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— Conosci già Baldanders — continuò il dottore, rivolto a me, — ma ti devo presentare gli altri ospiti.

Tre uomini, o esseri che almeno sembravano tali, si alzarono con moti aggraziati. Uno di loro, se fosse veramente stato un essere umano, sarebbe stato basso e tozzo. Gli altri due erano parecchio più alti di me, alti come esultanti. Le maschere che tutti e tre portavano davano loro l’aspetto di raffinati uomini di mezz’età, pensosi e posati, ma io ero conscio del fatto che gli occhi che mi fissavano attraverso le fessure delle maschere dei due più alti erano più grandi degli occhi umani, ed anche del fatto che l’essere più tozzo non aveva affatto gli occhi, per cui dietro la sua maschera si vedeva solo oscurità. Tutti e tre erano vestiti di bianco.

— Onorevoli! Questo è un nostro grande amico, il Maestro Severian dei torturatori. Maestro Severian, permettimi di presentarti gli onorevoli Hieroduli Ossipago, Barbatus e Famulimus. Il compito di questi nobili personaggi è quello d’inculcare la saggezza nella razza umana… qui rappresentata da Baldanders ed ora anche da te stesso.

L’essere che il Dr. Talos aveva presentato come Famulimus parlò. La sua voce avrebbe potuto essere senz’altro umana se non fosse stato per la maggiore risonanza e musicalità, superiori a quelle di qualsiasi voce umana avessi mai udito, e tali da darmi l’impressione di ascoltare il discorso di qualche strumento a corda animatosi di vita propria.

— Benvenuto — intonò la voce. — Per noi non c’è gioia più grande che incontrarti, Severian. Tu ti sei cortesemente inchinato davanti a noi, ma dinnanzi a te noi piegheremo le ginocchia. — E s’inginocchiò brevemente, come fecero anche gli altri.

Nulla di ciò che quell’essere avrebbe potuto dire o fare mi avrebbe potuto stupire maggiormente, e venni colto troppo di sorpresa per riuscire a rispondere.

L’altro cacogeno alto, Barbatus, parlò come avrebbe potuto fare un cortigiano, per riempire il silenzio di un vuoto nella conversazione che sarebbe altrimenti stato imbarazzante. La sua voce era più profonda di quella di Famulimus, e sembrava avere in sé una nota militare.

— Tu sei il benvenuto qui… decisamente benvenuto, come ha detto il mio caro amico e come tutti noi abbiamo tentato di manifestare. Ma i tuoi amici devono rimanere all’esterno, fintanto che noi saremo qui. Naturalmente, tu lo sai già. L’ho detto solo per una questione di formalità.

Il terzo cacogeno, con voce tanto profonda che la si percepiva più che udirla, mormorò che non aveva importanza, e, come se temesse che io potessi scorgere le fessure vuote della sua maschera, si volse e finse di osservare qualcosa fuori dalla stretta finestra alle sue spalle.

— Allora forse non importa — osservò Barbatus. — Dopo tutto, Ossipago è quello che ne sa di più.

— Allora hai amici qui? — sussurrò il Dr. Talos. Era una sua caratteristica il fatto che raramente parlava ad un gruppo, come fa la maggior parte delle persone, ma si rivolgeva invece al singolo individuo come se fossero soli, oppure declamava come se si trovasse davanti ad un’assemblea di migliaia di persone.

— Alcuni isolani mi hanno scortato qui — risposi, tentando di affrontare la cosa meglio che potevo. — Devi sapere della loro esistenza. Vivono su masse fluttuanti di canne, nel lago.

— Stanno insorgendo contro di te! — Il Dr. Talos si rivolse al gigante. — Ti avevo avvertito che sarebbe accaduto. — Si precipitò alla finestra dalla quale l’essere chiamato Ossipago sembrava intento a guardare e, spintolo da un lato, scrutò fuori nella notte. Quindi, voltosi verso il cacogeno, s’inginocchiò, gli afferrò la mano e la baciò. Quella mano era chiaramente un guanto di un qualche materiale flessibile, pitturato per sembrare carne e contenente qualcosa che non era certo una mano.

— Ci aiuterai, Onorevole, vero? Hai certo fantassini a bordo della tua nave. Allinea, per una volta, esseri orrendi sulle mura, ed esse rimarranno al sicuro per un secolo.

