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«Ma nel complesso c’era una grande confusione. Solo il re e la regina erano stranamente taciturni e stranamente affascinati.

«Akasha non rispose; era chiaro che qualcosa era arrivato a segno nel profondo della sua mente. Per un momento ebbe uno scatto di curiosità. Spiriti che si fingono dèi? Spiriti che invidiano la carne? Non pensava neppure all’accusa di aver sacrificato inutilmente il nostro popolo. Non le interessava. Era la questione spirituale che l’affascinava; e in quell’interesse lo spirito era distaccato dalla carne.

«Permettetemi di attirare la vostra attenzione su ciò che ho appena detto. Era la questione spirituale ad affascinarla… l’idea astratta, si può dire; e per lei l’idea astratta era tutto. Non penso che credesse davvero che gli spiriti fossero puerili e capricciosi. Comunque intendeva conoscerli; e intendeva conoscerli per nostro tramite. In quanto all’annientamento della nostra gente, non se ne curava!

«Intanto il sommo sacerdote del tempio di Ra reclamava la nostra esecuzione, e così pure il sommo sacerdote del tempio di Osiride. Eravamo malefiche, eravamo streghe, e chi aveva i capelli rossi doveva essere bruciato com’era sempre avvenuto nella terra di Kemet. Subito i presenti fecero loro eco. Sembrava che nel palazzo stesse per scoppiare una rivolta.

«Ma il re ordinò a tutti di tacere. Fummo ricondotte nelle nostre celle, sorvegliate da molte guardie.

«Infuriata, Mekare camminava avanti e indietro, mentre la supplicavo di non dire altro. Le rammentai ciò che avevano preannunciato gli spiriti: se fossimo andate in Egitto il re e la regina ci avrebbero fatto domande; e se avessimo risposto sinceramente, com’era prevedibile, i sovrani si sarebbero indignati con noi e saremmo state annientate.

«Ma era inutile che parlassi; Mekare non ascoltava. Camminava avanti e indietro e ogni tanto si batteva il pugno sul petto. Sentivo la sua angoscia.

«‘Dannata’, diceva. ‘Malefica.’ Poi taceva e continuava a camminare; poi improvvisamente si fermava e ripeteva queste parole.

«Sapevo che ricordava l’avvertimento di Amel, lo spirito maligno. È sapevo che Amel era vicino: lo udivo, lo sentivo.

«Sapevo che Mekare era tentata di chiamarlo, e pensavo che non doveva farlo. Che avrebbero significato per gli egizi i suoi sciocchi tormenti? Quanti mortali poteva affliggere con le sue punzecchiature? Non era niente di più delle bufere di vento e degli oggetti volanti che potevamo produrre. Ma Amel udì quei pensieri e cominciò a diventare irrequieto.

«Taci, demone’, disse Mekare. ‘Aspetta che abbia bisogno di te!’ Erano le prime parole che le sentivo rivolgere a uno spirito maligno, e mi fecero scorrere lungo la schiena un brivido d’orrore.

«Non ricordo quando ci addormentammo. Ricordo solo che dopo la mezzanotte fummo svegliate da Khayman.

«In un primo momento pensai che fosse uno scherzo di Amel, e mi destai agitata. Ma Khayman mi accennò di tacere. Era in uno stato terribile. Indossava una semplice veste da notte e non aveva i sandali. I suoi capelli erano scomposti. Sembrava che avesse pianto: gli occhi erano arrossati.

«Sedette accanto a me. ‘Ti prego: è vero ciò che hai detto degli spiriti?’ Non stetti a spiegargli che era stata Mekare a dirlo. La gente ci confondeva sempre o ci credeva un unico essere. Mi limitai a rispondere che era vero.

«Gli spiegai che sono sempre esistite queste entità invisibili, e che esse stesse ci avevano rivelato l’inesistenza di dèi e dee. Spesso s’erano vantati con noi degli scherzi che facevano in Sumer, a Gerico o Ninive nei grandi templi. Ogni tanto affermavano di essere questo o quel dio. Ma noi conoscevamo le loro personalità e quando li chiamavamo con i loro vecchi nomi abbandonavano subito il nuovo gioco.

«Non dissi, tuttavia, che avrei preferito che Mekare non avesse rivelato queste cose. A che scopo poteva servire, ormai?

