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Forse è una stupidaggine. In fondo il libro è già stato pubblicato. Ormai è troppo tardi. E quello è un territorio controllato dai giapponesi… quei nanerottoli gialli solleverebbero un pandemonio.

Però, se la cosa fosse fatta come si deve… se si riuscisse a gestirla nel modo giusto…

Freiherr Hugo Reiss prese un appunto sul taccuino. Affrontare l’argomento con il generale delle SS Otto Skorzeny, o meglio ancora con Otto Ohlendorf dell’Amt III del Reichssicherheitshauptamt [L’Ufficio della Sicurezza del Reich]. Ohlendorf non era forse al comando dell’Einsatzgruppe D?

E allora, tutt’a un tratto, senza preavviso di alcun tipo, si sentì travolgere dalla rabbia. Pensavo che questa guerra fosse finita, disse fra sé. Deve durare in eterno? La guerra è terminata anni fa. E allora noi ci abbiamo creduto. Ma quel fiasco in Africa, con quel folle di Seyss-Inquart che ha portato avanti i progetti di Rosenberg…

Herr Hope ha ragione, pensò. Con quella sua battuta sul nostro viaggio su Marte. Marte popolato da ebrei. Li vedremmo anche là. Anche se avessero due teste e fossero alti trenta centimetri.

Ho il mio normale lavoro da sbrigare, decise. Non ho tempo per queste avventure stravaganti, per mandare gli Einsatzkommando a caccia di Abendsen. Sono molto occupato a ricevere i marinai tedeschi e a rispondere ai radiogrammi in codice; che ci pensi qualcuno più in alto di me, a un progetto del genere… è compito suo.

Comunque, decise, se fossi io a suggerirlo e poi il progetto fallisse, è facile immaginare dove andrei a finire: in Custodia Protettiva presso il Governo Generale Orientale, se non in una camera a farmi innaffiare da acido cianidrico Zyklon B.

Allungò la mano e cancellò accuratamente l’annotazione sul taccuino, poi bruciò il foglietto di carta nel portacenere di ceramica.

Qualcuno bussò e la porta dell’ufficio si aprì. Entrò il suo segretario con un grosso fascio di carte. «Il discorso del dottor Goebbels. Integrale.» Pferdehuf depose i fogli sul tavolo. «Deve leggerlo. È un ottimo discorso, uno dei suoi migliori.»

Reiss si accese un’altra sigaretta Simon Arzt Numero 70 e cominciò a leggere il discorso del dottor Goebbels.

CAPITOLO NONO

Dopo due settimane di lavoro quasi ininterrotto, la ditta Edfrank — Gioielli su misura aveva prodotto la sua prima serie completa. I pezzi erano stati disposti su due assi ricoperte di velluto nero, all’interno di un cestino riquadrato di vimini di fattura giapponese. Ed McCarthy e Frank Frink avevano anche preparato i loro biglietti da visita. Si erano serviti di una gomma da disegno sulla quale avevano inciso il loro nome; con questo stampavano l’intestazione in rosso e poi completavano il biglietto con una stampatrice rotante per bambini. L’effetto (avevano usato del cartoncino colorato per auguri natalizi, di alta qualità) era sbalorditivo.

In ogni aspetto del lavoro si erano rivelati dei professionisti. Guardando i gioielli, i biglietti e il campionario, non c’era niente di dilettantesco. E perché mai avrebbe dovuto essere il contrario? pensò Frank Frink. Siamo due professionisti; non tanto nella creazione di gioielli, ma nella lavorazione artigianale in genere.

Sulle assi era esposta una buona varietà di prodotti. Braccialetti di ottone, di rame, di bronzo e anche di ferro nero lavorato a caldo. Pendenti prevalentemente di ottone con piccoli ornamenti argentati. Orecchini d’argento. Spille d’argento o di ottone. L’argento gli era costato piuttosto caro, e avevano speso una bella somma anche per acquistare il saldatore. Avevano acquistato anche un po’ di pietre semipreziose, per montarle sulle spille: perle barocche, spinelli, giade, schegge di opale. E se gli affari fossero andati bene, avrebbero provato con l’oro e magari con diamanti di non grande valore.

