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Se ne andò per State Street mentre Sweeney si apriva un passaggio tra la folla raccolta dinanzi all’ingresso, quello stesso nel quale Sweeney poche notti prima aveva scorto una donna e un cane. Questa volta la folla era più numerosa, benché oltre i vetri dell’atrio non vi fosse nulla di interessante. Sweeney, grazie alla sua tessera di giornalista, riuscì a oltrepassare il poliziotto di guardia alla porta e corse fino al terzo piano.

L’appartamento di Iolanda Lang, dei quattro componenti il terzo piano, era quello rivolto a settentrione. Era inutile cercare il numero sulla porta, dato che era spalancata e le stanze rigurgitavano di poliziotti. Almeno così sembrava: quando Sweeney entrò, vide che in realtà ce n’erano soltanto due oltre a Bline.

Bline gli si avvicinò. — Se non fossi tanto felice, Sweeney, vi tirerei il collo. Da quanto tempo possedevate quella dannata statuetta?

— Non ricordo con precisione, capo.

— È quel che dico io. Però… comunque, ormai abbiamo preso lo Squartatore e senza neppure un altro delitto, anche se deve esserci arrivato molto vicino. Perciò vi perdono tutto e sono pronto anche a offrirvi da bere. Credo di aver finito qui; lascerò soltanto uno dei ragazzi ad aspettare la Lang per essere sicuro che stia bene.

— Potrebbe anche star male?

— Fisicamente, certo no. Non è riuscito a toccarla con il coltello, perché il cane gli è saltato addosso prima. Ma mentalmente è probabile che sia in una condizione molto peggiore dell’altra volta. E, perdio, la capisco.

— Demonio ha ammazzato Greene?

— Lo ha azzannato per bene, ma non da ammazzarlo: Doc deve essere riuscito a tenergli un braccio attraverso le mascelle. Però poi è caduto dalla finestra: deve essere arretrato fino al davanzale e il cane, saltandogli addosso, lo ha spinto fuori.

Bline accennò a una finestra spalancata, a cui Sweeney si affacciò: due piani più sotto si apriva un cortiletto di cemento, graziosamente guarnito dai rifiuti che i vari inquilini avevano buttato dalla finestra.

— Dov’è la statuetta? — domandò Sweeney.

— Quel che ne rimane è nel cortile. Ne abbiamo trovato tanti pezzi che bastano a identificarla: è evidente che Doc la stringeva ancora in mano quando è caduto, forse nel tentativo di respingere con essa il cane. C’era anche il coltello. Doveva tenere in una mano la statuetta e nell’altra il coltello: è molto strano anzi che il cane non si sia ferito. Immagino che Doc dovesse manovrare con un braccio per coprirsi la gola e con l’altro non riuscisse a essere abbastanza svelto. Un cane come quello ad avercelo addosso è un carro armato!

Sweeney guardò di nuovo il cortile e rabbrividì un poco.

— Accetterò da bere, capo — disse — e poi offrirò io. Ma andiamocene di qui.

Si recarono al bar all’angolo, dal quale era partita la telefonata di allarme nella notte della prima aggressione a Iolanda. Bline ordinò da bere.

— Sono al corrente di tutto — disse Sweeney — tranne che dell’accaduto. Volete raccontarmelo in ordine?

— Tutta la storia? O solo questo pomeriggio?

— Questo pomeriggio.

— Iolanda era sola in casa — narrò Bline — poco dopo le tre. Lo sappiamo perché avevo messo uno dei miei di guardia: avevamo già preso in affitto l’appartamento di fronte, dove c’era sempre un agente, tranne nelle ore in cui la ragazza era al club a lavorare. E avevamo praticato un’apertura così da sorvegliare la porta. L’agente vide giungere Doc Greene con una scatola sotto il braccio e bussare alla porta. Fin lì tutto era a posto; Doc era venuto altre volte e io avevo ordinato di lasciarlo entrare. Se si fosse trattato di un estraneo, Garry, l’agente di servizio, avrebbe aperto la porta e puntato la rivoltella.

— Doc veniva per affari? Parlo delle altre volte che era stato qui — disse Sweeney.

Bline scosse le spalle. — Non lo so e non importa. Non siamo la squadra del buon costume; dovevamo solo cercare lo Squartatore. E dall’alibi di Greene avevo proprio creduto che lui fosse a posto, invece mi sbagliavo. Voi, Sweeney, lo sospettavate sul serio o ne parlavate soltanto perché vi era antipatico?