«Khayman mi ascoltò, desolato, come se per tutta la vita avesse creduto alle menzogne e ora vedesse la verità. Era rimasto scosso quando aveva visto gli spiriti far levare il vento sulla nostra montagna e lanciare sui soldati una pioggia di foglie: lo spettacolo l’aveva agghiacciato. Ed è sempre questo che produce la fede, questo miscuglio di verità e di manifestazioni fisiche.

«Tuttavia intuivo che c’era un peso ancora più grande sulla sua coscienza… o, potrei dire, sulla sua ragione. ‘Il massacro della vostra gente… è stata una guerra santa e non un atto egoistico, come hai detto.’

«‘Oh, no’, gli dissi. ‘È stato un atto di semplice egoismo. Non posso dire altrimenti.’ Gli parlai della tavoletta inviata per mezzo del messaggero, di ciò che avevano detto gli spiriti, dei timori e della malattia di mia madre, e del fatto che avevo udito la verità nelle parole della regina, la verità che lei stessa non era capace di riconoscere.

«Ma molto prima che avessi finito, Khayman era di nuovo sconfitto. Sapeva, in base alle sue osservazioni, che quanto dicevo era vero. Aveva combattuto a fianco del re in molte campagne contro i popoli stranieri. Il fatto che un esercito combattesse per guadagno per lui non era nulla. Aveva visto massacri e città incendiate; aveva visto catturare centinaia di schiavi; aveva visto gli uomini tornare carichi di bottino. E sebbene non fosse un soldato, comprendeva queste cose.

«Ma nei nostri villaggi non c’era bottino degno di essere preso; non c’erano territori che il re potesse aspirare a conservare per sé. Sì, s’era combattuto per catturarci, lo sapeva. E anch’egli provava disgusto per la menzogna della guerra santa contro i cannibali. Era oppresso da una tristezza ancora più grande della sconfitta. Apparteneva a una vecchia famiglia; aveva mangiato la carne dei suoi antenati, e adesso si trovava a punire le stesse tradizioni tra coloro che conosceva e amava. Il pensiero della mummificazione dei morti gli ripugnava, ma ancora di più la cerimonia che l’accompagnava, per la profondità della superstizione in cui era caduta quella terra. Tante ricchezze dedicate ai morti, tanta attenzione per i corpi putrefatti, solo perché uomini e donne non si sentissero in colpa per aver abbandonato consuetudini più antiche.

«Quei pensieri lo sfinivano; non gli erano naturali. Alla fine, l’ossessionavano le morti cui aveva assistito, esecuzioni e massacri. Come la regina non poteva comprendere quelle cose, Khayman non poteva dimenticarle e stava perdendo energia, affondava in un pantano in cui poteva annegare.

«Finalmente si congedò da me. Ma promise che avrebbe fatto il possibile per ottenere la nostra liberazione. Non sapeva come fare, ma avrebbe tentato. Mi supplicò di non aver paura. In quel momento provavo un grande amore per lui. Aveva la stessa bellezza che ha ora; tuttavia aveva la pelle più scura, era più magro e i suoi capelli erano stirati e acconciati in trecce che gli scendevano sulle spalle. E aveva l’aria di chi comanda e di chi gode del caldo affetto del suo principe.

«L’indomani mattina la regina ci fece chiamare di nuovo. Stavolta fummo condotte nella sua camera; e con lei c’erano soltanto il re e Khayman.

«Era un luogo ancor più lussuoso della grande sala del palazzo; era pieno di cose splendide, con un divano fatto di leopardi scolpiti, e un letto dai drappi di seta, e specchi lucidi di perfezione quasi magica. E la regina, da quella tentatrice che era, appariva splendida, modellata dalla natura in modo da essere più incantevole dei tesori che l’attorniavano.

«Fece nuovamente le stesse domande.

«E noi, con le mani legate, fummo costrette ad ascoltare le stesse assurdità.

«Ancora una volta Mekare le parlò degli spiriti; spiegò che erano sempre esistiti e si vantavano di farsi beffe dei sacerdoti di altre terre; e avevano dichiarato che i canti degli egizi erano piacevoli. Per gli spiriti era tutto un gioco e niente di più.

«‘Ma questi spiriti! Sono dèi, a quanto dici!’ esclamò Akasha con fervore. ‘E parlate con loro? Voglio vedere! Dovete farlo subito per me."