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Oppure… Sì, stava bene. Ma quella decisione assurda o soluzione o quel che era stato… E d’altronde, perché no? «Tutto ciò che vuoi.» Non aveva forse indovinato qualcosa di giusto Dio, dicendo così? «Tutto quello che vuoi, purché tu lo voglia con tanta intensità da concentrarti tutto nello scopo di ottenerlo.» Si trattasse di una piccola cosa come un milione di dollari o di una cosa immensa come il trascorrere una notte con… come si chiamava?… Iolanda Lang.

Rise di nuovo, chiudendo gli occhi per ricostruire nella memoria l’incredibile scena di cui era stato spettatore dietro la vetrata del portone di State Street. Dopo pochi secondi cessò di ridere e si disse: “Sweeney, tu vai in cerca di guai. Prima di tutto hai bisogno di soldi: un piccolo cronista come te non può farcela con una donna come quella. In secondo luogo, per far centro, devi dare la caccia allo Squartatore. E potresti anche trovarlo”.

E il trovarlo non sarebbe stata di certo una bella cosa, Sweeney lo sapeva, dato che nutriva un vero orrore, una fobia addirittura, per il gelo dell’acciaio, per l’acciaio appuntito e freddo. Acciaio affilato come una lama di rasoio che può attraversarti il ventre e spargere i tuoi visceri sul marciapiede, dove non ti servirebbero più a nulla, Sweeney. Proprio, se lo disse: “Sei un dannato idiota, Sweeney”.

Ma lo sapeva già da molto tempo.

III

Sweeney lavorava al “Blade” e blade significa «lama», così che ci si potrebbe creare un bel giochetto di parole, sempre che non vi dispiacciano i giochi di parole. «La lama.» Se avevate già intuito il gioco, vi prego di scusarmi per avervelo indicato: ma qualcuno poteva non afferrarlo, anche se voi ci eravate subito arrivati. È un insieme di tipi diversi che legge un libro. Qualcuno, ad esempio, comprende solo con gli occhi e ha bisogno delle descrizioni: per queste persone, sebbene a me non interessi affatto, dirò che William Sweeney era alto un metro e settanta e pesava circa ottanta chili. Aveva i capelli chiari, tendenti al biondo, che si andavano diradando, ma erano ancora abbastanza folti, il viso era lungo e magro, vagamente somigliante al muso di un cavallo, ma tutt’altro che spiacevole all’occhio di un osservatore imparziale. Dimostrava circa quarantatre anni e non c’era nulla di strano dato che questa appunto era la sua età. Per lavorare e per leggere inforcava occhiali dalla montatura chiara, senza i quali ci vedeva benissimo a qualunque distanza oltre un metro e mezzo. Per lo stesso motivo poteva anche lavorare senza occhiali, se era necessario, ma se continuava troppo a lungo a non farne uso, gli venivano forti emicranie. Era un bene però che sapesse farne a meno, perché si stava preparando un periodo in cui avrebbe dovuto per necessità farne a meno: due settimane prima, quando aveva cominciato la sua metodica e spiritualizzata ubriacatura, li aveva in tasca e ora soltanto Dio (non Diomede, ma proprio Dio) sapeva dove fossero finiti.

Al giornale, Sweeney, attraversata la stanza della cronaca, entrò nell’ufficio del redattore capo e sedette sul bracciolo della poltrona posta davanti alla scrivania di Krieg. — Ehi, Krieg — lo salutò.

Krieg alzò gli occhi e grugnì qualcosa, poi terminò la lettera che stava scrivendo e la mise da parte. Aprì la bocca per parlare e la richiuse.

— Sì, Walter: lo dico io per te. Prima di tutto, io sono un figlio di puttana perché ti ho piantato in asso senza nemmeno avvertirti. Adesso basta: sono licenziato. Perché tu non puoi impazzire con gente come me. Io sono un anacronismo: i giorni dei cronisti ubriaconi sono superati, e un giornale oggi è un’azienda d’affari, che deve marciare con sistemi di assoluta serietà e regolarità. Tu vuoi degli uomini di cui fidarti. Va bene?

— Sì, figlio di…

— No, basta! Ho detto tutto io per te, tutto. E in ogni caso io non ho intenzione di lavorare per il tuo dannato giornale, se non mi assumi regolarmente. Come andava il pezzo del testimone oculare?

