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«E se i colpevoli non devono essere rinchiusi in posti comodi né torturati, che altro rimane? Se devono essere uccisi, ed uccisi tutti allo stesso modo, allora la povera donna indotta al furto verrà posta sullo stesso piano di una madre che abbia avvelenato suo figlio, come aveva fatto Morwenna di Saltus. Vorresti una cosa simile? In tempo di pace, molti di costoro potrebbero essere banditi, ma ora metterli al bando significherebbe soltanto consegnare agli Asciani un contingente di spie da addestrare, rifornire di mezzi e reinfiltrare fra noi. Presto non ci si potrebbe più fidare di nessuno, neppure di chi parla la tua stessa lingua. Vorresti una cosa del genere?

Dorcas giaceva sul letto, immersa in un tale silenzio che per un momento pensai che si fosse addormentata, ma i suoi occhi, quegli occhi enormi di un azzurro perfetto, erano spalancati, e, quando mi chinai su di lei per guardarla, essi si mossero, e, per un momento, parvero fissarmi, come avrebbero potuto fissare i cerchi concentrici di una polla d’acqua.

— D’accordo, siamo dei demoni — aggiunsi, — se vuoi metterla così, ma siamo necessari. Perfino i poteri del Cielo hanno avuto bisogno di ricorrere ai servigi dei demoni.

Gli occhi le si riempirono di lacrime, anche se non riuscii a comprendere se stava piangendo perché sapeva di avermi ferito o perché si era accorta che ero ancora presente. Nella speranza di ridestare il suo antico affetto per me, cominciai a parlare del periodo in cui eravamo ancora in viaggio per Thrax; le rammentai di come ci fossimo ritrovati nella radura dopo essere fuggiti dai giardini della Casa Assoluta, e di come avessimo conversato in quei grandi giardini prima della rappresentazione della commedia del Dr. Talos, passeggiando nel frutteto fiorito per poi sedere su una vecchia panchina vicino ad una fontana rotta, e le ricordai tutto ciò che mi aveva detto allora e tutto ciò che le avevo detto io.

Mi parve che quei discorsi la rendessero un po’ meno triste, fino a quando non menzionai la fontana, le cui acque uscivano dal bacino rotto e formavano un piccolo corso d’acqua che qualche giardiniere aveva indirizzato fra gli alberi perché li rinfrescasse e terminasse poi il suo tragitto penetrando nel terriccio. Ma alla fine un’oscurità che non aveva nulla a che vedere con la luce della stanza, scese e rimase sul volto di Dorcas, facendomi pensare ad una di quelle strane cose che avevano inseguito Jonas e me attraverso i cedri. A quel punto, Dorcas non mi volle più guardare, e, dopo qualche tempo, si addormentò davvero.

Mi alzai il più silenziosamente possibile, aprii la porta e scesi le scale storte. La padrona stava ancora lavorando nella sala comune, ma i clienti che vi avevo visto se n’erano andati. Le spiegai che la donna che avevo portato là era malata, pagai l’affitto per parecchi giorni, promettendo di tornare in seguito e di provvedere ad eventuali ulteriori pagamenti; le chiesi anche di dare di tanto in tanto un’occhiata a Dorcas e di portarle da mangiare se si fosse sentita abbastanza bene da volere un po’ di cibo.

— Ah, sarà una benedizione per noi avere qualcuno che dorma in quella stanza — disse la padrona, — ma, se la tua innamorata è malata, ti sembra che il Nido dell’Anatra sia il luogo più adatto a lei? Non la puoi portare a casa?

— Temo che vivere nella mia casa sia ciò che l’ha fatta ammalare. Per lo meno, non voglio correre il rischio di farla peggiorare riportandovela.

— Povera cara! — La padrona scosse il capo. — Ed è così graziosa, e sembra ancora una bambina. Quanti anni ha?

Le dissi che non lo sapevo.

— Bene, le farò una visitina e le darò un po’ di zuppa, quando sarà in grado di mangiarla. — Mi fissò, come per dire che quel momento sarebbe giunto piuttosto presto, una volta che me ne fossi andato. — Ma voglio che tu sappia che non la terrò prigioniera per tuo conto: se se ne vorrà andare, sarà libera di farlo.

