidiosi, le cose che i preti dicono ancora oggi in forma leggermente diversa quando cercano di esorcizzare i bambini indemoniati.
«Ma assai più delle smanie di Amel erano i suoi annunci di sventura che preoccupavano mia madre: aggravavano l’angoscia che aveva provato nel momento in cui aveva preso in mano la tavoletta egiziana. Tuttavia non chiese conforto o consiglio agli spiriti buoni. Forse sapeva che non era il caso. Ma questo non lo saprò mai. Comunque, nostra madre intuiva che stava per accadere qualcosa, e si sentiva impotente. Forse capiva che a volte, quando cerchiamo di prevenire il disastro, lo assecondiamo.
«Quale che fosse la verità, nei giorni seguenti si ammalò; divenne sempre più debole fino a che non riuscì più a parlare. «Continuò così per mesi, paralizzata e semiaddormentata. La vegliavamo giorno e notte e cantavamo per lei. Le portavamo fiori e cercavamo di leggere i suoi pensieri. Gli spiriti erano terribilmente agitati, perché l’amavano: facevano spirare il vento sulla montagna e strappavano le foglie dagli alberi.
«Tutto il villaggio era addolorato. Poi una mattina i pensieri di nostra madre presero di nuovo forma; ma erano frammenti. Vedevamo campi assolati e fiori e immagini di cose che aveva conosciuto nell’infanzia… poi solo colori brillanti e poco di più. «Sapevamo che nostra madre stava morendo, e anche gli spiriti lo sapevano. Facevamo del nostro meglio per calmarli, ma alcuni erano infuriati. Alla sua morte, il suo fantasma sarebbe asceso attraverso il reame degli spiriti e l’avrebbero perduta per sempre: per qualche tempo la sofferenza li avrebbe fatti impazzire.
«Ma alla fine avvenne com’era naturale e inevitabile; e noi uscimmo dalla grotta per annunciare agli abitanti del villaggio che nostra madre era salita a regni più elevati. Tutti gli alberi della montagna erano agitati dal vento sollevato dagli spiriti, e l’aria era piena di foglie verdi. Io e mia sorella piangemmo; per la prima volta nella mia vita credetti di udire gli spiriti, credetti di udire nel vento le loro grida e i loro lamenti.
«Subito gli abitanti del villaggio vennero per fare ciò che doveva essere fatto.
«Nostra madre fu deposta su una lastra di pietra, secondo l’usanza, perché tutti potessero venire a renderle omaggio. Venne vestita dell’abito bianco di lino egiziano che le era tanto piaciuto, con tutti i gioielli importati da Ninive e gli anelli e le collane d’osso che contenevano minuscoli frammenti delle nostre antenate, che presto sarebbero passati a noi.