Era l’oro a garantire i migliori margini di guadagno. Avevano già cominciato a cercare frammenti d’oro, pezzi antichi già fusi privi di valore artistico… che avevano un prezzo molto inferiore a quello dell’oro nuovo. Ma anche così, si trattava sempre di una spesa assai rilevante. Eppure una spilla d’oro avrebbe fruttato più di quaranta spille di ottone. Potevano chiedere il prezzo che volevano, sul mercato al dettaglio, per una spilla d’oro ben disegnata e lavorata… nell’ipotesi, come aveva fatto osservare Frink, che i prodotti si vendessero.

Non avevano ancora cercato di mettere in vendita il materiale. Avevano risolto quelli che sembravano i problemi di fondo; avevano il banco da lavoro con tanto di motori, cavo flessibile, tornio e mole per lucidare. Disponevano in effetti di una serie completa di attrezzi per la rifinitura, che andavano dalle spazzole di fil di ferro grezzo a quelle di ottone, fino alle mole di Cratex, e poi i tessuti più delicati per lucidare, cotone, lino, pelle, camoscio, che si potevano utilizzare con ogni tipo di composti, quali smeriglio, pomice e gli ossidi rossi più delicati. E naturalmente avevano il saldatore ad acetilene, le bombole, i contatori, i tubi, le punte, le maschere…

E straordinari strumenti per l’oreficeria. Pinze tedesche e francesi, micrometri, trapani con la punta di diamante, seghe, mollette, pinzette, attrezzature di terza mano per la saldatura, morse, tessuti per lucidare, forbici, piccoli martelli forgiati a mano… file e file di strumenti di precisione. E ancora una fornitura di lingotti per saldare di diversi diametri, fogli di metallo, sostegni per spille, maglie di catene, mollette per orecchini. Avevano già speso ben più di metà dei duemila dollari, e nel conto in banca intestato alla Edfrank ne rimanevano ormai appena duecentocinquanta. Ma avevano aperto un’attività in piena regola; avevano anche l’autorizzazione rilasciata dal governo americano. Non rimaneva altro che vendere.

Nessun negoziante, pensò Frink mentre osservava l’assortimento, può esaminarli con più attenzione di noi. Certo hanno un bell’aspetto, questi pochi pezzi selezionati, ognuno scrupolosamente controllato alla ricerca di saldature imperfette, bordi ruvidi o troppo aguzzi, macchie di colore… Il controllo di qualità è stato eccellente. La minima traccia di opacità, il più piccolo graffio provocato dalla spazzola, e il negoziante gli avrebbe rimandato indietro il pezzo. Non possiamo permetterci di offrire un lavoro rozzo o incompleto; una impercettibile macchietta nera su una collana d’argento e siamo finiti.

Il primo negozio che compariva sul loro elenco era quello di Robert Childan. Ma poteva andarci solo Ed; Childan si sarebbe certamente ricordato di Frank Frink.

«Sarai tu a occuparti di quasi tutte le vendite,» disse Ed, ma era rassegnato all’idea di contattare Childan; si era comprato un bel vestito, una cravatta nuova, una camicia bianca, proprio per fare una buona impressione. Ciononostante sembrava a disagio. «So che siamo in gamba,» disse per la milionesima volta. «Però… al diavolo.»

La maggior parte dei gioielli erano astratti, fili arrotolati, occhielli, disegni che in qualche modo il metallo fuso aveva assunto da solo. Alcuni avevano la leggerezza e la delicatezza di una ragnatela, altri una vigoria massiccia, possente, quasi barbarica. C’era una straordinaria varietà di forme, considerando l’esiguo numero di pezzi che erano stati esposti; eppure un negozio, si rese conto Frink, potrebbe acquistare tutto ciò che abbiamo realizzato. Visiteremo ogni negozio una sola volta… se dovesse andare male. Ma se ce la faremo, se riusciremo a piazzare i nostri prodotti, torneremo a prendere gli ordini per il resto della nostra vita.

I due uomini riposero insieme le tavolette ricoperte di velluto all’interno del cestino di vimini. Nella peggiore delle ipotesi, potremo sempre ricavare qualcosa dal metallo, si disse Frink. E poi ci sono gli strumenti e l’attrezzatura; dovremo rivenderli sottocosto, ma è sempre meglio di niente.