Выбрать главу

La collocazione in un distretto popoloso e ben difeso elimina questi problemi, ma ne fa sorgere altri anche peggiori: in simili luoghi, non è necessario che il prigioniero abbia centinaia di amici, ne bastano anche solo uno o due, e non è neppure necessario che questi due siano uomini d’armi… bastano anche una donna delle pulizie ed un ambulante, se sono persone intelligenti e risolute. Per di più, una volta che il prigioniero è riuscito a superare le mura, viene fagocitato da una folla senza volto, per cui la sua cattura non è più un affare per cani e cacciatori di uomini, ma piuttosto per agenti ed informatori.

Nel nostro caso, era fuori discussione poter pensare ad una prigione distaccata ed isolata: anche se una simile prigione fosse stata dotata di un numero sufficiente di soldati, in aggiunta ai carcerieri, che permettesse di respingere gli attacchi degli autoctoni, degli zoantropi e dei coltellarii che vagabondavano per la regione, per non parlare delle truppe personali degli esultanti (su cui non si poteva fare mai affidamento), sarebbe comunque stato impossibile far arrivare i rifornimenti senza dotare di una scorta armata i convogli che li trasportavano. Il Vincula di Thrax, pertanto, era per forza di cose collocato all’interno della città, e precisamente a metà del pendio collinare della riva occidentale ed a mezza lega circa dal Capulus.

Il Vincula è una struttura antica, ed io ho sempre avuto l’impressione che fosse stato concepito come prigione fin dall’inizio, anche se, stando alla leggenda, in origine sarebbe stato una tomba, solo negli ultimi secoli allargata e convertita al suo nuovo scopo. Agli occhi di un osservatore che si trovi sulla più spaziosa riva orientale, esso appare come una bertesca rettangolare sporgente dalla roccia, una bertesca che, sul Iato a lui visibile, sembra essere di quattro piani, il cui tetto piatto ed orlato di merli termina contro la roccia della collina. Questa parte visibile, che coloro che visitano la città devono scambiare per l’intera struttura della prigione, è in realtà la parte più piccola e meno importante del Vincula, e, al tempo in cui io ero il Littore, non conteneva che i nostri uffici amministrativi, gli alloggi dei clavigeri ed il mio appartamento.

I prigionieri erano alloggiati in una galleria inclinata scavata nella roccia, e la loro sistemazione non era realizzata né mediante celle individuali simili a quelle che avevamo noi per i nostri clienti nelle segrete, a casa, né mediante una grande stanza comune, del tipo che avevo visto applicato quando ero stato rinchiuso nella Casa Assoluta. Qui, invece, i prigionieri erano incatenati lungo le pareti della galleria, ciascuno con un resistente collare di ferro intorno al collo, in modo da lasciare nel centro uno spazio abbastanza largo perché due clavigeri potessero camminarvi affiancati senza correre il rischio che venissero loro sottratte le chiavi dalla cintura.

La galleria era lunga circa cinquecento passi e permetteva di ospitare più di mille prigionieri. La necessaria provvista d’acqua proveniva da una cisterna incassata nella roccia sulla cima della collina, e gli escrementi e l’altra sporcizia venivano eliminati facendo scorrere l’acqua nella galleria ogni qualvolta la cisterna minacciava di traboccare, mentre uno scolatoio praticato nella parte inferiore della galleria convogliava l’acqua di scolo fino ad un condotto che attraversava la parete del Capulus per svuotarsi nell’Acis a valle della città.

In origine, la bertesca rettangolare aggrappata alla roccia e la galleria stessa dovevano aver costituito l’intero complesso del Vincula, ma la sua struttura era stata in seguito complicata da un confuso labirinto di gallerie di diramazione o parallele, risultanti da precedenti tentativi di liberare qualche prigioniero scavando un tunnel dall’una o dall’altra casa privata e da successivi scavi eseguiti appositamente per frustrare simili tentativi… tutte gallerie che venivano attualmente utilizzate per sistemare altri prigionieri.