Quando uscii dalla piccola locanda, desideravo far ritorno al Vincula per la strada più breve, ma commisi l’errore di credere che, dal momento che la stretta strada in cui sorgeva il Nido dell’Anatra puntava quasi direttamente a sud, avrei fatto prima a continuare lungo essa e ad attraversare l’Acis più in basso invece di ripercorrere la via che io e Dorcas avevamo seguito e di tornare ai piedi della porta posteriore del Castello di Acies.

La stretta strada mi tradì, come avrei dovuto aspettarmi se avessi avuto una maggiore familiarità con la topografia di Thrax. Infatti, tutte quelle stradine contorte che si snodano su per i pendii, per quanto s’incrocino a vicenda, per lo più si stendono dall’alto in basso, per cui, per passare da un edificio aggrappato alla collina all’altro (a meno che non siano molto vicini oppure uno sull’altro), è necessario scendere fino alla fascia centrale lungo il fiume e poi risalire. Fu così che, non molto tempo dopo, mi ritrovai, sul pendio orientale, alla stessa altezza del Vincula, che però sorgeva sul pendio occidentale e quindi con minori prospettive, per me, di arrivarci di quante ne avessi avuto quando avevo lasciato la locanda.

Per essere sinceri, quella scoperta non fu del tutto spiacevole. Al Vincula mi aspettava una grande mole di lavoro, e non avevo alcuna voglia di farlo, avendo la mente piena di pensieri su Dorcas. L’usare le gambe mi faceva sentire meglio ed attenuava il mio senso di frustrazione, per cui decisi di seguire la stradina fino in cima, se si fosse reso necessario, osservare da lassù il Vincula ed il Castello di Acies e poi mostrare il mio distintivo alle guardie delle fortificazioni e camminare lungo di esse fino al Capulus, in modo da attraversare il fiume per la via più breve.

Ma, dopo aver faticato strenuamente per mezzo turno di guardia, scoprii che non potevo procedere oltre: la strada finiva davanti ad un precipizio profondo tre o quattro catene, e forse era finita anche prima, dato che l’ultimo tratto sembrava un sentiero privato che conduceva ad un miserabile jacal di fango e stecchi, davanti a cui mi trovavo ora.

Dopo essermi accertato che non c’era modo di aggirare il precipizio né di arrivare in cima dal punto in cui mi trovavo, stavo per girarmi, disgustato, quando un bambino scivolò fuori dallo jacal, e, avvicinatosi a me in modo ardito e timoroso ad un tempo, mi fissò solo con l’occhio destro, protendendo la mano sudicia nel gesto universale di tutti i mendicanti. Se mi fossi sentito meglio, forse avrei riso di quella creatura, timida ed importuna com’era, ma, così come mi sentivo, lasciai cadere alcuni aes nella manina sporca.

— Mia sorella è malata, signore — azzardò, incoraggiato, il bambino. — Molto malata, sieur. — Dal tono di voce dedussi che era un ragazzo, e, siccome nel parlare aveva girato in parte la testa verso di me, vidi che aveva l’occhio sinistro gonfio e chiuso per una qualche infezione, e che da esso colavano gocce di pus che si asciugavano poi sulla guancia. — Molto, molto malata.

— Capisco — dissi.

— Oh, no, sieur, non puoi, non da qui! Ma, se vuoi, puoi guardare attraverso la porta… non le darai noia.

In quel momento, un uomo che portava un grembiule di cuoio dei muratori, e che stava risalendo faticosamente il sentiero nella nostra direzione, chiamò:

— Cosa c’è? Jader? Che cosa vuole?

Come era da prevedere, quella domanda ebbe il solo effetto di spaventare e zittire il ragazzo.

— Gli stavo chiedendo la strada migliore per arrivare alla città bassa — risposi.

Il muratore non disse nulla, ma si arrestò a circa quattro passi da noi, ed incrociò le braccia, che mi parvero più dure delle pietre che spezzavano. L’uomo sembrava irato e diffidente, anche se non riuscivo a comprenderne il motivo. Forse il mio accento gli aveva fatto capire che venivo dal sud, o forse era il modo in cui ero vestito, che, pur non essendo sfarzoso o bizzarro, lasciava comunque intuire che appartenevo ad una classe sociale più elevata della sua.