— In verità non lo so, capo. Ma che cosa è successo?

— Dunque, Iolanda ha aperto la porta e lo ha fatto entrare. Non erano passati neanche cinque minuti che si è scatenato l’inferno. Garry ha sentito Iolanda urlare, il cane ringhiare e Greene gettare un grido, quasi tutti insieme: allora ha spalancato la porta ed è corso attraverso l’atrio. Si è buttato contro la porta di Iolanda, ma era chiusa e, mentre stava per sparare nella serratura, la porta si è spalancata. Garry ha visto Iolanda che lo ha spinto indietro col viso bianco come un lenzuolo e l’espressione di chi ha visto qualcosa di orribile. Però non era sporca di sangue né ferita. Garry, impacciato dalla rivoltella in mano, ha cercato di afferrarla con l’altra, ma il cane gli è balzato addosso, e lui è stato costretto a lasciarla andare per coprirsi la gola. La bestia è riuscita a strappargli una manica senza però prendergli il braccio. Intanto, Iolanda lo aveva superato ed era corsa giù per le scale seguita dal cane, così Garry non ha sparato all’animale. Dato che Iolanda sembrava incolume, si è precipitato nell’appartamento per vedere cosa era accaduto. Era vuoto e Garry si è domandato che cosa fosse successo di Greene; poi ha sentito un gemito dal cortile e, affacciandosi alla finestra spalancata, di quelle che si aprono in fuori invece che verso l’alto, ha visto Greene a terra. Mi ha chiamato subito e io sono arrivato con l’ambulanza. Era ancora vivo, ma in agonia e incosciente. Ha detto poche parole, ma sufficienti.

— Per quale motivo credete che Greene sia venuto qui?

— Quali pensate che possano essere i motivi per un pazzo omicida, Sweeney? Come diavolo posso saperlo, io? Io credo che sia stato il vostro articolo sulla statuetta a farlo uscire di sé. Era in suo possesso e forse Iolanda lo sapeva: appena lei avesse visto il vostro giornale, sarebbe stato scoperto tutto. Perché se la sia portata dietro in una scatola, venendo qui a uccidere la ragazza, non lo capisco. Però, negli ultimi istanti, quando il cane ha salvato Iolanda, saltandogli addosso, teneva la statuetta in una mano e il coltello nell’altra. Forse è addirittura saltato dalla finestra per sfuggire al cane, ma ritengo più probabile l’ipotesi che sia caduto per caso essendovisi appoggiato.

— Che cosa è accaduto a Iolanda, secondo voi?

— Un altro choc, è evidente. È probabile che stia vagando intontita, ma è ormai al sicuro: si riprenderà da sé e ritornerà. In caso contrario, non sarà difficile trovarla; una donna come lei con un cane come quello! Bene, vado a far rapporto. Saluti, Sweeney.

Bline se ne andò e Sweeney ordinò un altro bicchiere. Poi un altro e un altro ancora, e quando lasciò il bar per tornare alla casa di Iolanda era ormai buio. C’era ancora un agente di guardia all’ingresso e da lui Sweeney fu informato che Iolanda non era ancora tornata.

Percorrendo Clark Street si fermò in un ristorante, dove ordinò una aragosta. Mentre gliela cuocevano, entrò nella cabina del telefono e chiamò Ray Land, l’investigatore di New York.

— Sono Sweeney, Ray. Raccontami cosa hai trovato.

— Me l’ero immaginato, Sweeney. Ho sentito alla radio, mentre pranzavo, che il vostro Squartatore di Chicago era stato preso e il suo nome mi era familiare. Ho pensato perciò che tu non mi avresti fatto continuare l’inchiesta. Ci ho impiegato un giorno solo e ti rimanderò un assegno di cinquanta dollari.

— Hai scoperto qualcosa?

— Non ancora, non era facile, dato che erano passate già due settimane. Il punto più interessante è stata la risposta della cameriera che si è ricordata di aver trovato una mattina il suo letto intatto. Ma non è riuscita a rammentarsi di quale mattina si trattasse. Avrei dovuto parlarle un’altra volta, dopo averle lasciato il tempo di rifletterci. L’assegno devo mandartelo al giornale?