La presenza di quei tunnel imprevisti o malamente progettati rese il mio compito molto più difficoltoso di quanto lo sarebbe stato altrimenti, ed uno dei miei primi atti fu quello d’iniziare un programma di chiusura dei passaggi indesiderati o inutili riempiendoli con una mistura di pietre di fiume, sabbia, acqua, calce bruciata e ghiaia, unendo ed ampliando al contempo quei passaggi che si trovavano in posizione tale da poter finalmente dare una struttura razionale al tutto. Sebbene fosse necessario, quel lavoro poteva essere portato avanti solo molto lentamente, dato che non era possibile liberare più di un centinaio di prigionieri alla volta per farli lavorare, e che questi erano di solito in ben misere condizioni.

Nelle prime settimane successive al nostro arrivo, i miei doveri non mi lasciarono troppo tempo per altro; Dorcas si dedicò all’esplorazione della città, ed io le diedi espressamente incarico di chiedere in giro, per mio conto, informazioni sulle Pellegrine. Durante il lungo viaggio da Nessus, la consapevolezza di avere con me l’Artiglio del Conciliatore aveva costituito un pesante fardello, ed ora che non viaggiavo più e non potevo nemmeno tentare di rintracciare le Pellegrine lungo il cammino o anche solo rassicurarmi con il pensiero che stavo camminando nella direzione che me le avrebbe fatte un giorno incontrare, esso era divenuto un peso quasi insostenibile. Mentre viaggiavamo, avevo dormito sotto le stelle con la gemma, nascosta nella punta dello stivale, che riposava sul fondo di esso, nelle rare occasioni in cui eravamo riusciti a dormire al coperto; ora scoprii che non riuscivo a dormire se non l’avevo vicino a me, in modo da potermi accertare, quando mi fossi svegliato nella notte, di esserne sempre in possesso. Dorcas mi cucì un piccolo sacchetto di pelle di daino perché ve la riponessi, ed io presi a portarlo intorno al collo giorno e notte. Una dozzina di volte, durante quelle prime settimane, sognai di vedere la gemma illuminata, sospesa su di me nell’aria come lo era stata la cattedrale in fiamme, ed allora mi destavo e notavo che essa stava brillando tanto che una debole luce trapelava attraverso il cuoia sottile. Una volta o due per notte, poi, mi svegliavo per scoprire che ero steso sulla schiena e che il sacchetto sul mio petto era divenuto talmente pesante (sebbene potessi sollevarlo senza sforzo con la mano) che sembrava schiacciarmi a morte.

Dorcas fece tutto quello che poteva per confortarmi ed assistermi, ma io vedevo che era anch’ella consapevole del brusco cambiamento avvenuto nel nostro rapporto e che ne era più turbata di quanto lo fossi io. Giudicando in base alla mia esperienza, i cambiamenti sono sempre una cosa spiacevole… se non altro perché implicano la probabilità che si verifichino successivamente ulteriori mutamenti. Mentre viaggiavamo insieme (ed avevamo sempre viaggiato, più o meno rapidamente, dal momento in cui Dorcas mi aveva aiutato ad uscire, semiaffogato, dalle acque del Giardino del Sonno Eterno, issandomi sul galleggiante passaggio di canne), eravamo stati compagni ed eguali, e ciascuno di noi aveva percorso, camminando o cavalcando, ogni lega a fianco dell’altro. Se io avevo fornito a Dorcas una certa protezione fisica, lei aveva fornito a me in eguai misura una certa protezione morale, consistente nel fatto che pochi potevano pretendere a lungo di disprezzare la sua innocente bellezza o professare orrore per la mia professione, quando, guardando me, non potevano fare a meno di vedere anche lei. Dorcas era stata la mia consigliera nella perplessità e la mia camerata in centinaia di luoghi deserti.

Ma, quando finalmente entrammo in Thrax, ed io presentai all’arconte la lettera del Maestro Palaemon, tutto quello che era necessità fini. Non dovevo più temere la folla a causa del mio abito di fuliggine, ma piuttosto ero io ad essere temuto, come più alto ufficiale del ramo più rispettato del potere dello stato. Ora Dorcas viveva non più come una mia eguale, ma come se fosse stata, così l’aveva definita una volta la Cumana, la mia amante, nell’appartamento del Vincula a me riservato. I suoi consigli erano divenuti inutili o quasi, perché le difficoltà che ora mi opprimevano erano di carattere legale ed amministrativo, problemi che ero stato addestrato ad affrontare e di cui lei non sapeva nulla, e soprattutto perché raramente avevo il tempo e le energie necessari per spiegarle la natura di quei problemi, in modo che li potessimo discutere insieme.