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«‘Non sono dèi’, le dissi. ‘È quanto stiamo cercando di dirti. E non aborriscono i cannibali come dici per i tuoi dèi. Non si curano di queste cose e non se ne sono mai curati.’ Mi sforzai di spiegare la differenza; gli spiriti non avevano un codice, erano moralmente inferiori a noi. Tuttavia sapevo che quella donna non poteva afferrare ciò che le dicevo.

«Percepivo la guerra dentro di lei, tra l’ancella della dea Inanna che desiderava credersi benedetta, e l’anima tenebrosa che non credeva in nulla. La sua anima era gelida; il suo fervore religioso non era altro che un fuoco da lei alimentato costantemente per cercare di riscaldarsi.

«‘Tutto ciò è menzogna!’ disse alla fine. ‘Siete donne malvagie!’ E così ordinò la nostra esecuzione. L’indomani ci avrebbero bruciate vive, tutte e due insieme, perché ognuna vedesse l’altra soffrire e morire. Perché mai s’era data tanta pena per cercarci?

«Subito il re l’interruppe. Le disse che aveva veduto il potere degli spiriti, come l’aveva veduto Khayman. Che cosa avrebbero potuto fare gli spiriti, se fossimo state trattate così? Non sarebbe stato meglio lasciarci libere?

«Ma lo sguardo della regina era duro e minaccioso. Le parole del re non contavano: le vite ci sarebbero state tolte. Cosa potevamo fare? Sembrava che fosse in collera con noi perché non eravamo riuscite a esporre le nostre verità in un modo che potesse usare o trovare piacevole. Ah, era un tormento aver a che fare con lei. Tuttavia la sua mente era comune; vi sono innumerevoli esseri umani che pensavano e sentivano come lei allora… e anche adesso, con ogni probabilità.

«Finalmente Mekare colse il momento. Fece ciò che io non osavo. Chiamò gli spiriti: li chiamò tutti, per nome, ma così in fretta che la regina non avrebbe mai ricordato le parole. Gridò che venissero a lei e obbedissero ai suoi comandi; e disse loro di dimostrare collera per quanto accadeva alle mortali Maharet e Mekare che professavano di amare.

«Era una cosa rischiosa. Ma se nulla fosse accaduto, se gli spiriti, come io temevo, ci avevano abbandonato, poteva sempre invocare Amel, perché era presente e in attesa. Era l’unica possibilità che ci restava.

«Subito incominciò a soffiare il vento nel cortile e nei corridoi del palazzo, strappò i tendaggi, sbattè le porte, frantumò i recipienti fragili. La regina era in uno stato di terrore. Poi i piccoli oggetti incominciarono a volare nell’aria. Gli spiriti presero gli ornamenti dal tavolo di toeletta della regina e glieli scagliarono; il re le stava accanto e cercava di ripararla e Khayman era irrigidito dalla paura.

«Ora, quello era il massimo del potere degli spiriti, e non avrebbero potuto continuare a lungo. Ma prima che la loro manifestazione cessasse, Khayman supplicò il re e la regina di revocare la condanna a morte. Acconsentirono subito.

«Mekare, intuendo che gli spiriti erano quasi esausti, con grande solennità ordinò di smettere. Scese il silenzio. Gli schiavi terrorizzati corsero qua e là per rimettere in ordine.

«La regina era allibita. Il re cercò di spiegarle che aveva già visto un simile spettacolo e che non gli era accaduto nulla di male; ma qualcosa di profondo era stato violato nel cuore della regina. Non aveva mai assistito alla minima manifestazione del sovrannaturale: era ammutolita e sgomenta. In quel luogo profondo e privo di fede dentro di lei c’era stata una scintilla di luce, di vera luce. E così vecchio e certo era il suo scetticismo segreto che quel piccolo miracolo era stato per lei una grande rivelazione: era come se avesse veduto la faccia dei suoi dèi.

«Poi mandò via il re e Khayman. Disse che voleva parlare con noi, da sole. Quindi ci implorò di comunicare con gli spiriti in modo che lei potesse udirlo. Aveva le lacrime agli occhi.

«Fu un momento straordinario, perché ora percepivo ciò che avevo percepito mesi prima quando avevo toccato la tavoletta d’argilla: un miscuglio di bene e di male che sembrava più pericoloso del male stesso.

