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«Fummo tenute prigioniere per tre notti e tre giorni. Le guardie non ci avvicinavano, e neppure gli schiavi. Saremmo morte di fame se Khayman, il maestro di palazzo, non ci avesse portato personalmente il cibo.

«Poi ci riferì ciò che ci avevano già detto gli spiriti. Era scoppiata una grande controversia. I sacerdoti chiedevano che venissimo condannate a morte; ma la regina a questo punto aveva paura di ucciderci. Temeva che le scatenassimo contro gli spiriti e che non sarebbe riuscita a scacciarli. Il re era affascinato dall’accaduto e pensava che fosse possibile apprendere da noi molte altre cose; lo incuriosivano i poteri dei nostri spiriti e i modi in cui potevano essere usati. Ma la regina era spaventata; aveva già visto abbastanza.

«Finalmente venimmo condotte davanti alla corte, nel grande atrio scoperto del palazzo.

«Era mezzogiorno e il re e la regina fecero le consuete offerte a Ra, il dio sole; noi dovemmo assistere. Quella solennità non significava nulla per noi; temevamo che fossero le ultime ore della nostra vita. Io sognavo la nostra montagna, le nostre grotte, i figli che avremmo potuto avere, figli e figlie splendidi, alcuni dei quali avrebbero ereditato i nostri poteri. Sognavo la vita die ci era stata tolta, l’annientamento della nostra gente che fra poco sarebbe stato completo. Ero grata perché potevo vedere il cielo azzurro sopra di me e perché ero ancora con Mekare.

«Finalmente il re parlò. Era oppresso dalla tristezza e dalla stanchezza. Sebbene fosse giovane, in quel momento aveva l’anima di un vecchio. Noi possedevamo un grande dono, disse, ma ne avevamo abusato e non poteva essere utile a nessun altro. Ci accusò di mentire, di adorare i demoni e di praticare la magia nera. Avrebbe voluto farci bruciare per compiacere il popolo, disse; ma lui e la regina avevano pietà di noi. La regina, in particolare, gli aveva chiesto d’essere misericordioso.

«Era una menzogna; ma bastò guardarla in viso per comprendere che Akasha ne era convinta. E naturalmente il re lo credeva. Ma che importanza aveva? Che cos’era quella misericordia? ci chiedemmo mentre cercavamo di scrutare nelle loro anime.

«Poi la regina ci disse con parole gentili che la nostra grande magia le aveva portato le due collane che più desiderava al mondo, e che solo per questo ci avrebbe lasciate vivere. Insomma, la menzogna che intesseva era sempre più vasta e intricata e sempre più lontana dalla verità.

«Poi il re disse che ci avrebbe lasciate libere, ma prima avrebbe dimostrato alla corte che non avevamo alcun potere, e perciò i sacerdoti si sarebbero placati.

«E se in qualunque momento un demone maligno si fosse manifestato e avesse cercato di far male ai devoti di Ra o di Osiride, la grazia sarebbe stata revocata, e saremmo state messe a morte, perché sicuramente il potere dei nostri demoni sarebbe morto con noi. E avremmo perduto il diritto alla misericordia della regina, che già così non meritavamo.

«Naturalmente sapevamo cosa stava per accadere: lo vedevamo nei cuori del re e della regina. Era stato deciso un compromesso. Mentre il re si toglieva la catena d’oro con il medaglione e la metteva al collo di Khayman, capimmo che saremmo state violentate davanti alla corte, come prigioniere o schiave catturate in guerra. E se avessimo chiamato gli spiriti saremmo morte. Questa era la nostra posizione.

«‘Se non fosse per amore della mia regina’, disse Enkil, ‘prenderei il mio piacere con queste due donne, com’è mio diritto; lo farei di fronte a voi tutti per dimostrarvi che non hanno potere e non sono grandi streghe, ma semplici donne. E il mio maestro di palazzo, Khayman, il mio amato Khayman, avrà il privilegio di farlo al mio posto.’

«Tutta la corte attendeva in silenzio mentre Khayman ci guardava e si preparava a eseguire il comando del re. Lo fissammo, sfidandolo nella nostra impotenza… a non mettere le mani su di noi e a non violarci davanti a quegli occhi indifferenti.

