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Leonie parlava ancora quietamente, quasi impassibile: ma Callista sapeva che la stava implorando. Replicò, straziata dalla pietà e dalla sofferenza: — No, non è affatto così, Leonie. Ciò che è accaduto tra noi… È molto diverso. L’ho conosciuto e l’ho amato prima ancora di vedere la sua faccia in questo mondo. Ma lui è un uomo d’onore, e non mi chiederebbe mai d’infrangere il giuramento senza autorizzazione.

Leonie alzò gli occhi, e lo sguardo azzurro-acciaio sembrò all’improvviso il bagliore di un lampo.

— Lui è un uomo d’onore — chiese aspramente, — oppure tu hai paura?

Callista provò una fitta al cuore, ma rispose con voce ferma: — Io non ho paura.

— Non per te stessa, forse: lo riconosco! Ma per lui, Callista? Tu puoi ancora ritornare ad Arilinn senza inconvenienti, senza punizioni. Ma se non ritorni… vuoi che il sangue del tuo innamorato ricada sulla tua testa? Non saresti la prima Custode a causare la morte di un uomo!

Callista alzò la testa e schiuse le labbra per protestare, ma Leonie le impose silenzio con un gesto e continuò, implacabile: — Hai potuto toccargli la mano? Almeno questo?

Callista si sentì invadere da un senso di sollievo, un sollievo così grande che era quasi una sofferenza fisica e le toglieva le forze. Con la memoria totale dei telepati, l’immagine nel suo ricordo ritornò, annullando ogni altra cosa…

Andrew l’aveva portata fuori dalla caverna dove giaceva morto il Grande Felino, un cadavere carbonizzato accanto alla matrice infranta che aveva profanato. Andrew l’aveva avvolta nel proprio mantello e l’aveva issata davanti a sé, sul cavallo. Lei sentiva ancora, nel ricordo totale, come si era appoggiata a lui, con la testa sul suo petto, stretta nella curva delle sue braccia, col suo cuore che le batteva contro la guancia. Salva, riscaldata, felice, completamente serena. Per la prima volta da quando era stata nominata Custode, si sentiva libera: lo toccava e lui la toccava, gli stava tra le braccia, contenta. E durante quella lunga cavalcata fino ad Armida era rimasta così, avviluppata nel suo mantello, felice di una felicità che non aveva mai neppure sognato.

Quando l’immagine nella sua mente si comunicò a Leonie, l’espressione di quest’ultima cambiò. Infine lei disse, con la voce più gentile che Callista avesse mai udito: — È così, chiya? Allora, se Avarra avrà misericordia di te, può essere come tu desideri. Non l’avevo creduto possibile.

E Callista provò uno strano senso d’inquietudine. Dopotutto, non era stata completamente sincera con Leonie. Sì, per quei momenti lei era stata accesa d’amore, senza paura, contenta… ma poi la vecchia costrizione nervosa era ritornata a poco a poco, e adesso le era difficile perfino toccare la punta delle dita di Andrew. Ma senza dubbio era solo l’abitudine, l’abitudine degli anni, si disse. Certamente sarebbe andato tutto a posto.

Leonie disse, in tono gentile: — Dunque, figliola: ti renderebbe davvero tanto infelice, separarti dal tuo innamorato?

Callista si accorse che la calma l’aveva abbandonata. Disse (e sentì che la voce le si spezzava e che le lacrime le inondavano gli occhi): — Non vorrei più vivere, Leonie.

— È così… — Leonie la guardò per un lungo istante, con una tristezza terribile e remota. — E lui comprende quanto sarà difficile, figliola?

— Credo… sono sicura che potrò farglielo comprendere. Ha promesso che attenderà per tutto il tempo necessario.

Leonie sospirò. Dopo un momento disse: — Allora, figliola… figliola, non voglio che tu sia infelice. Come ho detto, il giuramento di Custode è troppo pesante per poter essere mantenuto senza pieno consenso. — Lentamente, in un gesto stranamente formale, tese le mani, a palmo in alto, verso Callista; la giovane donna posò le sue su quelle dell’altra, palmo contro palmo. Leonie fece un profondo respiro e disse: — Sei libera dal tuo giuramento, Callista Lanart. Davanti agli dèi e davanti a tutti gli uomini, ti proclamo senza colpa e liberata dal vincolo, e lo sosterrò sempre.