— Severian sarà il vincitore — intervenne Baldanders con la sua voce lenta. — Altrimenti, perché si sarebbero inginocchiati dinnanzi a lui? Anche se può darsi che lui muoia e noi no. Conosci i loro metodi, dottore. Il saccheggio potrebbe disseminare il sapere.

— Lo ha mai fatto prima? Dimmi! — Il Dr. Talos si volse furiosamente contro di lui.

— Chi lo può dire, Dottore?

— Sai che non lo ha mai fatto. Essi sono gli stessi ignoranti, superstiziosi bruti che sono sempre stati! — Si volse di nuovo. — Nobili Hieroduli, rispondetemi! Se qualcuno lo sa, quelli siete voi!

Famulimus fece un gesto, e non fui mai tanto consapevole della verità dietro la sua maschera come in quel momento, perché nessun braccio umano avrebbe mai potuto fare un movimento del genere, che inoltre era privo di significato e non indicava né consenso né dissenso, né irritazione né consolazione.

— Io non parlerò di tutte le cose che tu sai — rispose. — E cioè che coloro che temi hanno imparato a sopraffarti. Può essere vero che essi siano ancora semplici di mente; eppure, qualcosa portato nelle loro case li può rendere saggi.

Si stava rivolgendo al dottore, ma io non riuscii a contenermi più a lungo e chiesi:

— Posso domandarti di cosa stai parlando, sieur?

— Parlo di voi, di tutti voi, Severian. Il fatto che io parli non ti può danneggiare ora.

— Solo se non lo fai troppo liberamente — intervenne Barbatus. — C’è un marchio usato su un qualche mondo, dove talvolta la nostra consunta nave trova infine riposo. È il segno di un serpente con una testa a ciascuna estremità del corpo. Una testa è morta… l’altra la divora.

— Si tratta di questo mondo, credo — osservò Ossipago, senza allontanarsi dalla finestra.

— Senza dubbio, Camoena potrebbe rivelare quale sia la sua casa. Ma del resto, non ha importanza se lo sai o meno. Mi comprenderai ancora più chiaramente. La testa viva indica la distruzione. La testa che non vive indica il costruire. La prima si nutre della seconda, e, nutrendosi, nutre il suo cibo. Un bambino potrebbe pensare che, se la prima morisse, la testa morta e costruttiva trionferebbe, rendendo la sua gemella simile a sé. La verità è che entrambe si decomporrebbero presto.

— Spesso — commentò Barbatus, — il mio caro amico è men che chiaro. Riesci a seguirlo?

— Io no! — annunciò irosamente il Dr. Talos, e, giratosi con fare disgustato, si precipitò giù per la scala.

— Non ha importanza — mi disse Barbatus, — dal momento che il suo padrone ha capito. — Fece una pausa, come per dar modo a Baldanders di contraddirlo, poi riprese, sempre rivolgendosi a me: — Il nostro desiderio, vedi, è quello di far progredire la vostra razza, non d’indottrinarla.

— Far progredire il popolo della spiaggia? — chiesi.

Durante tutto quel tempo, le acque del lago avevano fatto salire fino a noi, attraverso la finestra, il loro lamento notturno, e la voce di Ossipago parve fondersi con esso mentre diceva:

— Tutti voi…

— Allora è vero, quello che così tanti saggi hanno sospettato! Siamo soggetti ad una guida! Voi ci osservate, e, durante i secoli della nostra storia, che a voi devono essere parsi meno che giorni, ci avete fatti uscire dalla condizione di selvaggi. — Nel mio entusiasmo, tirai fuori il libro marrone, ancora umido per il bagno cui lo avevo sottoposto precedentemente in quella giornata, nonostante fosse avvolto in pelle oliata. — Ecco, permettetemi di mostrarvi quello che dice qui: «L’uomo, che non è saggio, è pur sempre oggetto di saggezza. Se la saggezza trova in lui un oggetto degno, è saggio da parte sua illuminare la sua follia?» Qualcosa del genere.

— Ti sbagli — mi disse Barbatus. — Le vostre ere sono eoni per noi. Il mio amico ed io ci occupiamo della vostra razza da un tempo inferiore alla durata della tua vita.

— Queste cose vivono solo una ventina di anni, come i cani — intervenne Baldanders. Il suo tono mi disse molto più di quanto sia scritto qui, perché ogni parola cadde come una pietra gettata in una profonda cisterna.