«Naturalmente le dicemmo che non potevamo ottenere che gli spiriti parlassero in modo che lei potesse comprendere. Ma forse poteva trasmetterci qualche domanda cui gli spiriti avrebbero risposto. E fece così.

«Non erano diverse dalle domande che la gente ha sempre rivolto a maghi e streghe: dov’è la collana che persi da bambina? Cosa voleva dirmi mia madre la notte in cui morì, quando non poteva più parlare? Perché mia sorella detesta la mia compagnia? Mio figlio vivrà tanto da diventare adulto? Sarà forte e valoroso?

«Noi, che lottavamo per le nostre vite, rivolgevamo con pazienza queste domande agli spiriti, lusingandoli e adulandoli affinchè prestassero attenzione. E ottenemmo risposte che sbalordirono Akasha. Gli spiriti conoscevano il nome della sorella, conoscevano il nome di suo figlio. La regina sembrava sull’orlo della follia di fronte a quei trucchi così semplici.

«Poi apparve Amel, il maligno, evidentemente invidioso. E gettò davanti ad Akasha la collana di cui aveva parlato, una collana smarrita in Uruk. Fu il colpo finale. La regina era allibita. «Pianse, stringendo la collana. Quindi ci supplicò di rivolgere agli spiriti le domande davvero importanti, di cui doveva conoscere le risposte.

«Sì, dissero gli spiriti, gli dèi erano inventati dal popolo. No, i nomi usati nelle preghiere non avevano importanza. Gli spiriti amavano la musica e il ritmo del linguaggio… la forma delle parole, per così dire. Sì, c’erano spiriti maligni che si divertivano a far soffrire la gente, e perché no? E c’erano spiriti buoni. Avrebbero parlato ad Akasha, se noi avessimo lasciato il regno? Mai. Ora parlavano e lei non poteva udirli: cosa si aspettava che facessero? Ma sì, nel regno c’erano streghe che potevano udirli, e avrebbero detto a quelle streghe di presentarsi subito a corte, se era questo che la regina desiderava.

«Ma con il progredire di questa comunicazione, in Akasha si operò un cambiamento terribile.

«Passò dal giubilo al sospetto e quindi all’avvilimento, perché gli spiriti le ripetevano le stesse cose scoraggiami che noi le avevamo già detto.

«‘Cosa sapete della vita dopo la morte?’ chiese. E quando gli spiriti dissero che le anime dei morti vagavano sulla terra, confuse e sofferenti, oppure s’innalzavano e svanivano completamente, rimase molto delusa. I suoi occhi si offuscarono: stava perdendo ogni desiderio di saperne di più. Quando chiese qual era la sorte di coloro che avevano vissuto esistenze malvagie, in contrapposizione a coloro che avevano vissuto nel bene, gli spiriti non seppero come rispondere. Non capivano cosa intendesse.

«L’interrogatorio, tuttavia, continuò. Ci accorgemmo che gli spiriti si stavano stancando, e giocavano con lei; le risposte stavano diventando sempre più sciocche.

«‘Qual è il volere degli dèi?’ chiese la regina. ‘Che tu canti sempre’, risposero gli spiriti. ‘Ci piace.’

«All’improvviso Amel, il maligno, fierissimo dello scherzo con la collana, gettò davanti ad Akasha un altro gioiello. Ma lei indietreggiò inorridita.

«Subito comprendemmo quale fosse l’errore. La collana era appartenuta a sua madre, ed era sepolta con lei presso Uruk; e naturalmente Amel, essendo soltanto uno spirito, non capiva quanto fosse bizzarro e abominevole portare lì quell’oggetto. Non poteva capire. Aveva visto la collana nel pensiero di Akasha quando aveva parlato dell’altra. Perché non desiderava anche quella? Le collane non le piacevano?

«Mekare disse ad Amel che quell’intervento non era gradito: era un miracolo sbagliato. Gli ingiunse di attendere i suoi comandi, perché lei comprendeva la regina, e Amel invece non la capiva.

«Ma ormai era troppo tardi. Alla regina era accaduto qualcosa di irrevocabile. Aveva avuto due prove del potere degli spiriti, aveva ascoltato verità e assurdità, entrambe non comparabili alla bellezza della mitologia degli dèi in cui s’era sforzata di credere. Tuttavia gli spiriti stavano distruggendo la sua fragile fede. Come avrebbe potuto sottrarsi allo scetticismo tenebroso della sua anima se fossero continuate quelle dimostrazioni?