— Era buono, Sweeney, maledettamente buono. È stato un colpo formidabile che tu fossi proprio là!

— Mi hai detto che un poliziotto vi ha informato della mia presenza, ma io non ne avevo riconosciuto nessuno. Chi era?

— Devi chiederlo a Carey, è lui che si è occupato della faccenda. Ora senti, Sweeney, quante altre volte mi combinerai un guaio come questo? O sei venuto a dirmi che questa sarà l’ultima volta?

— Probabilmente non sarà l’ultima. Succederà ancora, ma non so quando. Forse ci vorranno due anni, forse sei mesi, chi lo sa. Perciò tu non mi vuoi a lavorare con te. Va bene. Però, dato che non lavoro per te, mi puoi dare un assegno, anche piccolo, per il pezzo di stamattina. E dovresti farmi ancora un piacere: farmi avere subito i quattrini, senza passare per tutta la trafila amministrativa. La storia meriterebbe cinquanta dollari, se Carey l’ha scritta come gliel’ho dettata io, perciò… me ne dai venticinque?

Krieg lo fissò. — Neanche un soldo, Sweeney.

— No? E perché diavolo? Da quando in qua sei diventato un simile pidocchioso…?

— Sta’ zitto! — e l’esclamazione del redattore capo fu quasi un ruggito. — Al diavolo, Sweeney, non ho mai trovato nessuno a cui fosse altrettanto difficile fare un piacere come a te. Non mi lasci neppure la soddisfazione di urlare perché mi togli le parole di bocca. Chi ti ha detto che sei licenziato? Tu te lo sei detto, non io. E la ragione semplicissima per cui non ti pagherò quella stupida storiella che hai dettato al telefono, è che hai ancora il tuo stipendio. In tutto hai perduto due giorni, e basta.

— Non riesco a capire — disse Sweeney. — Perché due giorni? Io sono stato via due settimane; come c’entrano due giorni?

— Oggi è giovedì, Sweeney. Tu hai cominciato la sbronza esattamente due settimane fa, a partire da stasera, e sei stato assente da venerdì o sabato mattina. Però eri vicino ai tuoi quindici giorni di vacanza, che tu forse hai dimenticato: ti toccavano in settembre. Io ti ho spostato leggermente le date, cosicché tu hai cominciato le vacanze lunedì scorso. Oggi sei ancora in vacanza e per qualche giorno ancora non devi venire, cioè, per essere precisi, fino a lunedì. Ecco qua — continuò Krieg, prendendo da un cassetto della scrivania degli assegni e porgendoli a Sweeney — c’è un’altra cosa che probabilmente non ti ricordi neppure, ma sei anche venuto qua per riscuotere il tuo ultimo assegno e non te lo abbiamo dato. Tieni: ecco gli assegni per i quindici giorni di vacanza, con la trattenuta di due giorni.

Sweeney prese gli assegni con rispettosa meraviglia, mentre Krieg brontolava: — Adesso vattene fuori dai piedi fino a lunedì mattina.

— Perdiana, non riesco a crederci — mormorava Sweeney.

— Bene, non crederci, ma, senza scherzi, Sweeney, se succede un’altra volta prima delle tue prossime vacanze dell’anno venturo, sarai licenziato per forza.

Sweeney annuì lentamente, mentre si alzava. — Senti, Walter, io…

— Sta’ zitto. E fila.

Sweeney sorrise quasi con timidezza e filò. Si fermò alla scrivania di Joe Carey, con un — Ehi!

Joe alzò gli occhi ed esclamò: — Guardalo qua in persona! Come mai?

— Vorrei parlarti, Joe. Hai già fatto colazione?

— No, dovrei andarci fra… — guardò l’orologio — venti minuti. Però, senti caro, se pensi a un prestito, io sono fuori combattimento: mia moglie ha avuto un altro bambino la settimana scorsa e sai come vanno queste cose.

— No — rispose Sweeney. — Ringraziando il Cielo non so affatto come vadano queste cose. Comunque, ti faccio le mie congratulazioni. Immagino che sia un maschio o una femmina.

— Già.

— Benissimo. In ogni caso, non si tratta di nessun prestito. Per un miracolo, che mostra l’esistenza di un Dio, sono pieno di soldi. Fra l’altro, ti devo qualcosa?