«Sentivamo la sua sofferenza, sentivamo il pericolo che lo circondava, perché se avesse disobbedito sarebbe sicuramente morto. Tuttavia intendeva prenderci l’onore, profanarci e rovinarci; e noi che eravamo sempre vissute nella pace assoluta della nostra montagna non sapevamo nulla dell’atto che doveva compiersi.

«Mentre veniva verso di noi, pensavo che non potesse farlo, che un uomo non potesse provare tanta sofferenza e aguzzate nel contempo la passione per quel compito. Ma allora sapevo ben poco degli uomini; non sapevo che i piaceri della carne possono unirsi in loro all’odio e alla collera, e che possono far soffrire nel compiere l’atto che le donne compiono invece quasi sempre per amore.

«I nostri spiriti rumoreggiavano, indignati da ciò che stava per accadere; ma per salvarci la vita dicemmo loro di non far nulla. Strinsi in silenzio la mano di Mekare, le feci sapere che saremmo vissute, e saremmo state libere, e che dopotutto quella non era la morte, e avremmo abbandonato i miserabili abitanti del deserto alle loro menzogne e alle loro illusioni e alle loro stupide usanze, e saremmo tornate a casa.

«Poi Khayman si accinse a fare ciò che doveva. Ci slegò; per prima attirò a sé Mekare, la costrinse a stendersi sulle stuoie e le sollevò la veste, mentre io restavo immobile e incapace di fermarlo; quindi anch’io fui assoggettata allo stesso destino.

«Ma nella sua mente non eravamo le donne che Khayman violentava. Mentre la sua anima e il suo corpo tremavano, egli accendeva il fuoco della passione con fantasie di bellezze senza nome e di momenti ricordati vagamente, in modo che corpo e anima potessero essere una cosa sola.

«E noi, distogliendo gli occhi, chiudemmo l’anima a lui e ai vili egizi che ci avevano fatto quelle cose terribili; le nostre anime erano intatte nei nostri corpi, e tutto intorno a noi sentivo il pianto degli spiriti, un pianto triste e tremendo; e in lontananza il rombo sordo del tuono di Amel.

«Siete sciocche a tollerare tutto questo, streghe.

«Al calar della notte ci lasciarono al margine del deserto. I soldati ci consegnarono un po’ di viveri e di bevande. Quindi incominciammo il lungo viaggio verso nord. Eravamo più sdegnate che mai.

«E Amel venne a sfidarci e a inveire: perché non volevamo che ci vendicasse?

«‘Ci inseguirebbero e ci ucciderebbero!’ disse Mekare. ‘Ora vattene.’ Ma non servì a nulla; quindi cercò di indurre Amel a occuparsi di qualcosa d’importante. ‘Amel, vogliamo giungere vive a casa. Fai soffiare venti freschi e mostraci dove possiamo trovare l’acqua.’

«Ma gli spiriti maligni non fanno mai queste cose. Amel si disinteressò di noi e si allontanò; e noi continuammo a camminare nel vento del deserto, tenendoci abbracciate e cercando di non pensare alla strada che ci restava da percorrere.

«Durante quel lungo viaggio accaddero molte cose, troppe per narrarle.

«Ma gli spiriti buoni non ci avevano abbandonate; mandarono venti freschi e ci guidarono alle sorgenti dove potevamo trovare oltre all’acqua anche datteri per sfamarci; e fecero per noi la piccola pioggia; ma infine ci addentrammo troppo nel deserto perché fosse possibile ritrovare la strada. Stavamo morendo, e io sapevo di portare in grembo un figlio di Khayman, e volevo che vivesse.

«Allora gli spiriti ci guidarono ai beduini, che ci accolsero ed ebbero cura di noi.

«Stavo male e soffrivo: per giorni e giorni rimasi distesa a cantare per la mia creatura cercando di scacciare con i canti la nausea e i ricordi atroci. Mekare mi stava accanto, tenendomi fra le braccia.

«Passarono mesi prima che io fossi abbastanza forte per lasciare gli accampamenti dei beduini; volevo che mio figlio nascesse nella nostra terra. Dissi a Mekare che dovevamo proseguire il viaggio.

«Così, con il cibo e le bevande che ci avevano dato i beduini e con la guida degli spiriti, giungemmo nei campi verdi della Palestina, ai piedi della montagna, fra i pastori, così simili alla nostra tribù, che erano venuti a occupare i nostri vecchi pascoli.