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Al centro della ribellione c'erano gli Aldaran, la famiglia dei Comyn che, dopo essere stata esiliata all'epoca di Varzil perché non aveva voluto giurare obbedienza agli Hastur, aveva poi accolto le prime delegazioni terrestri. E io ero un lontano parente di Beltran, il signore di Aldaran.

Rividi, come in una sfilata implacabile, le facce che avevo cercato di dimenticare. L'uomo chiamato Kadarin, capo dei ribelli, che mi aveva convinto a unirmi ai seguaci di Sharra. E gli Scott: Zeb Scott, che aveva trovato la matrice Sharra, un antichissimo talismano risalente alle Epoche del Caos; e i suoi figli Rafe, che mi considerava il suo eroe e mi seguiva dovunque; Thyra, con la faccia da bambina e gli occhi di una bestia selvatica; e Marjorie…

Marjorie. Mi parve di perdere il senso del tempo. Rividi la ragazza dai capelli castani e dagli occhi color dell'ambra con minuscole pagliuzze dorate, che correva con me, sullo sfondo del chiarore dei fuochi. Ripensai a Marjorie che, ridendo, percorreva le strade di una città ridotta a un mucchio di rovine, e ricordai che aveva in mano una ghirlanda di fiori.

Allontanai bruscamente da me quei ricordi. Era inutile ripensare a quei tempi. Il ronzio dei motori salì bruscamente di volume, quando invertirono la spinta per rallentare; dal finestrino vidi le basse torri di Thendara, illuminate dalla rossa luce dell'alba. Tutta la città era una vasta macchia chiara in mezzo al verde del territorio coperto di pascoli e foreste.

Continuammo a scendere e vidi il riflesso della luce sui laghetti, che splendevano come specchi; poi passò davanti ai miei occhi il grattacielo che ospitava il quartier generale terrestre, e le violente luci dell'aeroporto mi colpirono gli occhi.

L'aereo toccò terra con un sobbalzo e infine si fermò. Io, con impazienza, mi liberai della cintura di sicurezza e mi feci avanti per cercare Dyan.

Ma era già sceso dall'aereo, e si era confuso in mezzo ai viaggiatori che andavano e venivano in tutte le direzioni. Mi avviai verso la stazione e, mentre mi facevo strada per arrivare alla porta, urtai involontariamente contro una ragazza minuta, che indossava un vestito chiaro.

La ragazza inciampò, e io la aiutai a rialzarsi, scusandomi di averla urtata.

«Perdonatemi», le dissi, in terrestre standard. «Non sono più abituato a queste resse e non guardavo dove andavo…»

Poi, finalmente, potei vederla in faccia e rimasi a bocca aperta per la sorpresa.

«Linnell!» esclamai allegramente. «Che fortuna incontrarti qui!»

L'afferrai goffamente e la abbracciai.

«Sei venuta a prendermi?» le chiesi. «Come sei cresciuta, cuginetta!»

«Vi chiedo scusa», mi rispose la ragazza, in tono raggelante.

Con sorpresa, capii di avere commesso un errore di persona e mi affrettai a lasciarla. Aveva parlato in darkovano, ma nessuna ragazza del pianeta aveva mai parlato con un accento come il suo. La fissai a bocca aperta.

«Mi dispiace», dissi infine, confuso. «Credevo che foste…»

Non riuscivo a staccare gli occhi da lei. Era una ragazza alta, bionda, con un viso delicato a forma di cuore, capelli castani e occhi grigi e gentili… che però non erano affatto gentili, adesso. Anzi, erano incolleriti e mandavano fiamme.

«Allora?» chiese.

«Scusatemi», ripetei umilmente. «Vi avevo preso per una delle mie cugine…»

Lei si strinse nelle spalle, mormorò qualche parola che non potei udire e si allontanò. Io la seguii con lo sguardo, a occhi sgranati.

La somiglianza era fantastica. Non si trattava soltanto di una somiglianza superficiale di altezza e di colore dei capelli: quella ragazza era la copia esatta di mia cugina Linnell Aillard. Anche la sua voce era identica.

Poi sentii una mano sulla spalla e un'altra ragazza si rivolse a me, in tono divertito.

«Vergogna, Lew!» mi disse. «La povera Linnell doveva essere proprio imbarazzata. Mi è passata davanti senza dire una sola parola. Sei stato via per così tanto tempo da esserti dimenticato delle buone maniere?»