Lentamente, le loro mani si staccarono. Callista tremava. Leonie prese il fazzoletto e le asciugò gli occhi. Disse: — Prego che siate entrambi abbastanza forti, allora. — Parve sul punto di aggiungere qualcosa, ma s’interruppe. — Bene, credo che tuo padre avrà parecchio da dire al riguardo, mia cara, perciò andiamo a sentirlo. — Sorrise e continuò: — E poi, quando si sarà sfogato, gli diremo come stanno le cose, gli piaccia o no. Non aver paura, figliola mia: io non ho paura di Esteban Lanart, e non devi averne neppure tu.

Andrew attendeva nella serra che stava dietro l’edificio principale, ad Armida. Solo, guardava attraverso il robusto vetro ondulato i contorni delle lontane colline. Faceva caldo, lì dentro, e c’era un odore di foglie e di terriccio e di piante. La luce proveniente dai collettori solari lo costrinse a socchiudere gli occhi, fino a quando si fu abituato. Camminava tra le file di piante, bagnate dall’innaffiatura, e si sentiva isolato, infinitamente solo.

Gli capitava, di tanto in tanto. Quasi sempre si sentiva a suo agio, lì; più a suo agio di quanto si fosse mai sentito da quando, a diciotto anni, l’allevamento di cavalli nell’Arizona dove aveva trascorso l’infanzia era stato venduto per i debiti e lui era andato nello spazio come funzionario civile dell’impero, passando da un pianeta all’altro secondo la volontà degli amministratori e degli elaboratori. E lì l’avevano accolto bene, dopo i primi giorni. Quando avevano saputo che s’intendeva di allevamento e di addestramento di cavalli — una cosa rara, su Darkover, e ben retribuita — l’avevano trattato con rispetto, come un professionista specializzato. Si diceva che i cavalli di Armida fossero i migliori dei dominii, ma solitamente gli addestratori venivano importati da Dalereuth, molto lontano nel sud.

E così, in generale, lì era stato felice, nelle settimane trascorse da quando era arrivato, come promesso sposo di Callista. La sua nascita terrestre era nota solo a Damon e a Dom Esteban, a Callista e a Ellemir: gli altri lo credevano semplicemente uno straniero venuto dai bassopiani al di là di Thendara. Incredibilmente, lì aveva trovato una seconda patria. Il sole era enorme, rosso-sangue, e le quattro lune che di notte orbitavano nel cielo biazzarramente violetto avevano strani colori e portavano nomi che lui non conosceva ancora: ma a parte questo, era diventata la sua patria…

La sua patria. Eppure c’erano momenti come quello, momenti in cui sentiva il suo crudele isolamento e sapeva che era soltanto la presenza di Callista a fargliela sentire come una patria. Nella luce meridiana della serra, adesso, stava vivendo uno di quei momenti. Si sentiva solo: perché? Nel mondo che gli era stato insegnato a chiamare suo, il mondo arido e spoglio del comando supremo terrestre, non c’era nulla che lui desiderasse. Ma ci sarebbe stata una vita per lui, lì, dopotutto? Oppure Leonie avrebbe ricondotto Callista al mondo alieno delle Torri?

Dopo molto tempo, si accorse che Damon stava dietro di lui, senza toccarlo — Andrew ci era ormai abituato, fra telepati — ma abbastanza vicino perché lui potesse sentirne la presenza confortante.

— Non preoccuparti così, Andrew. Leonie non è una megera. Vuole bene, a Callista. I legami del cerchio di una Torre sono i più stretti che noi conosciamo. Lei saprà quello che vuole veramente Callista.

— È appunto questo, che mi fa paura — disse Andrew, con la gola arida. — Forse Callista non sa quello che vuole. Forse si è affezionata a me unicamente perché era sola e spaventata. Temo il potere che quella vecchia ha su di lei. Il potere della Torre… Temo che sia troppo forte.