«Diana Ridenow!» esclamai, piacevolmente sorpreso.

La ragazza che mi stava accanto era minuta e aveva un'aria impertinente, lunghi capelli biondi che le arrivavano fino alle spalle e occhi grigi che mi fissavano divertiti.

«Pensavo che fossi ancora su Vainwal», le dissi.

«Se quando mi hai detto addio, lassù», ironizzò lei, «pensavi che sarei rimasta su Vainwal a piangere, allora sei proprio un illuso! Non mi conosci bene! I viaggi spaziali sono aperti a tutti, uomini e donne, Lew Alton, e anch'io ho un posto che mi attende al Consiglio dei Comyn, quando avrò voglia di andarci. Perché rimanere lassù a dormire da sola?»

Rise.

«Oh, Lew!» disse poi, guardandomi. «Dovresti vederti in faccia! Che cosa ti è successo?»

«Non era Linnell», risposi io, e fu la volta di Diana di rimanere a bocca aperta.

«Se non era Linnell, chi poteva essere?» si chiese a voce alta, e si guardò attorno.

La ragazza che assomigliava a Linnell, però, era ormai scomparsa tra la folla.

«E dove hai messo mio zio?» chiese Diana, tornando a sorridere. «Non dirmi che hai di nuovo litigato con tuo padre, Lew!»

«No», risposi io, in tono sgarbato. «È morto prima che lasciassi Vainwal.»

Possibile che nessuno lo sapesse, su tutto il maledetto pianeta?

«Altrimenti, pensi che sarei ritornato qui?» aggiunsi.

Dal viso di Diana svanì ogni velleità di ridere.

«Oh, Lew!» esclamò. «Quanto mi dispiace! Non lo sapevo!»

Fece per prendermi sottobraccio, ma io mi scostai. Diana era una sorta di esplosivo ad alto potenziale, quando eravamo insieme. E finché eravamo su Vainwal, niente da dire: lassù, la cosa mi andava benissimo. Ma sapevo, anche se forse lei non se ne rendeva conto, che sarebbe bastato poco perché la passione tornasse ad accendersi tra noi, e io avevo già troppe preoccupazioni; non desideravo cacciarmi in nuovi guai a causa di donne.

Non mi ero ricordato di schermare i miei pensieri. Tra lettori della mente, la buona educazione imponeva di non prestare (o di fingere di non prestare) attenzione a quel tipo di pensieri “marginali”, sfuggiti dalla mente di una persona e captati per caso da un'altra, ma il controllo di Diana, evidentemente, non era abbastanza forte: la ragazza non poté fare a menò di reagire, e la faccia le divenne rossa per l'imbarazzo. Accortasi di essere arrossita, si morse il labbro per la vergogna, si girò di scatto e corse via.

«Diana!» gridai dietro di lei, per scusarmi, ma in quel momento sentii gridare il mio nome.

«Lew! Lew Alton!»

Fu quello il mio primo errore. Invece di correre dietro alla ragazza, rimasi fermo dov'ero. Non chiedetemene la ragione.

Intanto, mi sentii chiamare una seconda volta.

«Lew Alton!»

Un momento dopo, un ragazzo alto, vestito da terrestre, mi raggiunse e mi sorrise.

«Bentornato, Lew!» mi disse.

E io non capii chi fosse. Non sarei riuscito a dirlo neppure se ne fosse andata di mezzo la mia vita.

Comunque, aveva qualcosa di familiare, e mi aveva riconosciuto. Ma io lo guardai con sospetto, perché ormai dubitavo di tutti. Non per niente, pochi istanti prima, avevo creduto di riconoscere Linnell, e mi ero clamorosamente sbagliato…

Il ragazzo, però, rise con divertimento.

«Non mi riconosci più?» mi chiese.

«Sono stato via per troppi anni, e ormai non sono più sicuro di saper riconoscere gli amici», ammisi.

Cercai un contatto mentale, ma avevo ancora il cervello offuscato dalla droga e riuscivo soltanto a percepire un vago senso di parentela. Scossi la testa per schiarirmela e lo guardai. Doveva essere un bambino, quando avevo lasciato Darkover; adesso era alto, ma era ancora molto giovane: probabilmente non si faceva ancora la barba. Però…